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Time to market, tempi da accorciare

by David Pambianco
14 Aprile 2021

L’annus horribilis per la salute mondiale ha avuto ripercussioni dirette e gravi per molti settori dell’economia. I comparti del turismo e dello spettacolo sono stati tra i più colpiti dalla crisi, la moda ha chiuso il 2020 con una contrazione media del 25%. L’arredamento ha rappresentato invece una eccezione positiva. Al netto delle voci ‘allestimenti’ e ‘contract’, in decisa sofferenza, l’arredo ha, rispetto ai vari settori del made in Italy, tenuto, tanto che la filiera italiana del legno-arredo ha archiviato l’anno, secondo i dati diffusi da FederlegnoArredo, con una flessione pari ‘solo’ a -10,8%.
Cosa ci raccontano questi numeri? Innanzitutto che la casa è tornata, volenti o nolenti, al centro della nostra attenzione e su di essa sono state reindirizzate quelle energie che prima erano riservate a tutto ciò che era esterno, pubblico, condiviso. Player come Kartell, per citarne uno tra molti, hanno chiuso il 2020 addirittura con un segno più. Contemporaneamente, però, si sta assistendo a un preoccupante allungamento dei tempi di consegna, a volte di mesi, anche per un solo pezzo. Perché? Le ragioni sono essenzialmente due: la prima, la più ovvia, va ricondotta alla pandemia e alle conseguenze che ha comportato sui trasporti e sulla logistica. La seconda, invece, va cercata più a monte. Nell’attitudine o capacità di programmare la produzione vincolandola o comunque legandola alle stime di consumo.
Una logica inversa rispetto a quella attualmente adottata lungo tutta la filiera: zero magazzino, rischi ridotti all’osso e con essi, evidentemente, anche i costi. In un mercato altalenante, indipendentemente dalla pandemia, tutti stanno alla finestra. Mentre anche i prezzi delle materie prime schizzano verso l’alto, la regola è ‘temporeggiare’, in attesa di capire dove si posizionerà la domanda. La conseguenza? Un time to market eccessivamente dilatato e difficilmente comprensibile dal consumatore, che per una lampada si vede costretto ad attendere magari anche tre mesi. Allora, un ripensamento è d’obbligo in termini di processi, perché la reattività a scoppio ritardato non diventi strutturale e tale da compromettere i risultati.  E della gestione dei magazzini, che siano in grado di rispondere prontamente alla domanda. Questo uno dei nodi importanti da sciogliere per il prossimo futuro. A rischio, altrimenti, la fedeltà del consumatore finale. E tutto quel che, chiaramente, ne consegue.

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