L’ultimo Summit Pambianco dedicato al design ha fatto emergere le sconfinate possibilità di crescita per il segmento che rappresenta una consolidata eccellenza del Made in Italy. Secondo una recente stima, il mercato mondiale dell’arredo è valutato 581 miliardi di dollari, di cui il lusso rappresenta la punta dell’iceberg con una quota pari all’8 per cento. Ancora più interessante il discorso relativo alla potenzialità dei prodotti a marchio. Sempre a livello worldwide gli oggetti di design ‘branded’, quindi distribuiti sotto l’egida di un marchio riconoscibile, sono ‘appena’ il 15% a fronte di un 85% legato invece al mondo ‘unbranded’, ovvero senza logo, perché magari realizzati da terzisti o da falegnami o già presenti negli immobili che in gran parte del mondo vengono venduti già arredati. Se è vero che l’universo del ‘branded’, a seguito della crescita della ricchezza e della sensibilità al design dei consumatori, ha degli spazi di incremento che lo potrebbero portare a superare il 20% rispetto al totale, è ben chiaro quali siano le potenzialità di lungo periodo dell’arredo italiano.
Potenzialità che possono essere colte, in uno scenario globale, solo con un cambio di passo della nostra industria, che non potrà che passare dalla crescita interna, ma soprattutto dalle acquisizioni, in tutti i segmenti di mercato in cui le nostre imprese sono presenti.
È presumibile quindi che il numero di operazioni di M&A aumenterà nei prossimi tre anni, irrobustendo i gruppi industriali già presenti sulla scena, ma favorendo anche lo sviluppo di altri player aggreganti. Questo cambiamento porterà anche un’altra rivoluzione auspicabile, che ancora manca in molte delle realtà del design, vale a dire quel passaggio di modello tra una gestione principalmente familiare dell’impresa a una gestione prevalentemente manageriale, anche con l’inserimento di figure apicali provenienti da settori esterni al design. Figure che, come spesso accade, potranno apportare visioni nuove a un settore di punta per il Made in Italy.