Non chiamatela semplicemente art de la table. La disposizione degli oggetti nelle zone pranzo e living è molto di più: è la possibilità di dare forma e carattere agli ambienti attraverso lo styling.
Quando David Hicks negli anni ’60 del secolo scorso coniò il termine tablescape, non inventò nulla che non si fosse già visto prima. Eppure il merito dell’interior designer britannico è stato quello di aver dato un nome (modellato sul termine inglese landscape – paesaggio – e traducibile come “architettura da tavola”) a una serie di regole non scritte che non riguardano semplicemente l’art de la table, ma più propriamente lo “spazio della tavola” – sia essa da pranzo o un elemento della zona living. Ogni sua creazione teneva conto di sei elementi-chiave: il punto focale, il numero di oggetti sul tavolo (solitamente dispari), le varie altezze, la scala delle grandezze, lo schema cromatico complessivo e infine il modo in cui gli accessori armonizzano con il resto dell’ambiente. Hicks è scomparso ormai da tempo, ma la sua lezione continua a ispirare i designer di oggi, e non solo. Gli anni della pandemia di Covid-19 hanno rimodulato le nostre esigenze. Costretti per lunghi periodi nelle proprie abitazioni e impossibilitati a frequentare hotel, bar e ristoranti, ci si è ben presto resi conto di come la tavola potesse essere uno spazio di espressione della propria creatività. Si è riscoperto così uno spazio in evoluzione che ora caratterizza il new normal: influenza le nostre scelte di design e modifica anche le nostre aspettative nel settore horeca.
Dall’hospitality design al maître d’ambiance
“Le persone si sono rese conto che si può cambiare la percezione di un luogo anche con una spesa contenuta”, ha dichiarato a Pambianco Design Giorgia Fantin Borghi, founder dell’omonimo studio milanese di organizzazione di eventi e interior styling. “La tavola in particolare è stata riscoperta come spazio di espressione personale. E questo influenza anche le nostre scelte riguardo ai luoghi che frequentiamo. Il nostro studio ha creato un servizio di maître d’ambiance, dove, appunto, il focus è il concetto d’ambiente, inteso non solo come decorazione ma anche come illuminazione e scelte cromatiche”. Di questo peculiare approccio all’interior styling ne sono esempio due recenti interventi dello studio: quello al Caruso Nuovo, il bistrot del Grand Hotel et de Milan, riaperto lo scorso autunno, e – sempre a Milano – quello al ristorante Gong. Nel caso del Caruso il lavoro di styling ha costituito il trait d’union tra il progetto di ristrutturazione degli spazi ideato da Emiliano Salci e Britt Moran di Dimorestudio e l’universo culinario degli chef Francesco Potenza e Gennaro Esposito. “Abbiamo voluto creare una luce architetturale molto soft – prosegue Fantin Borghi – caratterizzata da tavoli illuminati in maniera puntuale, con luci a batteria che oggi si ritrovano moltissimo anche nelle case private. Per lo styling dell’ambiente abbiamo creato degli allestimenti floreali – disposti in vasi di cristallo – che si rinnovano con il passare delle stagioni seguendo scelte di accostamento di colori sempre in armonia con quelli della sala”. Ma non solo, “oltre a scegliere i piatti e tutti gli oggetti a corredo della tavola, abbiamo voluto definire insieme allo chef anche le modalità del servizio al tavolo, perché anche quello contribuisce in maniera determinante – al pari della musica di sottofondo – al carattere di un ambiente”. La capacità dello styling di dare una sensazione coesiva che unisca la tavola all’ambiente emerge anche dall’intervento al ristorante Gong. “Evitando interventi radicali – spiega Fantin Borghi – abbiamo creato, come richiesto dalla committenza, spazi d’intimità attraverso pannelli in ottone, materiale che abbiamo ripreso negli sgabelli e nei piccoli oggetti a complemento della tavola”.
Un settore di nicchia ricco di opportunità
Il rinnovato interesse per questa nicchia così sui generis del design è stato fatto proprio anche da brand attivi nel settore fashion, oltre naturalmente a quello dell’arredo, dando così vita a insolite collaborazioni. “Ho la fortuna di collaborare con una vasta gamma di marchi, tra cui Ralph Lauren, Range Rover e Waterford”, racconta l’interior stylist Steve Cordony. “Lavoro con i marchi per costruire campagne creative e dare vita ai loro concept. Non solo mi occupo di styling ma anche di rappresentare campagne per mostrare un tone of voice autentico per i marchi con cui collaboro”. Ma questo settore è in grado di offrire anche opportunità B2C, dato l’interesse crescente da parte di un pubblico non specialista. “Ho creato le mie masterclass post Covid”, prosegue Cordony, “Invito circa 36 ospiti al giorno nella mia casa e condivido tutti i miei consigli e trucchi di interior styling che ho imparato nei miei diciotto anni di carriera. Durante la giornata, condivido dimostrazioni su come creare una tablescape, come disporre il letto perfetto e come decorare un salotto in soli venti minuti. C’è un tour della casa, un pranzo in giardino e un tè pomeridiano con champagne, seguito da un Q&A, a volte con ospiti speciali. Spero di portare presto questa tipologia di eventi anche in Italia”.
Roger Vivier, Febal Casa, Missoni e Ginori 1735 si sono lasciati invece affascinare dal massimalismo delle tablescape del personal chef Marco Corradi, in arte Marco Assaggia. Emulo dello chef-architetto di fine ‘700 Marie-Antoine Carême, la sua modalità di presentazione dei piatti – una colorata rielaborazione della cucina tradizionale italiana – avviene attraverso buffet dove piatti vintage, argenti inglesi di fine ‘800 e porcellane dal design eccentrico si mescolano e armonizzano a gelatine a forma di pesce create con antichi stampi di rame e a torte e dolci dall’aspetto d’antan. Emblematico quanto accaduto alla scorsa edizione della Milano Fashion Week, quando ha realizzato per La DoubleJ un intero buffet dove le pietanze avevano una pura funzione decorativa e contribuivano al setting dell’intera presentazione. Come si dice in questi casi, guardare ma non toccare.