Sembra quasi anacronistico ribadire nel 2024 quanto sia importante il rispetto delle regole ma, in realtà, il tema si conferma più che mai caldo, soprattutto per alcuni comparti specifici del settore casa, come quello della ceramica. Lo stesso ministro del Made in Italy Adolfo Urso lo scorso maggio ha ricordato la necessità di tutelare le imprese italiane ed europee di fronte alle realtà straniere, soprattutto cinesi e indiane, che non seguono standard ambientali e sociali analoghi a quelli italiani e europei e ha auspicato l’introduzione di dazi ambientali. La questione è sempre la stessa: la mancanza di protocolli omogenei nel mondo globalizzato. E in questo ambito emerge la concorrenza sleale agguerrita da parte di Paesi come Cina e India dove non esistono norme a tutela dell’ambiente e della salute dei lavoratori. Prendiamo un settore chiave come quello della ceramica: anno su anno ha perso un miliardo di fatturato, chiudendo a 6,2 miliardi di euro (-14%) e con una produzione in calo. La ceramica è un po’ l’emblema di quel che significa avere a che fare con un mercato che non è uniformato perché è un comparto energivoro che, per adeguarsi agli standard comunitari, ricorre allo strumento degli ETS, sborsando così milioni di euro per acquistare questi crediti per poter emettere Co2 nell’atmosfera. A questo si aggiunge il costo dell’energia, diventato sempre più un balzello oneroso per la manifattura italiana e un aggravio che azzoppa l’Italia rispetto ai competitor esteri non solo fuori dalla comunità, ma anche nella stessa Europa (Spagna e al Portogallo per esempio hanno tariffe energetiche che sono un terzo di quelle italiane). È chiaro che l’equilibrio è precario e che si rischia, non solo di agevolare indirettamente i competitor di altri Paesi che hanno norme meno stringenti, ma – alla lunga – di incentivare una delocalizzazione produttiva proprio in queste aree meno regolamentate.
Si tratterebbe chiaramente dell’inizio del baratro dell’eccellenza produttiva italiana. Per questo è più che mai necessario ribadire l’importanza del fair trade. La concorrenza ad armi impari, d’altronde, non riguarda un solo settore ma tutto il made in Italy e quindi anche, per esempio, il food e la moda ma è altrettanto inefficace portare avanti una politica che si basa esclusivamente sul sistema dei dazi. È arrivato il momento di pensare ad una strategia a 360 gradi frutto di alleanze e non di barricate, e che non vada a sostenere solo alcuni comparti merceologici ma che consideri tutte le realtà produttive.