I punti vendita non scompariranno, ma cambieranno pelle e identità. Duccio Grassi, progettista dei negozi di Max Mara, e Visual Display, che firma lo store milanese Slowear 18, raccontano come e perché.
di Antonella Galli
Trentanove su quattrocento: tanti sono i negozi che hanno chiuso da settembre in Corso Buenos Aires a Milano, uno dei principali distretti urbani dello shopping. Si tratta del 10% , in un’area in cui solo qualche tempo fa era difficile trovare anche solo uno spazio commerciale da affittare. Le tante – troppe – vetrine vuote nelle grandi arterie metropolitane, così come nei piccoli centri di tutt’Italia, hanno gettato un’ombra inquietante sul settore del retail in generale, e su quello della moda in particolare. Un fenomeno che non è legato alla contingenza della pandemia, benché il Covid lo abbia accelerato.
Dunque i negozi stanno scomparendo? I grandi flagship store, così come le boutique, non avranno più senso di esistere? E se rimarranno in vita, come si trasformeranno? Abbiamo interrogato chi li progetta per capire come e perché tale evoluzione, già in atto prima della pandemia, sia una rivoluzione a tutti gli effetti, rapida, irreversibile. La risposta è univoca: per far sì che questo processo sia rigenerativo e non distruttivo è necessario ripensare gli spazi affinché diventino la manifestazione fisica del mondo del brand e, al contempo, siano attrattivi per clienti che vivono immersi nella dimensione digitale. Il settore fashion è l’avamposto di questa rivoluzione e un’osservatorio privilegiato per comprenderla.
Il negozio esprime un mondo
Duccio Grassi, a capo dell’omonimo studio di architettura con sede a Reggio Emilia e a Milano, è progettista dei negozi di Max Mara da oltre trent’anni, ma anche di molti altri brand nel settore fashion (Zara, Ray-Ban, Canali, Max&Co, Guess by Marciano, Penny Black); la sua analisi del momento attuale parte da un punto di vista storico: “Le prime avvisaglie della crisi del negozio fisico ci furono già sei anni fa in Cina, dove ogni cosa è accelerata”, afferma; “prima del 2013 le aziende spendevano qualunque cifra pur di poter aprire negozi a ripetizione. Alcuni brand locali, con cui abbiamo collaborato, avevano progettato espansioni di duecento negozi in quattro anni all’interno del Paese. Ma hanno capito che un tale ritmo non poteva reggere e hanno iniziato a sfruttare il web per le vendite”. Un anticipo di quello che poi sarebbe avvenuto ovunque: “Ho assistito a varie crisi negli ultimi trent’anni, di diverse origini, e dopo ogni crisi c’è stata sempre una crescita accelerata”, rassicura Duccio Grassi, “credo che l’astinenza accentui il desiderio, e così avverrà anche in questo caso: la mancata frequentazione dello spazio fisico e il bisogno dell’incontro personale porteranno a un rilancio dei negozi post-Covid.”
Retail è comunicazione
Il negozio è luogo di emozioni ed esperienza. La vendita non è il suo scopo primario: “La necessità del negozio come luogo di acquisto non esiste più; vale la funzione di aggregazione, di incontro e di esperienza originale di un brand.” ribadisce l’architetto Grassi; “il progettista deve mettere in scena un mondo di riferimento unico.” Si torna alla regola di base, secondo cui il negozio deve manifestare l’identità del brand. “L’architetto deve disegnare uno spazio in cui il target di clientela prescelto trovi il proprio universo aspirazionale, quello in cui gli risulta gradevole proiettarsi”, conferma Duccio Grassi; “il progetto interpreta questo universo e lo rende fisico, fatto di materiali, di spazi di luci. Quando disegno un negozio cerco di immedesimarmi nel cliente e parto dall’ingresso: quello della soglia è un momento importantissimo, in cui si decide se entrare o uscire. Qui devo catturare il cliente, rassicurandolo con un ambiente vicino ai suoi desideri, ma anche suggerendo un’esperienza nuova. Il cliente non deve vedere tutto subito, ma deve intuire qualcosa che lo attira e lo porta in fondo.” Per Duccio Grassi i negozi non scompariranno, cambieranno collocazione: saranno privilegiate le grandi città e i luoghi per viaggiatori e turisti anziché i piccoli centri, ma gli spazi retail torneranno a vivere come e più di prima come luoghi di incontro e gratificazione per clienti sempre più consapevoli.
Quello che il web potrà mai dare
Sul fronte retail le aziende calibrano con sempre maggiore attenzione gli investimenti e chiedono spazi ad alto valore aggiunto. Valore che si concretizza nel trasmettere al cliente senso di appartenenza, esperienze e servizi che ‘valgano il viaggio’ e che l’acquisto via web non potrà mai dare. Rune Ricciardelli, direttore creativo dell’agenzia Visual Display di Udine, specializzata in progetti retail e hospitality, ne è convinto: “Nell’ambito retail progettiamo delle storie”, afferma, “come dice il nostro pay-off: interior, identity, stories. Affianchiamo il cliente nel definire la sua visione, poi la sviluppiamo come un racconto. Possiamo definirci dei cantastorie.” Visual Display ha progettato per Slowear Venezia il negozio di Tokyo nel 2018 e a seguire, al termine del 2019, il concept store Slowear 18 in via Solferino a Milano, un progetto ibrido che ha suscitato molto interesse. “Slowear 18 é un’ulteriore espressione del nostro progetto di retail, che conta oggi circa 30 store nel mondo”, afferma Roberto Compagno, President & Ceo di Slowear, “e punta ad offrire sempre più negozi intesi come luoghi esperienziali e di intrattenimento. Slowear 18 offre un’integrazione completa tra un mixology bar e café e un negozio di abbigliamento, uno spazio in cui le due attività si completano e si integrano in sinergia”. Bar e fashion store durante il giorno si fondono armoniosamente, per poi trasformarsi la notte, quando il fashion store diviene lo scenario suggestivo della vita del bar. “Per la sua natura di negozio esperienziale, Slowear 18 strizza l’occhio alla formula del club”, commenta Rune Ricciardelli, “in cui si fa esperienza della musica, di ottimi drink, e dove si possono acquistare abiti e accessori speciali. Di sera vince il bar, ma il negozio non sparisce. Abbiamo risolto possibili interferenze ideando un espositore centrale con una calotta in vetro sospesa che la sera scende e lo protegge. È una sorta di macchina scenica. In tal senso è efficace anche la soluzione di coprire le nicchie a muro, che contengono accessori e capi, con una maglia semitrasparente dello stesso colore della parete. La maglia non si percepisce, ma impedisce ai clienti di toccare gli oggetti.”
Visual Display aveva già sperimentato un concept simile con FSM, Filling Station Motel (del 2018), un’officina per le moto che integra un negozio di abbigliamento per motociclisti e un’osteria. Un luogo per coloro che si identificano con quel mondo (ma non solo): “Esperienze del genere non esistevano nel settore moto”, rivela Ricciardelli, “il progetto ci ha coinvolto anche nella scelta dello spazio e nel naming. Ed è che tra quelli che ci hanno gratificato di più”.
Digital oltre lo spazio fisico
Infine, la tecnologia digitale: nell’ambito retail tutti ne parlano, molti la celebrano, pochi hanno le idee chiare su come utilizzarla. Tra i progettisti è diffusa la convinzione che non basta un ledwall o dei monitor nelle sale prova per rendere tecnologicamente avanzato uno spazio vendita. L’evoluzione ‘da phisical a phigital’, neologismo che esprime l’unione di fisico e digitale, implica lo sviluppo di un rapporto con il cliente che oltrepassa la visita in store. La tecnologia digitale oggi consente di informare attraverso i social, di conoscere gusti e preferenze personali, di creare una relazione esclusiva con un assistente di vendita, di estendere i servizi a domicilio (consegna, prova, riparazioni). Rune Ricciardelli così spiega il fenomeno: “Solo qualche anno fa la tecnologia era una propensione verso un futuro percepito come imminente e mai veramente realizzato. Mancava la maturità degli utilizzatori. Oggi è avvenuto un cambio di passo: i clienti di tutte le età, forse anche costretti dalla pandemia, hanno familiarizzato con il digitale, scoprendone le possibilità. La vera evoluzione, quindi, sta nell’ampliamento dei servizi che la tecnologia digitale consente di focalizzare sullo store, migliorando l’esperienza di acquisto: informare prima della visita, organizzare di appuntamenti in store e servizi post-vendita, simulare la prova di capi e colori, pagare virtualmente e rapidamente”, conclude Ricciardelli. Il negozio ‘phigital’ è un punto vendita che inserisce la tecnologia digitale nel rapporto quotidiano con i clienti, li coinvolge, offre servizi che vanno oltre la soglia. Un’esperienza aumentata nel tempo e nello spazio, come solo il digitale può fare.