La selezione su buyer ed espositori ha aiutato la seconda edizione del Salone del Mobile in terra cinese. Luti: “Abbiamo portato il meglio del made in Italy, ora rafforziamo la leadership internazionale di Milano”.
In Cina c’è sempre più spazio per gli arredi made in Italy e la seconda edizione del Salone del Mobile.Milano Shanghai, di scena dal 23 al 25 novembre allo Shanghai Exhibition Center, ha confermato il cambiamento in corso nel mercato più promettente del mondo, già entrato nella top 5 delle nostre destinazioni export nel settore dei mobili per la casa. Le presenze di buyer non hanno riguardato la sola area metropolitana di Shanghai. I visitatori sono giunti sia dalle regioni di prima fascia (Shanghai, Bejing e Guandong) sia dai territori in forte crescita come come Sichuan, Fujian, Shandong, Henan e Hubei. Il Salone ha inoltre attratto visitatori dagli altri Paesi del continente grazie all’offerta qualificata garantita da 109 brand del made in Italy. Al di là del successo registrato in termini di affluenza, con ventimila biglietti venduti, la formula del Salone di Shanghai è apparsa convincente anche sotto l’aspetto della selezione operata tra i buyer. “Abbiamo puntato sulla qualità di chi desiderava essere con noi e non sul valore numerico”, spiega a Pambianco Design il presidente del Salone del Mobile, Claudio Luti. La falsa partenza dello scorso anno, con un primo giorno di autentico assalto agli stand, è stata d’insegnamento e questa volta l’organizzazione è apparsa impeccabile. Con la vendita dei biglietti effettuata online a seguito di uno screening molto accurato del profilo dei buyer, si è riusciti a tenere fuori dalla struttura curiosi e copiatori, con conseguente soddisfazione da parte degli espositori che hanno centrato un numero importante di contatti nei primi due giorni. E se il terzo giorno, come da regola non scritta di ogni fiera, è stato decisamente più calmo, occorre sottolineare come l’idea del pre-opening del mercoledì sera sia risultata vincente: in un paio d’ore, sono passati quasi tutti i clienti vip ed è stato come disporre di una mezza giornata in più, peraltro compresa nei costi di montaggio. Peccato non si possa, date le dimensioni, replicare l’esperimento a Milano…
Alla seconda edizione, il Salone di Shanghai si è già imposto come uno degli eventi più importanti del made in Italy in Cina o più probabilmente come l’Evento. “Attorno al mobile, stanno nascendo azioni legate al food e al fashion. Presentarsi come sistema non fa male e credo che la riuscita della nostra iniziativa possa stimolare il coinvolgimento di altri settori, tenendo sempre l’arredo al centro”, sottolinea Luti. C’è un altro aspetto: la crescita del numero di espositori rischia di far diventare troppo piccolo lo spazio espositivo del Sec, l’edificio costruito nel 1955 dai sovietici per celebrare l’amicizia tra le due grandi nazioni socialiste dell’epoca. E se è normale che, da un lato, stia emergendo la volontà di entrare in fiera anche da parte di chi finora non ha creduto nel Salone da esportazione o magari non era ancora pronto per affacciarsi in Cina, è altrettanto normale, dall’altro, che ci sia la tentazione di pensare “in grande”, puntando su una struttura attrezzata per contenere un maggior numero di espositori. A tale proposito, Luti afferma: “Sono molto incerto. La zona che ha ospitato le prime due edizioni del Salone di Shanghai è bella, centrale e facile da raggiungere. Cambiare location significherebbe cambiare anche il nostro modo di pensare. Potremmo farlo, ma solo di fronte a un programma molto più robusto e importante. In ogni caso, non si entra al Salone per fare un tentativo e poi abbandonare subito in caso di insuccesso. Abbiamo selezionato gli espositori non solo sulla base della qualità, ma anche della reale determinazione e della loro disponibilità a investire tempo, soldi ed energie per conquistare questo mercato immenso. Alla base dell’accettazione c’è un gentlemen’s agreement pensato per fare sistema e con investimenti programmati a lungo termine”. E se anche il Salone in versione orientale dovesse crescere al punto da rendere necessario un cambio di sede, la strategia di fondo resta immutata: solo belle aziende, solo made in Italy. La fiera diventa uno strumento di cui disporre, esponendo il meglio della nostra produzione di arredamento, per poi sviluppare azioni commerciali nel resto del Paese, ma questo è un compito che spetta alle singole imprese. Non si può pensare di gestire un mercato così grande limitando la propria presenza a tre giorni di fiera. Occorrono filiali cinesi, occorre essere direttamente presenti per comprendere le necessità dei clienti. “La Cina – insiste Luti – è la più grande opportunità esistente. A parte la crescita già importante delle importazioni di mobili dall’Italia, è la prima nazione per numero di visitatori al Salone di Milano e riconosce la nostra leadership in fatto di innovazione e creatività. Ora i cinesi dovranno migliorare in fatto di distribuzione, ma noi dobbiamo a nostra volta capire come riconoscere i giusti distributori per i nostri prodotti. Siamo già un passo avanti rispetto a tutti i competitor in fatto di retail e ora dobbiamo organizzarci al meglio per operare anche nel contract e nel canale online”. I dati del centro studi di Federlegno confermano le sensazioni positive per il business. Nel 2016 le aziende italiane del mobile hanno esportato beni per 341 milioni di euro, quasi cento in più rispetto alla concorrenza tedesca e il doppio di quella statunitense. Nei primi sette mesi di quest’anno, la crescita è stata del 35,8%, la più alta in assoluto tra i primi dieci mercati dell’export del macrosistema arredo e illuminazione, con punte del +83% per i mobili da ufficio, del +61% per le camere da letto e del +51% per la categoria leader in valore, quella dell’imbottito. Infine, Luti affronta il delicato tema dello sviluppo di manifestazioni estere con il marchio del Salone. “Parlo a titolo personale: non sono propenso a lanciare nuove iniziative. Milano first. Abbiamo in casa la fiera leader mondiale del settore e se decidessimo di portare il Salone in giro per il mondo, finiremmo inevitabilmente per indebolire l’appuntamento che conta. Ha senso esserci a Shanghai, perché la Cina è l’unico mercato in crescita di oltre il 30% annuo e allora è opportuno disporre di una base per esporre il meglio del made in Italy. Può aver senso restare in Russia con Saloni WorldWide Moscow, per quanto io ritenga che, dopo la crisi vissuta negli ultimi anni, o ricominciamo con maggior vigore oppure è il caso di ripensare la nostra presenza. Ma non ha senso l’idea di portare il Salone in America o altrove. Milano, soprattutto adesso, è una città viva, piena di energia e leader. Tutti vorrebbero sottrarci questa leadership e allora spetta a noi muoverci bene per mantenerla e rafforzarla”.
di Andrea Guolo