Storie di vita e di persone con un bagaglio di tradizioni che vengono da lontano, tra tecniche del passato e nuovi processi manuali. Un racconto corale, per scoprire l’evoluzione di uno dei complementi più amati del design.
A volte è magico, è sempre rosso quando si tratta di star e poi, alcuni giurano, che sappia volare. Il tappeto – per usare le parole di Jeff ‘The Dude’, interpretato da Jeff Bridges nel film Il Grande Lebowski, diretto da Joel ed Ethan Coen – è l’unico a saper ‘legare’ gli ambienti. E lo fa perché porta il mondo in casa, attraverso i suoi nodi, che più sono e più il valore aumenta. Molto tempo è passato dalle visioni che Marco Polo ricorda nel Milione, ma da ottomila anni almeno un’intera parte del mondo intreccia storie. Un’epopea che ancora oggi ha il sapore dell’avventura e che lega a stretto filo il destino di alcune famiglie, tra l’Italia, il Medio Oriente e l’Oriente.
Breve manuale sulle tecniche più utilizzate
Ci sono diverse tecniche per creare tappeti, ognuna con le sue caratteristiche e il suo valore intrinseco. Amini, cc-tapis, Golran, Luxury Carpet e Mohebban – le aziende di questa indagine – le usano tutte, anche se la prediletta di tutti è l’annodatura a mano. Il fiore all’occhiello, la ‘hand-knotted’, è il top e garantisce tantissimi di nodi per metro quadrato, un design dettagliato e una durata eccezionale. Il metodo di tessitura è identico all’antica pratica dei famosi persiani, oggi non più di moda, visto che ormai la modernità ha vinto sulla tradizione. A parte i tappeti Tabriz e i Kashan (il nome deriva dai luoghi di produzione), la narrazione ormai richiede un linguaggio contemporaneo. Da Amini a Mohebban, tutti hanno stravolto il mondo degli antenati per abbracciare il design, con un certo rammarico per i fondatori, come racconta Elia Golran: “All’inizio è stato difficile: quando abbiamo iniziato a creare i nostri patchwork a mio padre sembrava un tradimento”.
La produzione, come avviene per i disegni antichi, richiede molto tempo – si parla di almeno tre mesi – e una manodopera specializzata. Un’altra tecnica molto usata è quella chiamata ‘hand-tufted’ (dall’inglese tuft, ciuffo): in questo caso il disegno viene tracciato sul retro della tela in modo da fare da guida all’artigiano, che carica una ‘pistola’ con il colore e lo applica seguendo la traccia. In questo modo, il tappeto prende forma pezzo per pezzo, seguendo le sezioni colorate. Il vantaggio di questa lavorazione è la velocità, e infatti tutti la utilizzano per il contract, che ha bisogno di metrature maggiori e non può aspettare mesi per un prodotto. La definizione dei pattern è comunque ottima e dettagliata, tanto che a volte bisogna girare la superficie per capire se ci sono i nodi o no. Infine ci sono i tappeti ‘loom-knotted’ o annodati a telaio, utilizzati in disegni relativamente semplici, con colori uniti o motivi geometrici.
Storie di famiglie che arrivano da lontano
I tappeti parlano di famiglie che sono giunte a Milano tra gli anni Sessanta e Settanta per riscrivere la storia degli antichi nodi. Va fatta un’eccezione per cc-tapis, l’azienda più giovane che, fondata nel secondo decennio dei Duemila da Nelcya Chamszadeh e Fabrizio Cantoni (le due ‘c’ del marchio), insieme a Daniele Lora, l’attuale direttore artistico, parte già con una visione moderna. “Il 2011 è l’anno della fondazione”, racconta Cantoni, “ma in realtà le cose sono iniziate qualche anno prima, quando io e mia moglie, di origini persiane, entrambi con un background nell’hôtellerie, abbiamo deciso di trasferirci a Strasburgo per iniziare una nuova vita. Lì, tra le pile dei Tabriz nel negozio del padre di Nelcya, abbiamo imparato il mestiere e abbiamo iniziato a coltivare un sogno: cambiare forme e colori e rendere questi pezzi di storia più attuali. La spinta a iniziare un’attività nostra ce l’ha data un viaggio a Los Angeles: abbiamo visto in vetrina un tappeto tradizionale, ma personalizzato. Tornati in Italia, siamo partiti: l’inizio non è stato incoraggiante ma, quando eravamo quasi sul punto di mollare, Poliform ci ha chiesto una fornitura per la fiera”. Il resto è storia: è arrivata Patricia Urquiola con la collezione Visioni, e poi via a gonfie vele fino a oggi.
Se il classico ha solo sfiorato la storia di Fabrizio e Nelcya, per le altre aziende il passaggio al moderno ha segnato un vero cambio di rotta. Ma solo in apparenza, come nel caso di Amini, che ha saputo differenziare il catalogo delle proposte coprendo tutte le tipologie del prodotto, dalla più alta al mass market. Come spiega Ferid Amini, CEO del brand, “ABC (Amini Brothers Company di cui fa parte Amini con Loomier, Jalal e Vivace, ndr), fondata da mio padre Sultan a Herat in Afghanistan, ha cominciato a commerciare in tappeti e poi, con l’invasione russa, si è dovuta trasferire in Europa. La nostra offerta è molto varia, ma il cuore di tutto il sistema resta Amini, che rappresenta il marchio di alta moda della nostra produzione”.
La tradzione come radice dell’innovazione
Il viaggio di Golran comincia nel 1898 in Persia, a Mashad e arriva a Milano nel 1968, come racconta Elia Golran, che insieme a Eliahu, Nathan e Benjamin ha ereditato dal bisnonno la guida del brand. “Da quando abbiamo introdotto la gamma Reloaded, una rielaborazione dei tappeti tradizionali, fino all’art direction affidata a Piero Lissoni, il nostro percorso è stato lungo e in parte contrastato dalla generazione precedente. Ma ora, guardando indietro, siamo convinti che il cambiamento è stato più che giustificato. L’interesse per i tappeti classici è ancora vivo, ma su dieci tappeti venduti ormai uno solo è tradizionale. Eppure, nonostante questo slancio verso il moderno, custodiamo nel nostro magazzino una collezione di cinquecentomila pezzi che viaggiano per mostre anche in Iran”. Dai primi anni Settanta anche Mohebban produce tappeti di altissima qualità, senza dimenticare i valori della tradizione. “Da quando mio fratello ha lasciato l’Iran 15 anni fa ed è entrato nell’azienda di famiglia”, narra Michael Mohebban, “il gusto è cambiato e ora tutti i nostri tappeti sono fatti in India, che è più aperta verso i prodotti di design”. Luxury Carpet Studio, invece, nonostante la sede principale sia a Milano e le filiali si trovino a Dubai e Hong Kong, dove sono situati gli uffici commerciali e la produzione – ha un DNA completamente diverso: che siano tradizionali o moderni, “noi realizziamo tappeti fatti a mano per i settori della nautica, della moda e dell’ospitalità”, dichiara l’amministratore delegato Vincenzo Solenne, “e puntando sulla produzione su misura, personalizziamo i tappeti secondo i desideri del nostro cliente”. Ed è una carta vincente visto che, prosegue l’AD, “cerchiamo l’eccellenza qualitativa in tutti gli aspetti del nostro lavoro, che comprende ogni fase della produzione dalla formulazione delle idee per arrivare alle certificazioni e alla logistica”.
Una produzione diffusa, fra tradizione, sostenibilità e no-profit
La gestione del settore del tappeto è difficile perché è estesa su più territori ma il cuore è green visto che tutti i materiali usati sono naturali, con un unico problema da compensare: il trasporto per raggiungere i mercati da conquistare. E se da una parte cc-tapis è partita subito dando un taglio industriale alla produzione artigianale, riunendo tutti i collaboratori in Nepal, altri suddividono la produzione in varie regioni, che vanno dall’Afghanistan alla Turchia.
“La nostra azienda”, dice Fabrizio Cantoni di cc- tapis, “è ben strutturata: showroom in piazza Santo Stefano e sede riunita in via Mecenate a Milano, un atelier a Kathmandu e a Panipat dove facciamo i taftati per il contract e poi agenti con rivenditori in tutto il mondo. Questo ci ha reso più liberi di esplorare forme, storie e concetti, trasformando il tappeto in un elemento progettuale. Inoltre i nostri prodotti, essendo annodati a mano, sono naturalmente sostenibili. Utilizziamo materie prime selezionate, tinture naturali e il nostro packaging è realizzato da tessuti riciclati. Inoltre la nostra vicinanza al popolo nepalese ci ha ispirato a fondare cc-foreducation, un’organizzazione no-profit che si dedica all’educazione dei bambini. Questa è ciò che noi chiamiamo ‘sostenibilità sociale’, un impegno per contribuire al benessere delle comunità in cui operiamo”.
Il lavoro di tessitura anche per Amini significa ‘impegno’, anche perché “sempre più clienti”, confida Ferid Amini, “sono attenti alla responsabilità sociale della tessitura al momento dell’acquisto”. E allora, ecco che ci vuole sempre più dedizione verso la sostenibilità e verso il ‘capitale sociale’ della forza lavoro che è di primaria importanza, visto che anche dall’altra parte del mondo gli artigiani cominciano a scarseggiare. E così, “per mantenere alto il livello di attenzione”, prosegue il CEO di Amini, “abbiamo i nostri ispettori che girano per i villaggi dove, da anni stiamo puntando molto anche sulla formazione”.
Stessa tattica per Golran, che in ogni paese ha un direttore che si occupa localmente degli annodatori, che sono circa un migliaio in Nepal e quasi 500 in India. “Offriamo vitto e alloggio ai nostri artigiani”, dice Elia Golran, “perché il rispetto per coloro che lavorano per noi è fondamentale”. È un tema forte, anche per Michael Mohebban, che sottolinea quanto sia importante il rapporto tra le persone: “Siamo una comunità composta da persone che provengono dallo stesso villaggio o da villaggi vicini, e il nostro partner è uno di loro, anzi uno di noi, che da sempre amiamo tessere anche i rapporti umani”. E se tutti utilizzano solo lane che provengono principalmente dall’Himalaya e dalla Nuova Zelanda e sete dalla Cina, c’è chi ha deciso di sperimentare. È il caso di Luxury Carpet Studio, che – oltre all’impegno ai temi etici e sociali del fare impresa e un occhio vigile sull’impatto ambientale – per essere ancora più sostenibile usa anche Econyl® di Aquafil. Per un’estetica senza compromessi, che ha sedotto anche il regista Ferzan Ozpetek, che ha scelto un loro tappeto per la sua Madama Butterfly, andata in scena al Teatro San Carlo di Napoli.
La situazione nel mercato e la grande scommessa del contract
L’indole nomade del tappeto, non ha limiti geografici. Non vola certo, ma viaggia veloce sui mercati soprattutto all’estero, come confermano tutti i produttori. E oggi punta sempre più sul contract. Per Amini, l’estero conta il 70% contro il 30 dell’Italia, con un business che ha visto una crescita costante dal 2010, tra l’8% e il 20%. Nonostante l’inflazione e le guerre, sottolinea Ferid Amini, “miriamo a mantenere questo trend e, per farlo, abbiamo presentato la nuova linea Architectural, con la direzione artistica di Elisa Ossino Studio. Avevamo notato un crescente interesse per i materiali naturali non trattati anche nei luoghi pubblici, e abbiamo quindi sviluppato a questo scopo una collezione in lane pregiate a tessitura piatta, simile al Kilim. I disegni sono minimali e mettono in primo piano la bellezza della materia stessa. E sono pratici e possono essere calpestati e lavati, come un abito”.
Il contract è la nuova frontiera
Anche per cc-tapis – con il 70% di export e 30% nel domestico, 50 retail, a cui si sommano le numerose private label, le collaborazioni con studi di architettura e uno shop online solo per prodotti disegnati con la moda – il contract sta diventando sempre più strategico, visto che ora “rappresenta il 20% delle nostre attività ma sappiamo che c’è ancora molto da fare”, confida Cantoni. E così, dopo la collaborazione con Poltronova e una linea tratta da disegni di Charlotte Perriand (oltre a quella lanciata con Cassina), è nata una serie ad hoc per il contract firmata da Piet Boon, mentre per il Salone 2024, cc-tapis annuncia che sbarcherà in showroom una nuova linea di flatware, per aggiungere alla collezione alta moda una linea “prêt à porter”. La più forte nel contract (80% del fatturato complessivo) sembra essere comunque Golran: “Siamo forti nella produzione di private label, oltre a mantenere forti relazioni con catene alberghiere”, conferma Elia Golran. Per il prossimo Salone, anticipa, “recluteremo un designer di fama coordinandoci con Piero Lissoni, ma in mostra metteremo solo gli annodati, in quanto le attività legate al contract rappresentano un filone parallelo all’interno del nostro business e non definiscono la nostra immagine primaria”. È grande impegno che attende Mohebban, che ha deciso di riposizionarsi sul mercato con un progetto per “rafforzare il brand e per differenziarlo dagli altri”, chiariscono Anna Seminara e Maria Francesca Cicirelli di Studio Zero, nuove art director. Il futuro prevede più contract (che ora rappresenta il 20% del business), anche se già adesso l’azienda, dopo il periodo di rallentamento causato dalla chiusura delle fiere durante la pandemia, inizia a vedere un miglioramento. “Abbiamo previsioni positive per il 2024 e stiamo preparando un Salone tutto focalizzato sul contract”, racconta Michael Mohebban. Forse ci sarà anche uno showroom a Milano, ma quello che è certo è che l’azienda continuerà a collaborare con gli artisti, dopo il successo dei tappeti firmati dalla pittrice Ilaria Franza.
Luxury Carpet Studio, invece, continua a puntare sul su misura: “Collaboriamo con le maison della moda, con cantieri nautici e per le forniture di aeromobili privati, complessi residenziali di prestigio e catene alberghiere come Hyatt, Sheraton e Bulgari”, annota Vincenzo Solenne. Una scelta che, di fatto, è stata premiata dal mercato: dopo un 2022 già con il vento in poppa, per il 2023 si parla del 52% sul fatturato totale 2022. “Ora l’obiettivo è quello di aumentare i clienti dell’hôtellerie e, soprattutto, di fare il salto nel mondo della nautica, che attualmente genera già un buon 15%”.