Marco Acerbis, Luca Nichetto, Giulio Cappellini e Ferruccio Laviani. Quattro punti di vista differenti sulle questioni più urgenti del periodo.
Riflessioni necessarie per capire come riconsiderare la professione alla luce di quanto avvenuto. Focus su alcune importanti tematiche: necessità di dedicarsi all’aspetto culturale del progetto, disegnare collezioni senza seguire le mode, ma favorendone la durabilità nel lungo periodo, la totale mancanza di sistema, la necessità di ripensare al retail e la centralità imprescindibile del prezzo.
Marco Acerbis: torniamo alla cultura del progetto
I valori importanti per lo studio non si sono modificati in questi mesi: ogni prodotto dovrebbe portare in sè un certo grado di innovazione capace di renderlo distinguibile dal resto: un concept, una forma, un materiale, un’idea nuova che possa creare interesse. La sostenibilità invece è un concetto molto labile e a volte usato in modo ambiguo: non necessariamente ci si riferisce a materiali riciclati o processi dal basso impatto ambientale. “Un prodotto può essere considerato sostenibile – afferma a Pambianco Design Marco Acerbis – anche solo se pensato e realizzato in modo da essere longevo, non ‘usa e getta’. Nei decenni scorsi, il binomio designer/azienda ha creato matrimoni particolarmente felici: le aziende sceglievano il designer che meglio sapeva interpretarne i valori e il designer contribuiva a creare prodotti dall’alto valore culturale. Non dimentichiamoci che il design è anche cultura”.
Negli ultimi anni, con l’affermazione dirompente dell’istantaneità dei social network, c’è stato un cambio di prospettiva: alcune aziende hanno cominciato a lavorare con determinati designer più per la loro visibilità che per il valore effettivo delle loro idee. Impossibile negarlo. Scelte dettate più per un beneficio degli addetti del settore, perchè al consumatore finale, il più delle volte, poco interessa chi ha disegnato un prodotto. “Ciò che è in atto – ragiona Acerbis – può essere una strategia vincente nel breve periodo, ma non genererà cultura e valori duraturi nel tempo”. Siamo nell’epoca dell’istantaneità. Questo ha spinto le aziende alla ricerca della novità a tutti i costi. “Si è generata una quantità di prodotti spesso senza valore, destinata a cadere nell’oblio con la stessa velocità con cui si fa lo scroll del proprio account Instagram. Una perdita enorme di risorse che ha impoverito la qualità dei progetti e ridotto il lavoro del designer a distributore automatico di idee e l’offerta commerciale ad essere tutta simile”. Cosa bisogna effettivamente cambiare? “Bisogna tornare ad una cultura del prodotto. Bisogna disinnescare il circolo perverso che porta alla ricerca della novità a tutti i costi anche, paradossalmente, al costo di copiare!” Serve individuare una chiara prospettiva dell’immagine che una azienda vuole avere e trasmettere dunque, cercando di svincolarla da mode e umori passeggeri, proiettando i propri valori a medio e lungo periodo. “Forse in questo la pausa a cui ci ha costretti la pandemia può essere d’aiuto per rivedere questo processo, consapevoli del fatto che il designer è un progettista che con l’azienda crea oggetti per il mercato”. Per citare Enzo Mari, ‘belli, utili, durevoli e al servizio di una società nuova’.
Luca Nichetto: si dovrà affrontare un downgrade totale
Una delle frasi più comuni di questo ultimo periodo parla di comunità, di spirito di squadra, di collettività. Ci si è rafforzati, anche solo mentalmente, pensando che il gruppo, l’insieme, possa fare la differenza in un momento difficle. “Questo è il famoso ‘facciamo sistema’ di cui tanti parlano, e di cui tutti si sono solo riempiti la bocca – confessa senza paure Luca Nichetto – ma che per quel che mi riguarda e per quel che ho visto, rappresenta solo un ottimo proposito, come quando all’inizio dell’anno ti riprometti di metterti a dieta e iscriverti in palestra, e poi in realtà sai bene che non lo farai mai”. Non è successo prima, non è successo nemmeno ora e non accadrà in futuro, purtroppo. “Nessuno ha davero fatto sistema, tutti stanno ancora guardando il proprio piccolo o grande orticello. D’altro canto si conferma quello che è vero da sempre: ognuno pensa a sè e non si fa squadra; è impossibile farlo finchè non si diventa critici verso un mondo che fino all’altro giorno andava bene a tutti. Nel nostro settore c’è una assurda omertà per cui sembra che se hai il coraggio di dire qualcosa, poi non lavori più. Dobbiamo farcene una ragione: il castello creato negli anni sulla base del design italiano (e mi verrebbe da dire milanese) è crollato”. Nichetto parla di potenze che difficilmente potranno mai metter da parte il loro peso e di progettisti con un ego indissolubile. “Oggi tanti disegnano mascherine e pannelli divisori. Va bene, è necessario, ma invece di concentrarci sul micro management della situazione, dovremmo insieme osservarla a lungo raggio: quello che sta accadendo ora è solo una piccola accelerazione di quello che comunque avremmo dovuto affrontare tra 10 o 20 anni. Le fiere sono davvero il momento più importante dell’anno per fare business? Gli agenti e i distributori rappresentano un problema da tempo e ora ne abbiamo avuto la conferma, la supply chain globalizzata idem. Tutto questo si sapeva anche prima; il sistema è sbagliato da molto, ma finchè la ruota gira, in qualche modo si va avanti comunque. Ora, in soli due o tre mesi, è venuto tutto a galla”. La situazione attuale non ha portato ad una crisi finanziaria, ma di sistema. Le parole di Nichetto lo confermano, puntando a una questione che vedrà tutto il comparto stravolto, rivoluzionato, mutato in ogni sua parte: il downgrade totale. “Le aziende del design stanno andando ad affrontare una crisi sia riferita alla supply chain che alla questione finanziaria. Avranno meno budget da investire in eventi fisici, chi è un po’ più visionario sta cercando di capire come sfruttare il settore digital e come arrivare al consumatore finale. Ci sarà uno scale-down, e l’offerta attuale è troppo ampia per le reali necessità del mercato futuro”. Una prospettiva simile ci mette di fronte al ridimensionamento di molti aspetti del settore, in primis gli eventi e le manifestazioni fieristiche. “Se le fiere, ma soprattutto gli eventi collaterali, andranno in sofferenza, ancor più di un tradeshow internazionale – continua – nei prossimi anni le aziende non avranno di certo a disposizione grandi risorse da investire per stand o spazi in affitto presi per pure operazioni di branding. Non sarà più sostenibile realizzare stand da centinaia di migliaia di euro. Da qui si innescano dei processi che vanno a toccare tutto il comparto. Dall’estero poi, le aziende si chiedono se non sia più conveniente e strategico mostrare collezioni e prodotti a un target mirato di clienti, portandoli nei propri spazi e nelle proprie città, piuttosto che investire in eventi internazionali. Non è una supposizione, è quello che sto riscontrando in questi giorni”. La centralità di Milano verrà meno? Forse no, ma certamente potrebbe esserci nel nostro prossimo futuro un ridimensionamnto totale: “cambieranno le abitudini, anche se è molto complesso ed è un processo lungo. Il downgrade porterà ad una estrema pulizia, voglio vederlo con atteggiamento positivo”.
Giulio Cappellini, dai bestseller ai longseller
Viaggerà meno e continuerà a ritagliarsi del tempo per riflettere a lungo, come ha fatto in questo periodo di pandemia. Giulio Cappellini è da sempre considerato un visionario, progettista lungimirante e attendo. Oggi pensa alle qualità necessarie che un prodotto deve esprimere, diventando veicolo di trasmissione dei valori non solo del designer, ma sopratutto dell’azienda che lo inserisce nel suo catalogo. “Un prodotto vero deve contenere innovazione – dichiara – Ha senso fare un oggetto nuovo solo se è migliore di quello che si è fatto dieci anni orsono. Sicuramente la sostenibilità è oggi un elemento imprescindibile nel progetto contemporaneo; un prodotto oggi e’ valido solo se fornisce risposte concrete ai reali bisogni del consumatore, senza dimenticare bellezza e fruibilità”. Per creare valore aggiunto, riconoscibile dal pubblico, un progettista deve conoscere perfettamente il brand e l’azienda con cui sta collaborando. “Deve capirne le necessità – commenta Guilio – e dare delle risposte in termini di prodotto che si integrino perfettamente nel progetto globale d’azienda. Quel che è certo è che nel tempo si è disegnato e prodotto troppo. Ancora una volta la situazione attuale porta e porterà ad un rallentamento che può fare solo bene: dobbiamo fissarci come obiettivo quello di creare longsellers e non bestsellers. Questo e’ un dovere verso il consumatore che acquisterà sicuramente meno, ma meglio: dobbiamo impegnarci a realizzare prodotti seri e consapevoli, prodotti che creino nuovi paesaggi abitativi in grado di tener conto dei cambiamenti socio/culturali in corso. Serve fare vero design, non stilismo manierista”.
Ferruccio Laviani. Attenzione al prezzo, per un’offerta sostenibile
Si definisce cinico, in realtà i suoi ragionamenti parlano di concretezza e razionalità. Ferruccio Laviani crede fermamente che tutto tornerà come prima. “E’ solo una questione di vaccino. Appena sarà disponibile, tutto verrà dimenticato il più in fretta possibile, forse anche per una voglia inconscia di rigettare una situazione assurda e ingestibile. Il problema serio che dobbiamo affrontare, come progettisti, è legato a una questione di liquidità. In questi tre mesi tanti si sono trovati con le tasche vuote, ciò rappresenta un volàno sulla spesa, sui costi, sulla gestione delle risorse, ha di fatto portato a un cambiamento nell’atteggiamento di molte persone”. Secondo Laviani sarà normale e banale tornare al mondo come lo abbiamo lasciato all’inizio dell’anno, sta ad ognuno farlo in modo forse più consapevole facendo autocritica. “Gli appuntamenti fieristici saltati per il 2020 segnano un calo importante di fatturato per tutti, ma oltre all’aspetto economico c’è quello emotivo: non c’è stato il confronto e il giudizio del pubblico su quello a cui hai lavorato per un anno, è mancata l’interazione”. Ragionando su un possibile mutamento dell’appuntamento milanese, Laviani non crede sia corretto pensare a un cambiamento della cadenza annuale del Salone del Mobile, ma a un’altra tipologia di novità: “Se fino all’anno scorso era una macchina che funzionava benissimo ed era in incremento, non vedo perchè debbano essere modificate le calendarizzazioni. Piuttosto, ritengo ragionevole ripensare alla biennalità di bagno, luce, ufficio e cucina. Dare la possibilità a tutti i settori di decidere se e come presentare le collezioni con cadenza annuale sarebbe una soluzione vincente”. Stringendo il cerchio, si arriva a ragionare sui valori del progetto. Spiazza, ma a ragione menziona un elemento fondamentale da considerare mentre si lavora a una nuova collezione: il prezzo. “E’, e deve continuare ad essere, tra le voci più importanti su cui riflettere – conferma – La gente per i prossimi anni sarà più oculata. Il costo sarà uno dei punti principali da tenere sotto controllo. Certo, è fondamentale trasmettere creatività e il consumatore dovrà sempre fare i conti non solo con il portafoglio, ma anche con l’innamoramento verso un oggetto. Se invece l’emotività e l’estetica vengono meno, allora tra prodotti simili, la farà da padrone il prezzo”.
di Valentina Dalla Costa