L’intelligenza artificiale è sempre di più al centro dell’attenzione del mondo imprenditoriale, come è emerso dall’ultima edizione dell’AI Week, il più grande evento italiano dedicato a questa materia. Secondo Darren Bridger, autore di Neuro Design: Neuromarketing Insights to Boost Engagement and Profitability (Kogan Page, 2017), il neurodesign è una disciplina innovativa capace di sfruttare le scoperte delle neuroscienze e della psicologia per creare design più efficaci. Ma quale significato assume la parola “efficace” in questo contesto e quali sono in concreto le modalità di impiego più significative delle neuroscienze nel settore del design?
“Le neuroscienze sono uno strumento conoscitivo – ha dichiarato a Pambianco Design Davide Ruzzon, direttore del postgraduate program NAAD (Neuroscience Applied to Architectural Design) dell’Università Iuav di Venezia e direttore di TA Tuning Architecture – in grado di illuminare, si potrebbe dire, l’architettura dalla prospettiva delle persone che usano lo spazio. Questo significa che tutti gli ambiti dove le persone agiscono e interagiscono sono significativi per l’utilizzo di questo strumento di indagine. La sua efficacia è massima nella fase di sviluppo del progetto, nel momento in cui si iniziano a condensare tutte le precondizioni che devono essere acquisite e fatte proprie in via prioritaria. Come osserviamo le regole urbanistiche, le norme sul contenimento energetico o sulla produzione di energia, anche le indicazioni inerenti al benessere mentale e fisiologico devono essere assunte come un driver irrinunciabile”.
Si tratta dunque di un nuovo approccio, di una metodologia che più che voler riconfigurare la nostra concezione degli spazi mira piuttosto a fornircene una comprensione più profonda e funzionale. “Non stiamo costruendo l’ennesimo nuovo linguaggio architettonico, nulla di tutto questo”, sottolinea Ruzzon. “La mia personale attrazione verso le neuroscienze è maturata proprio sullo sfondo della crisi profonda prodotta dall’evaporazione solipsistica – linguistica – del corpo dell’architettura. Bastava che una mattina un genio scoprisse, ad esempio, il fascino della teoria delle catastrofi che ne nasceva subito una tendenza. Così come la piega di Deleuze, la decostruzione del linguaggio, Derrida, la blob architecture, la trash architecture, e così via. A un certo punto mi sono chiesto: ‘possibile che dell’uomo in carne, ossa, pelle e cervello non ci sia traccia nel pensiero contemporaneo?’ La mia indagine mi ha portato a riconoscere che non esiste un archè formale dell’architettura, non esiste un linguaggio che sia migliore di un altro”.
Neuroscienze e realtà virtuale sono la chiave del benessere psicofisico
L’impiego delle neuroscienze a campi quali il design e l’architettura mirano dunque a migliorare la nostra interazione tra oggetti e luoghi. Le applicazioni risultano così essere innumerevoli: “dall’ufficio – precisa Ruzzon – alla casa di riposo, dalla piattaforma logistica, agli aeroporti, alla scuola, alle residenze, dalle società di sviluppo a quelle di gestione, o di servizi. TA – la mia società fondata nel 2000 – propone due modalità di lavoro diverse e integrate, partendo dalla scala del masterplan fino al disegno dei singoli edifici e degli interni. La coerenza della percezione alle tre diverse scale è molto importante per riuscire a dare identità agli edifici e alle persone che nella pancia delle balene vivono le loro giornate. Esiste infatti un nesso profondo tra l’identità dell’architettura e lo spessore dell’identità delle persone. L’architettura non è mai neutra, infatti. È quella che potremo definire la memoria estesa, fatta pietra, dei nostri più profondi desideri, della nostra ricerca di identità”.
Questi studi in scienze cognitive, psicologia ambientale, neuroscienze, neurofisiologia, portano a comprendere gli effetti che lo spazio ha sulle persone a livello biologico, per andare oltre i giudizi estetici, soggettivi e culturali. Lo studio di architettura Lombardini22 dal 2019 collabora con il CNR-IN (Consiglio Nazionale delle Ricerche – Istituto di Neuroscienze) sul legame tra le caratteristiche dello spazio architettonico e le reazioni emotive e affettive dei soggetti che lo vivono.
“Il progetto di ricerca si chiama NuArch – hanno dichiarato a Pambianco Design Franco Guidi, amministratore delegato e responsabile del team neuroscienze di Lombardini22 e Federica Sanchez, architetto e ricercatrice in neuroscienze applicate – ed è diretto dai neuroscienziati Giacomo Rizzolatti e Giovanni Vecchiato, con i quali qualche mese fa abbiamo pubblicato i primi due articoli scientifici della ricerca su Nature e PNAS, riviste di rilevanza scientifica mondiale”.
La geometria dello spazio e la percezione dell’esperienza
Un altro tema su cui si stanno svolgendo numerosi studi è quella che viene definita ‘navigazione spaziale’, in particolare la relazione che c’è fra geometria dello spazio e percezione dell’esperienza stessa, e le conseguenze sul movimento dei flussi di persone. “Conduciamo queste ricerche applicando le scienze cognitive alle teorie di Space Syntax, sviluppate negli anni ‘70 dal professore Bill Hillier alla UCL, e che si basano sul concetto che la pura forma geometrica dello spazio influenza il movimento delle persone e di conseguenza il loro comportamento”, hanno aggiunto Guidi e Sanchez.
A livello più generale, i risultati della ricerca maggiormente applicati oggi nella progettazione riguardano le singole componenti architettoniche, come le forme, la geometria, i colori, l’intensità e il colore della luce, così come l’acustica, la temperatura e i materiali. “Tali ricerche vengono declinate nei progetti architettonici a partire dagli utenti finali che andranno ad abitare certi spazi: in base all’età, alle abilità delle persone, e ai compiti cognitivi richiesti dai luoghi, la ricerca viene indirizzata in modi diversi. Gli studi che vengono applicati più frequentemente riguardano i luoghi di lavoro, con l’obiettivo di migliorare le condizioni di benessere dei lavoratori e diminuire lo stress.
Ma anche gli spazi di cura, con focus specifici sulle diverse patologie, per diminuire ad esempio l’impiego di farmaci, o accorciare i tempi di ricovero”.
Dalla teoria alla pratica
Un progetto realizzato da Lombardini22 che ha visto un impiego diretto delle neuroscienze è stato quello degli spazi dedicati ai controlli di sicurezza dell’Aeroporto di Linate. L’obiettivo in questo caso era quello di offrire un’esperienza ai passeggeri meno stressante e più confortevole. “Dopo un’analisi dell’esperienza sensoriale ed emotiva tipica di questi luoghi – spiegano Guidi e Sanchez – le viste prospettiche, i colori, i materiali delle pareti, pavimenti e controsoffitti, sono stati progettati al fine di accogliere le aspettative inconsce degli utenti finali, e assicurare un’esperienza migliore. Un’altra tipologia di luoghi in cui abbiamo visto diverse possibilità di applicazione riguarda gli spazi estremi, di costrizione, come gli ambienti detentivi. Per la riqualificazione delle aree comuni di una casa circondariale, abbiamo eseguito esperimenti di misurazione scientifica sui detenuti e sulle guardie per isolare i parametri architettonici su cui concentrare gli sforzi di cambiamento attraverso la progettazione. I partecipanti all’esperimento sono stati “immersi” in un modello di realtà virtuale del carcere prima dell’intervento di riqualifica, e grazie a questionari psicologici e misurazioni fisiologiche durante l’esperienza dinamica negli ambienti oggetto di intervento, sono emersi gli specifici elementi spaziali che statisticamente causavano maggiore stress, sensazioni di paura e aggressività. Su quelli si è lavorato di più a livello progettuale, essendo in un luogo in cui tipicamente non sono permesse grandi modifiche”.
L’alveare come concept per l’attivazione dello spazio
I nuovi criteri neuroscientifici sono stati anche adottati nelle recenti progettazioni del nuovo Parco scientifico-tecnologico della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa e all’EY Wavespace di Roma. Quest’ultimo è un network globale costituito da 25 centri tecnologici all’avanguardia interconnessi tra loro, localizzati nelle aree urbane più dinamiche e innovative al mondo. Nel wavespace di Roma è stato adottato, in via sperimentale, un metodo progettuale che parte da alcune ricerche sviluppate in quest’ambito e le applica alla configurazione dello spazio. Le aree del wavespace si articolano in sette stanze, ognuna dedicata ad altrettante attività che costituiscono una sequenza esperienziale evocativa. Occupano una parte del settimo piano della nuova sede romana e condividono con essa il concept formale dell’alveare, che qui si esprime in un particolare spazio di mediazione che richiama la forma di un esagono smussato e irregolare che avvolge il nucleo delle scale e degli ascensori con pareti in lamiera stirata, contiene i servizi e distribuisce i flussi alle diverse aree funzionali. “Per la sua progettazione – precisano Guidi e Sanchez – la domanda di fondo è stata: ‘come stimolare l’attivazione dello spazio?’ Ogni attività umana innesca attese emotive diverse che l’architettura può rispecchiare attraverso l’organizzazione delle sue componenti plastiche, materiche, ritmiche, luminose, cromatiche e acustiche. L’obiettivo è equilibrare le dimensioni pre-riflessive e cognitive e rafforzare così l’attività svolta. Poiché la fruizione dello spazio interno architettonico è sempre un attraversamento corporeo, i movimenti del corpo e i suoi diversi cinematismi sono adottati come riferimento fisiologico della morfologia dello spazio: le configurazioni spaziali accompagnano così i fruitori sollecitando una serie di sentimenti di fondo associati alle finalità dei diversi ambienti. Tradurre questa sorta di cinematica emotiva del corpo in spazi dinamici è la chiave del progetto”.
Nella progettazione invece del nuovo Parco scientifico-tecnologico della Scuola Superiore Sant’Anna, Lombardini22 ha curato le analisi dei rapporti visivi e percettivi del masterplan. Il piano programmatico è stato studiato e sottoposto a un’analisi condotta con un software basato su algoritmi in grado di predire i flussi e i movimenti delle persone. I risultati sono stati interpretati in chiave neuroscientifica, per prevedere i comportamenti che l’orientamento degli edifici e il loro rapporto con gli spazi aperti genera negli utenti. Da questi studi è stato possibile verificare alcuni rapporti e percorsi principali, ma anche trovare soluzioni e apporre modifiche progettuali per rendere l’esperienza il migliore possibile dai punti di vista dell’inclusività, della visibilità, del senso di orientamento e della facilità di movimento.
Ma non solo, la recente applicazione di queste conoscenze per la riconfigurazione del layout espositivo del Salone del Mobile di quest’anno, ha dimostrato come anche l’organizzazione di fiere e grandi eventi possa essere un terreno fertile per lo sviluppo di questa metodologia di design.
Il generative design è il futuro dell’IA
Il fenomeno dell’intelligenza artificiale, a differenza di quello che si potrebbe credere non è un fatto così recente. Già a partire dal 1956, John McCarthy, partendo dal lavoro pionieristico di Alan Turing, ha iniziato a usare il termine artificial intelligence, guidando così gli sforzi dei ricercatori verso lo studio approfondito delle meccaniche coinvolte nell’apprendimento automatizzato. Oggi, così come le neuroscienze, anche l’IA è arrivata a coinvolgere ambiti quali il design, l’architettura e l’arte. “Concentrandoci sull’architettura – scrive in un suo recente intervento su Paolo Belardi, ordinario di Architettura e Composizione Urbana nel Dipartimento di Ingegneria Civile e Ambientale dell’Università di Perugia – le applicazioni dell’IA più feconde non sono tanto quelle relative al building information modeling quanto piuttosto quelle relative al generative design. Perché, mentre nel primo caso il contributo dell’IA è meramente funzionale, in quanto consente di ottimizzare la gestione dell’intero ciclo di vita di un edificio, nel secondo caso il suo contributo è schiettamente creativo, in quanto consente di ideare con modalità nuove tanto un edificio quanto una città”.
Il generative design segna l’inizio di una fase in cui l’IA assume un ruolo sempre più importante nel processo creativo. Si prevede infatti una collaborazione più stretta tra l’IA e i progettisti, con algoritmi che offrono suggerimenti e soluzioni in tempo reale. Questa nuova forma di “co-design” potrebbe portare a soluzioni innovative, rappresentando un’evoluzione nel modo in cui vengono concepiti e realizzati i progetti. Utilizzando algoritmi di apprendimento automatico, il design generativo esplora diverse soluzioni basate su specifiche e vincoli forniti dall’utente, garantendo una collaborazione efficiente tra computer e utilizzatore. Questo processo automatizza la fase di ideazione, offrendo una serie di potenziali progetti in base a parametri definiti. “I software di intelligenza artificiale – prosegue Belardi – sono ormai utilizzati correntemente anche all’interno degli studi professionali più affermati a livello internazionale (da Tim Fu di Zaha Hadid Architects a Carlos Bañón Blázquez di Subarquitectura Architects), ma gli esiti più innovativi, realizzati per lo più tramite la piattaforma Midjourney (capace di restituire output figurativi complessi partendo da input testuali semplici), sono stati concepiti da artisti visuali emergenti come Reem Mosleh, Manas Bhatia e Hassan Ragab che, prefigurando edifici simili ai pistilli di un fiore piuttosto che avvolti da una fittissima rete da pesca, frequentano i confini dell’immaginazione e disseminano nel web render iperrealistici che orientano il pensiero delle nuove generazioni di progettisti”.