Dopo un 2021 che ha superato, in termini di fatturato, ogni più rosea aspettativa, e dopo i primi tre mesi dell’anno archiviati con risultati ancora migliori, si iniziano a sentire gli effetti negativi di fenomeni concomitanti come l’inflazione galoppante, la carenza e il rialzo dei prezzi delle materie prime, i problemi nei trasporti e, in ultimo, le conseguenze del conflitto in Ucraina. Le aziende dell’arredamento, anche quelle che fin qui hanno retto bene grazie a politiche lungimiranti in termini di scorte, magazzino e logistica, iniziano ad avvertire il rischio, tanto più se questa situazione generale dovesse proseguire a lungo. In un contesto così rapidamente e imprevedibilmente cambiato, una capacità reattiva e gestionale importante forse non basta più. Probabilmente è necessario voler tornare ad innovare. Il prodotto, innanzitutto, osando con nuovi progetti e nuovi materiali. Non adeguandosi alle certezze, al gusto dominante, ma rischiando. Bisogna tornare, in due parole, a ‘riprogettare il futuro’. Come fecero le aziende con i grandi del design negli anni Settanta. E come hanno fatto gli artigiani e le aziende che hanno dato corso alle loro idee, ai loro progetti, spesso molto complessi, quasi irrealizzabili sulla carta, senza badare troppo al conto economico, ma con tanta voglia di futuro in tasca. Le crisi sono da sempre le vere occasioni di cambiamento. E a questo giro della storia gli oggetti progettati dovranno non solo essere capaci di rappresentare una nuova estetica, ma anche inglobare le sfide del presente. Ed essere dunque anche essere riparabili, ricondizionabili e riutilizzabili. Capaci di utilizzare, come afferma l’architetto Mario Cucinella, il clima come nuovo elemento di progettazione. Questo è il vero guanto di sfida.