L’export negli Stati Uniti continua a crescere (+7% nel 2018) e per cogliere tutte le opportunità che la terza destinazione estera offre all’arredo made in Italy, occorre essere direttamente presenti. Se serve, anche con una base produttiva
Per l’arredo italiano, gli Usa sono la terza destinazione estera dopo Francia e Germania. La Francia assorbe il 15% dell’export, la Germania l’11%, il 9% è destinato agli Stati Uniti per 1,33 miliardi di euro di controvalore. Ed è anche uno dei mercati più dinamici, avendo messo a segno una crescita del 7% nell’ultimo anno. Se poi consideriamo il Canada, il cui contributo è però limitato poiché assorbe circa 133 milioni di euro, la metà del Belgio, complessivamente il nord America frutta all’industria del design poco meno di 1,5 miliardi di euro. Sono tanti? L’impressione diffusa è che ci siano ampi margini di miglioramento, nonostante la storica preferenza per uno stile classico/country ben radicata nelle zone più interne dei due Paesi in questione; e che una modalità per intercettare queste opportunità possa essere quella di “affondare radici” anche produttive nel mercato anziché limitarsi a esportare i prodotti dall’Italia, o in alternativa quella di aprire filiali commerciali dotate di polo logistico per aumentare il livello del servizio alla clientela. In molti lo hanno già fatto e il rischio di una chiusura del mercato statunitense tramite dazi, per tutelare l’industria nazionale, spinge altri player dell’arredo italiano a considerare un investimento in tal senso.
UN NUOVO ARRIVO
“In passato non siamo stati molto presenti negli Stati Uniti”, racconta Angelo Meroni, presidente di Lema. “Da settembre 2018 abbiamo invece aperto un nostro ufficio e showroom in Soho, a New York, con una persona dedicata e residente. Stiamo cercando collaboratori per implementare la nostra rete sul territorio. Il focus per la nostra azienda quest’anno è il mercato americano, oltre ad un lavoro di rafforzamento del mercato europeo e una attenzione particolare per l’Asia. Il primo obiettivo è quello di consolidare il rapporto con il mondo del progetto e continuare a presidiare il retail, settore più complesso”, continua Meroni. Le città che interessano di più al numero uno di Lema sono, oltre a New York, San Francisco, Miami, Los Angeles. “E guardiamo anche a Boston, Washington e Atlanta”. Il canale di riferimento per l’azienda brianzola è quello del contract, per commesse non interamente custom made: “Ci interessa partecipare all’arredo di edifici dove poter sviluppare i nostri sistemi lavorando sulla produzione in essere, in maniera molto versatile. Pensiamo sia il sistema migliore per implementare il fatturato in una prima fase di presidio del nuovo mercato”. Nel retail, crescere è un processo lungo, bisogna lavorare con i distributori sul posizionamento del prodotto, fare formazione in modo capillare tenendo conto anche del grande turnover del personale statunitense, aspetto che non aiuta a consolidare il marchio. Per le aziende che realizzano sistemi, e non vendono elementi d’arredo, il supporto consulenziale in fase di vendita è un aspetto strategico. “Durante Icff a New York, dal 19 al 22 maggio – preannuncia il presidente di Lema – daremo un significativo segnale di presenza partecipando all’evento di anteprima dell’appartamento campione del nuovo edificio realizzato da Renzo Piano Building Workshop, in Broome Street, opera per la quale realizzeremo i sistemi di armadi.” La produzione rimarrà italiana e dalla Lombardia, Lema gestirà la distribuzione e la logistica anche oltreoceano.
I BRAND CONSOLIDATI
Foscarini è presente in America da più tempo. “Dal 2011, siamo negli Stati Uniti con una nostra sede che è composta da showroom e spazio uffici. Abbiamo sei collaboratori che seguono la parte di vendita, progettisti e distributori”, ricorda Carlo Urbinati, presidente e amministratore unico dell’azienda veneta dell’illuminazione decorativa. “Lo showroom è in Greene Street a Soho, Manhattan, zona pedonale nella quale c’è una crescente presenza dei marchi della moda, che portano molto pubblico. Gli spazi ce li ha progettati Ferruccio Laviani”. Foscarini ha accolto nella sua compagine un nuovo manager che si sta occupando anche del Sud America; più in generale, sono state create delle nuove figure intermedie che seguiranno tutti i mercati principali, anche Apac ed Emea, in attesa di aprire una sede cinese. “In America abbiamo sempre avuto una rete di rivenditori, circa 90 unità, che per gli Usa non sono poche e che sono gestite da nostro manager locale” continua Urbinati. “Nel 2000 avevamo dei rapporti di importazione con aziende che, nel tempo, sono andate succedendosi e sono state interessate da acquisizioni. Da allora supportiamo la distribuzione con dei magazzini in loco gestiti direttamente; la produzione è tutta italiana. Attorno al 2005 abbiamo deciso di non dipendere da realtà terze e abbiamo iniziato a lavorare per costruire da una rete distributiva, scegliendo tra i partner per noi più interessanti. Nel 2010 abbiamo aperto la nostra casa newyorkese”. Oggi gli Usa valgono il 10% del fatturato di Foscarini che, al momento, non ha instaurato particolari rapporti con designer locali, pur non escludendo la possibilità di implementarli in futuro, lavorando con qualche grande nome americano allo sviluppo di un prodotto che possa essere inserito a catalogo e coerente con i valori del marchio. Risale a 15 anni fa l’ingresso sul mercato statunitense di Ioc (International office concept), azienda della famiglia Pepori che debuttò nel 2004 con una realizzazione molto importante: la sede del New York Times progettata dal Renzo Piano Building Workshop. Per questo grattacielo, Ioc realizzò le pareti Ultralight a tutta altezza con porte scorrevoli in finitura alluminio spazzolato e con pannelli laccati a colore. “Ora abbiamo una sede a New York, a Soho, e una a Chicago, entrambe gestire direttamente dalla nostra famiglia.” ci dice Caterina Pepori, sales and marketing manager. Il marchio lavora molto con gli studi di progettazione e con una rete di dealer che propongono il catalogo prodotti alla loro rete di clienti. “Data la complessità e dato l’alto livello di personalizzazione dei nostri prodotti – ribadisce Pepori – riteniamo indispensabile dover realizzare e gestire tutto, anche la logistica, dalla nostra sede di Giussano.”
CHI CI PRODUCE
“Il mercato americano l’abbiamo iniziato a sviluppare dal 2011 con un fatturato iniziale di 3 milioni di dollari; oggi ne incassiamo 17. Da quest’area dipende circa il 20% del nostro giro d’affari”, afferma Claudio Feltrin, presidente di Arper, “Il nostro primo ufficio commerciale e showroom è stato aperto a New York, e abbiamo voluto che fosse di proprietà”. L’anno scorso Arper ha inaugurato Los Angeles e si è insediata con uno showroom al Merchandise Mart di Chicago, punto di riferimento in occasione del Neocon, la più grande fiera americana dell’ufficio. Ma non finisce qui. Nell’autunno del 2018 l’azienda ha inaugurato il nuovo impianto produttivo e magazzino ad High Point, in North Carolina, città che vanta una consolidata tradizione manifatturiera ed è sede del Market, la più importante fiera statunitense dell’arredo. Una posizione strategica per il presidio del mercato; lì Arper ha portato la produzione delle tappezzerie e i semilavorati. “Avere la tappezzeria in loco ci consente di personalizzare i prodotti anche rispondendo ad un gusto differente dal nostro, e in tempi rapidi rispetto agli ordini. In America non produciamo tutte le linee a catalogo, e sarebbe impensabile fare magazzino del prodotto finito” spiega Feltrin. Arper lavora molto con gli studi di architettura e con una rete di dealer, che in alcune parti del paese sono sia rivenditori che di supporto al servizio finale al cliente. “In futuro rafforzeremo la forza commerciale e distributiva”, conclude Feltrin. “Forse potremmo pensare all’apertura di altri showroom ma non ci sono molte aree dove ci siano grandi concentrazioni di studi professionali tale da giustificare la nostra presenza.” Nella ceramica industriale, per ragioni legate anche al peso del prodotto finito e alle quantità necessarie per rivestire (internamente ed esternamente) gli edifici che utilizzano grandi lastre italiane, è ormai consolidata la presenza produttiva negli Stati Uniti e in particolare nello stato del Tennessee, che ha saputo attrarre investimenti con politiche incentivanti per le imprese determinate a aprire la loro facitily statunitense. Tra queste compare Iris Ceramica Group, presente in America dal 2005 con un suo impianto di produzione, StonePeak Ceramics, proprio nel Tennessee. Inoltre, Iris dispone di una sede secondaria con polo logistico a Anaheim (Los Angeles) e di un quartier generale a Chicago, dove ha anche uno showroom, così come a Los Angeles e a New York. “Il 2018 ha rappresentato per il nostro gruppo americano un andamento costante dei ricavi di vendita e un fatturato di 256 milioni di dollari, dei quali circa 130 realizzati mediante la distribuzione dei marchi americani del gruppo: Stonepeak Ceramics, TransCeramica, EuroWest, Mediterranea, Iris US, Sapienstone”, spiega l’amministratore delegato Federica Minozzi. “Abbiamo invece subito una contrazione delle vendite nei confronti degli Home Center (grande distribuzione) caratterizzato dal rallentamento delle ristrutturazioni delle case e dalla preponderante crescita dell’uso dei prodotti vinilici”. Questi ultimi parrebbero avvantaggiati dalla semplicità della posa, i cui costi negli States sono tuttora il principale ostacolo alle fortune della ceramica emiliana. Il gruppo prevede comunque una crescita del posizionamento della controllata americana per l’anno 2019 dovuta principalmente al consolidamento degli accordi con alcuni player commerciali importanti e soprattutto dal vantaggio competitivo della produzione locale del grande formato. Iris Ceramica Group ha infatti recentemente inaugurato, con un investimento di quasi 70 milioni di dollari, la nuova linea “Continua Plus”, che pone StonePeak in una posizione di leadership nel mercato nordamericano nelle produzioni del gres porcellanato di grande formato per superfici e counter top, di cui Iris è primo e al momento unico produttore negli Usa.
DA QUARANT’ANNI
“Nel mercato americano siamo presenti da quarant’anni”, afferma Riccardo Conti, vice presidente di Fantini Usa, controllata americana del gruppo Fantini, nato sulle sponde del Lago d’Orta. “Avevamo un nostro importatore che agiva come distributore dei prodotti Fantini occupandosi della rete dei rivenditori, oltre 200 nel Paese, e seguendo la comunicazione del brand. Nel 2010, dopo circa un anno di lavoro per adeguare le certificazioni e produrre tutta la documentazione necessaria, anche per la comunicazione, abbiamo deciso di essere presenti direttamente aprendo il nostro showroom all’interno del noto A&D Building, un centro del design a New York. Lo showroom, che ha anche un grande open space che accoglie me e le sei persone che seguono la Fantini Usa, è stato progettato da Piero Lissoni”. Ora Fantini ha settanta rivenditori in nord America specializzati nell’arredo bagno e un piccolo showroom satellite nel Merchandise Mart di Chicago. E il task è il rafforzamento e lo sviluppo dei contatti con gli studi di progettazione: Asia, Stati Uniti e Canada sono i mercati di riferimento per il contract. Molte sono le referenze importanti che Fantini ha seguito di recente o sta ultimando: a Vancouver la sede di Kpmg, la sede di Luxottica a New York, il Nobu Hotel di Chicago e il Baccarat sempre a New York; altri cantieri sono aperti in Florida. “Stiamo lavorando per espanderci in America Latina, Brasile (dove abbiamo fatto una partnership con Florim) e Messico, in primis”, anticipa Riccardo Conti, “Nelle partnership crediamo molto; abbiamo accordi consolidati con Boffi e Salvatori e per noi sono strategici perché ci aiutano a essere presenti, con un ottimo posizionamento, in canali commerciali che non sempre presidiamo.”
IN AMERICA CON GLI AMERICANI
“Dico sempre che Poltrona Frau è una azienda italiana che può guardare il mercato oltreoceano con gli occhiali degli americani – racconta Nicola Coropulis, brand director, – e che pur mantenendo tutte le specificità dettate dall’italianità, abbiamo una serie di ‘visioni laterali’ che ci derivano dall’appartenenza al gruppo Haworth. La nostra azienda di arredo e lifestyle lavora per creare la propria diretta relazione con il cliente americano soprattutto attraverso quattro negozi: a New York, dove siamo da più di 25 anni, a Los Angeles e Washington, aperti all’inizio degli anni Duemila, e a Miami, inaugurato a luglio dello scorso anno. Oltre ai nostri punti vendita monomarca ci affianca una rete di dealer selezionati. Abbiamo definito, inoltre, un piano di espansione che ci porterà nei prossimi anni ad aprire in altre città americane.” Ogni negozio ha un team che opera sia nella vendita diretta che nelle visite agli studi di progettazione, interior designer e sviluppatori immobiliari. “Il modello anglosassone, e in particolare quello americano, è incentrato sulla relazione. Il rapporto diretto con il cliente è per noi un valore ineludibile”, conferma Coropulis. “A questa attività si affiancano i nostri rivenditori; cerchiamo di evitare di presentare prodotti in spazi multimarca ma preferiamo spazi brandizzati e monomarca. È un percorso complesso perché la distribuzione tradizionale negli Stati Uniti è legata a schemi del passato.” Negli Stati Uniti si sta registrando una interessante crescita delle vendite mediante e-commerce. Su questo canale Poltrona Frau sta facendo valutazioni attente per capire se e come muoversi in uno scenario che conferma un aumento costante del business attraverso i portali di vendita online, che diventeranno tra i canali più importanti per l’interior design. “Un asset importante della nostra presenza in America è il lavoro di allargamento e consolidamento dei rapporti con gli studi di architetti e designer e in questa attività la spinta propulsiva di Haworth è molto importante”, conclude Coropulis. “Poltrona Frau ha una linea di working space che può, inoltre, considerarsi il completamento ideale dell’offerta della casa madre anche negli Stati Uniti.”