Qual è, oggi, il valore aggiunto della formazione in un settore strategico come quello dell’arredo, in particolare alla luce della diffusione delle nuove tecnologie? Se n’è parlato a Milano nell’ambito del 9° Pambianco-Interni Design Summit, che si è svolto il 28 giugno al Palazzo della Borsa di Milano e aveva come titolo ‘Il new normal dell’arredo italiano. Opportunità e opzioni strategiche per proseguire il percorso di sviluppo’. All’esigenza urgente di formare nuove figure professionali, capaci di destreggiarsi fra competenze di progettazione, intelligenza artificiale, realtà aumentata e robotica, è stata dedicata una tavola rotonda cui hanno preso parte Sergio Nava, Director of Education dell’Istituto Marangoni di Milano – The School of Design, e Francesco Zurlo, preside della Scuola del Design del Politecnico di Milano. Per entrambi, in questo particolare momento storico, “è indispensabile riportare al centro della scena creativa le scuole di design e farle tornare a essere un luogo di confronto e di sperimentazione aperto alla collaborazione con le aziende”.
PAMBIANCO: Quale sarà l’impatto della realtà aumentata e dell’intelligenza artificiale nel mondo della formazione?
NAVA: “In Marangoni, come Scuola di Design, noi crediamo molto nelle nuove tecnologie, e non a caso negli ultimi quattro anni abbiamo attivato dei master ad hoc: uno di questi, per esempio, si occupa delle tecnologie applicate agli spazi dei brand, temporanei o retail, e lo scopo è quello di formare una figura nuova, ibrida fra il ruolo classico dell’interior designer e il professionista capace di gestire sia le tecnologie digitali che il know how dei sistemi automatizzati legati alla robotica. Più nello specifico, riguardo alla robotica e all’intelligenza artificiale, a ottobre lanceremo un master in ‘Product design for human and robot interaction’, perché siamo convinti che le tecnologie robotiche, al di là dell’impatto che avranno, insieme all’AI, nell’ottimizzare i processi industriali, la parte di marketing, il customer care e i servizi di pre e post vendita, avranno ricadute dirette anche sull’identità dei nuovi prodotti. Noi crediamo che, soprattutto nel settore dell’arredo, l’AI perfezionerà la produzione di progetti. Del resto, ci sono già delle case history: ricordo per esempio che nel 2019 Philippe Starck con Kartell e Autodesk fu pioniere nell’applicazione del generative design per la creazione di una seduta. Ma oggi, quando si parla di intelligenza artificiale, si mettono in gioco anche le variabili della sostenibilità e della personalizzazione degli oggetti, due tematiche alle quale le nuove generazioni credono molto, e sono anche aspetti che ormai orientano le scelte d’acquisto del consumatore finale. L’intelligenza artificiale permetterà anche di creare delle interfacce che consentiranno alle persone di trasferire sul prodotto degli input personali che lo renderanno unico. Sul fronte delle tecnologie robotiche, c’è un un universo ancora tutto da scoprire: si tratta in effetti di un settore che finora è rimasto in carico agli ingegneri e al sistema industriale, ma non è ancora entrato di diritto – se non per piccoli aspetti legati agli accessori smart domestici – nel mondo dell’arredo. Ecco perché c’è urgenza di definire la figura di un nuovo designer che sia in grado di rendere più umani ed empatici gli oggetti a elevato contenuto tecnologico, come lampade “pensanti” o arredi che avranno la capacità di adattarsi alle esigenze dei loro fruitori. C’è infine un aspetto ancora più ampio, che riguarda il ruolo del designer in questo scenario così multiforme legato alle tecnologie di ultima generazione: il nostro intento è quello di formare professionisti capaci di umanizzare le tecnologie, sia quelle digitali che quelle robotiche, perché i due aspetti dovranno coesistere. Ci sarà un trade off fra l’innovazione e il fatto che questa innovazione possa essere accettata dal pubblico, portando in dote come plus – tipico del design – un arricchimento degli utenti finali”.
PAMBIANCO: Come vi state muovendo su questi temi al Politecnico di Milano?
ZURLO: “Per trasferire contenuti che siano in qualche modo attuali o comunque in sintonia rispetto all’evoluzione delle tecnologie bisogna prima fare ricerca, e questo è quanto caratterizza il Politecnico di Milano, che in effetti è una ‘research university’: significa che al primo posto mettiamo la ricerca, e poi ci sono ricadute anche sulla didattica. Noi, in particolare, abbiamo portato avanti la ricerca su quella branca dell’intelligenza artificiale che viene chiamata generative AI e che serve a creare idee. Questo aspetto può avere ricadute importanti: potrebbe essere esiziale, nel senso che l’AI potrebbe far chiudere tutte le scuole di design, oppure potrebbe amplificare e potenziare le capacità creative dell’essere umano. La generative AI è una tecnologia potentissima che si è diffusa in maniera capillare e che continua a cambiare velocemente, ed è fondamentale capire dove andrà a parare e, soprattutto, imparare a gestirla. L’aspetto che caratterizza la generative AI è che c’è la possibilità di interagire con la tecnologia attraverso uno strumento molto umano, che è il linguaggio: a ChatGPT sono bastati cinque giorni per raggiungere un milione di persone, mentre Facebook e Instagram hanno impiegato rispettivamente dieci mesi e due mesi e mezzo per arrivare al medesimo risultato. Usare il linguaggio è diverso dal dover imparare comandi o programmi complessi: semplicemente si parla, si comunica, si mandano dei messaggi, e la macchina elabora dei risultati”.
PAMBIANCO: Dunque chi lavorava con il CAD già non serve più?
ZURLO: “C’è un aspetto importante, da non sottovalutare: occorre sapere come parlare alla macchina. Occorre cioè essere in grado di capire quali sono le parole e le frasi che la macchina può comprendere. Si tratta, in fondo, di conoscere cosa c’è nel backstage, e quindi bisogna chiedersi a che cosa fa riferimento chi ha scritto quell’algoritmo, perché spesso gli algoritmi vengono costruiti avendo in mente chi dovrà utilizzarli. Prendiamo Midjourney: è un software di generative AI pensato per la visualizzazione, è indirizzato a persone che sono già abbastanza abituate a usare dei programmi per la manipolazione delle immagini e, di conseguenza, parla a questo tipo di utenza con un gergo ad hoc. Questo linguaggio, però, può essere acquisito per cui, per esempio, un imprenditore potrebbe sostituirsi al suo direttore creativo e chiedere direttamente alla macchina di disegnare una nuova collezione di divani o di cucine. Potrebbe venirne fuori un progetto discutibile o un prodotto rivoluzionario ma, in ogni caso, un approccio del genere evidenzia come ormai non ci siano più barriere all’accesso perché il linguaggio diventa il mediatore d’elezione per poter dialogare con macchine di elaborazione estremamente potenti. E si possono ottenere risultati molto significativi. Pensiamo alla musica: c’è stato un cantante e dj svedese, Avicji, che era diventato una pop star ma non conosceva una nota musicale. Eppure nella sua carriera artistica si è confrontato con Chris Martin dei Coldplay e con strumentisti ben strutturati. Qualcosa di simile potrà avvenire quando un operatore di dominio – come per esempio un imprenditore – si confronterà direttamente con la macchina piuttosto che con chi ha le competenze tecniche per dialogare con la generative AI. Parlando di linguaggio, però, occorre ricordare che il motore generativo ‘pesca’ dentro la Rete: se, per dire, voglio realizzare un’immagine alla maniera di Vermeer, la macchina va a prendere tutte le opere dell’artista presenti online e fornisce una soluzione interpretata, di fatto ‘parafrasando’ ciò che trova in Internet. La parafrasi è uno strumento che abbiamo usato tutti a scuola, soprattutto di fronte a certi testi più complessi, come – per fare un esempio – il Paradiso di Dante Alighieri: tramite il parafraseggio, si cercava di capire il significato ultimo dell’opera ma, a fronte di questo processo di semplificazione, il testo perdeva peso, perdeva densità… Allo stesso modo, il lavoro dell’AI porta tende a diluire l’intensità e le conoscenze associate all’immagine finale, che è il frutto della sintesi fra miliardi di immagini”.
PAMBIANCO: In un certo senso si rischia una standardizzazione?
ZURLO: “Esattamente. Per ora nel processo dell’AI manca lo scarto che spesso è associato alla creatività. Un creativo, in effetti, scarta, commette errori, non comprende, ipotizza, cambia direzione. Nella storia ci sono stati tantissimi personaggi che hanno scartato e non sono stati compresi, salvo poi essere rivalutati successivamente. D’altro canto, per altri versi, la generative AI si comporta in modo simile all’essere umano, perché l’uomo è un potente narratore di storie: dico sempre ai miei studenti che ciò che ci distingue dagli altri animali è la capacità di raccontare storie. Giustamente al Pasadina College of Art hanno osservato che più che di ‘homo sapiens sapiens’ bisognerebbe parlare di ‘homo fabulans’, proprio perché noi ci costruiamo la nostra identità nel rapporto con gli altri attraverso la narrazione di storie. Anche la generative AI è in grado di raccontare storie ed è un’evidenza spiazzante, perché per la prima volta ci troviamo di fronte a un’entità digitale capace di misurarsi con questa capacità tipicamente umana”.
PAMBIANCO: Le aziende sono in grado di recepire e di far proprie queste innovazioni per trarne un vantaggio reale, competitivo e misurabile?
NAVA: “Siamo in un momento di cambiamento epocale e le scuole di design possono diventare il luogo i cui le aziende potranno effettivamente provare a misurarsi con la sperimentazione di queste tecnologie. Ci sono già numerose applicazioni che sono effettive: per esempio, abbiamo passato anni a raccogliere dati, ne abbiamo miliardi, i famosi Big Data, e attraverso l’AI possiamo iniziare a sfruttarli. Sul versante della sostenibilità, i processi di intelligenza artificiale sono in grado di ottimizzare tutta la filiera produttiva ma anche i costi di gestione pre e post vendita, andando incontro anche alle esigenze di Ebitda delle aziende”.
PAMBIANCO: In concreto oggi un’azienda come si dovrebbe muovere?
NAVA: “Faccio una provocazione: oggi ci sono aziende che si devono ancora sistemare col Web 2: a chi ancora non lo ha, consiglio di passare direttamente al Web 3. Meglio non spendere soldi nella realizzazione di un sito ma puntare su un’App o su un software che possano ottimizzare i processi”.
ZURLO: “Il cosiddetto design thinking – usato nel settore dell’arredo ma anche nel mondo bancario, finanziario, assicurativo, nel comparto dell’energia e così via – è stato codificato dal Design Council inglese con il simbolo del ‘double diamond’, un doppio diamante che sintetizza i processi convergenti e divergenti per poter arrivare a una soluzione, e con un insieme di quattro D – Discover, Define, Develope e Deliver – che stanno alla base del processo. Quello che stiamo studiando con l’Osservatorio Design Thinking for Business del Politecnico di Milano, che abbiamo creato congiuntamente con i nostri colleghi di Ingegneria gestionale, è che un ruolo di primo piano svolto dall’AI si identificherà nello step di ‘Discover’. In questa fase, infatti, c’è la necessità di settare le informazioni: quante più informazioni avrò a disposizione, più facile sarà mettere a punto delle soluzioni innovative. Quando si parla di settare, si intende il settaggio del problema, ma grazie all’AI ho un passaggio in più, perché posso individuare nuovi aspetti di quel medesimo argomento. Spesso infatti i progettisti – architetti, ingegneri o designer – quando affrontano un determinato tema hanno dei ‘pregiudizi’, si muovono con dei paraocchi costruiti sulla scorta delle abitudini, delle conoscenze acquisite, di un modus operandi che si portano dietro da sempre. Se invece si usano dei mezzi potenti per scandagliare la Rete, possono affiorare dati e aspetti che normalmente non vengono considerati e possono trasformarsi in input particolarmente significativi. In questo senso, l’AI potrebbe davvero amplificare la capacità creativa di un progettista invece che minacciarla. Il design, del resto è innovazione, e l’innovazione è combinazione di conoscenze: quanto più la conoscenza proviene da ambiti ‘lontani’ e tanto più genera qualità, fornisce risposte nuove, talora dirompenti. Un altro aspetto importante dell’utilizzo dell’AI è legato alla dimensione del ‘Define’, che in sostanza è la capacità di creare il prototipo: nel Design Thinking, prima cerco, poi definisco una soluzione, la prototipo, la testo, la valido e infine la metto in produzione. La possibilità di utilizzare l’intelligenza artificiale ma anche la virtual reality e tutto il set di strumenti tecnologici che oggi abbiamo a disposizione, consentirà di realizzare una prototipazione molto veloce ed efficace”.
NAVA: “Questo tipo di processo avrà ricadute notevoli e positive anche sulla sostenibilità. Per esempio quest’anno in Marangoni insieme a un’azienda che collabora con noi abbiamo sviluppato una tecnologia che consente di trasferire il tatto dal fisico al digitale, e materializzare il digitale permette di creare una relazione col prototipo reale. Ho fatto personalmente un esperimento: abbiamo creato un asteroide su una piattaforma lunare e, quando sono entrato, dopo una manciata di secondi in cui toccavo l’asteroide, il mio inconscio lo percepiva come un oggetto fisico. L’AI, che può ottimizzare il prototipo in tempo reale, ma anche la realtà virtuale e i sistemi di sensori che permettono di trasferire i sensi, ci daranno l’opportunità di eliminare tutta una serie di passaggi: ottimizzando i tempi e riducendo scarti e sprechi”.
ZURLO: “C’è anche la possibilità di applicare l’AI su scale differenti. Noi abbiamo un esempio a livello europeo, il NEB – New European Bauhaus – che è stato lanciato tre anni fa, in piena pandemia, e che ha come payoff la dicitura ‘Beautiful Sustainable Together’. ‘Together’ significa che bisogna coinvolgere quanto più possibile i cittadini per migliorare la qualità della loro vita, delle città, dei quartieri. È chiaro che un cittadino non allenato, non riesce a fare delle proposte visionarie, ma se gli si mette a disposizione una guida, che può essere un progettista, che gli consente di fornire gli input giusti a una macchina di elaborazione basata sull’AI, si possono definire degli scenari sui quali costruire consenso e con cui aggregare stakeholder e generare delle iniziative anche a livello urbano”.
PAMBIANCO: Nell’ambito della formazione c’è spazio per stringere ancora di più i rapporti con le aziende nel settore dell’arredo?
ZURLO: “C’è sempre spazio per migliorare. Al Politecnico di Milano ormai da qualche anno abbiamo delle relazioni significative con FederlegnoArredo, che aderisce come socio al nostro consorzio PoliDesign. Con loro abbiamo avviato diverse iniziative e altre ne stiamo sviluppando, in particolare per ciò che concerne la formazione legata alla sostenibilità”.
NAVA: “In Marangoni collaboriamo già con numerose aziende del settore arredo, ma stiamo anche cercano di modificare la relazione con le imprese, in modo tale che il rapporto con la formazione non diventi troppo ‘piatto’. Ci aspettiamo che il luogo scuola venga sempre più visto come uno spazio ricco di opportunità, dove non si rischia di perdere soldi ma, all’opposto, c’è la chance di trovare nuove strade e soluzioni innovative”.