Tre uomini, un minimo comune denominatore. Il mare. Vissuto a bordo di uno yacht a vela, a motore o impegnati in una regata, il rapporto è assoluto e non convertibile con altro. Le testimonianze di Panfilo Tarantelli, Enrico de Crescenzo e Roberto Balma.
Di solito è amore a prima vista. E se non lo si coltiva da bambini, sicuramente lo si rincorre finché non lo si raggiunge. La barca, la vela, il mare non rappresentano soltanto un luogo, uno spazio, un mezzo. Sono soprattutto un modo di essere e di vivere l’elemento. Alla ricerca di un rapporto, quando è autentico, con la natura, il silenzio, l’assoluto. Ma anche con la competizione, quando la passione di trasforma in uno sport. Che è di squadra, fatto di team, di ruoli, di un prima e di un dopo regata.
SENZA COMPROMESSI
Per Panfilo Tarantelli, presidente di Credito Fondiario e fondatore e Ceo di Tages, 35 anni di esperienza nell’alta finanza, la passione “nasce in realtà da una privazione, perché – confida – i miei genitori, mio padre in particolare, non amavano moltissimo il mare: ci andavamo poco e per periodi brevi. Invece, il mare mi è sempre piaciuto. Ogni occasione era buona: a pesca con mio zio, sulle derive. Ma sempre per un lasso di tempo troppo breve. Quindi, non appena me lo sono potuto permettere, avevo 30 anni, ho iniziato ad affittare barche insieme agli amici e quella che era una mia passione innata, si è materializzata”. Tarantelli si definisce un velista ‘stra-puro’: “adoro la vela che è silenzio, contemplazione, sensazione di essere indipendenti e non condizionati dalla benzina o dal un rumore. Confesso: detesto tutto quello che è motore”. Ma c’è un’altra ragione che rende mediamente una persona più ‘adatta’ alla vela: il movimento e le continue attenzioni che la barca richiede: “sono iperattivo. Se mi metto sotto un ombrellone in spiaggia vado in tilt. Invece la barca mi piace perché mi impegna, anche cerebralmente. Essere responsabile della vela è un impegno mentale importante, anche quando ti fermi, metti l’ancora e vai all’ormeggio, tutto è un costante pensiero”. Un modo per “staccare e pensare a cose diverse. Il solo modo – per Tarantelli – per rilassarmi”. Del resto, “la vela è anche riconquistare spazi di equilibrio per se stessi”.
Ma qual è la barca della vita? “Io ho cominciato con una barca acquistata quando avevo 40 anni, un bellissimo Sciarelli One Off, costruito in un cantiere all’inizio degli anni Settanta, in lamellare con l’albero di legno che ho comperato da uno zio di mia moglie. E’ stata una grande passione. Oggi ho un Southern Wind 72, che sicuramente va molto al di là della più bella barca che ho mai sognato di avere prima. Sono andato oltre il mio stesso sogno di gioventù”. Più difficile il rapporto con il mare e le marine italiane per Tarantelli: secondo me l’Italia è già troppo costruita, ci sono troppe barche, ci sono troppe strutture. Mi piace andare a vela in luoghi abbastanza isolati, in Grecia, Tunisia. Italia, Francia sono troppo affollate per i miei gusti”. Certamente, per Tarantelli la nautica deve crescere per creare posti di lavoro, “è – afferma – assolutamente corretto. Ma non posso negare che preferirei che tutto rimanesse così. Già troppe costruzioni, troppo affollamento. E’ un pensiero un po’ politically incorrect, un po’ retrogrado ma non posso non dire che mi piacerebbe che la natura potesse essere lasciata il più possibile così”. E questo sottostante è anche il motivo “per cui me ne sono andato in Atlantico”. Due le transoceaniche affrontate a oggi, una ancora da fare. Ma probabilmente di più, un giro del mondo. “Tra qualche anno. Amo le traversate. Sono le situazioni in cui posso stare più a contatto con il mare. Non c’è niente di più forte che una traversata notte e giorno. L’Atlantico è sempre stato un sogno, sin da ragazzo, e mi sono sempre chiesto se un giorno lo avrei mai attraversato. Oggi ho 65 anni e sono dell’opinione che i sogni bisogna sempre perseguirli, anche se sono un po’ bislacchi. Del resto, la vita è il continuo inseguimento di un sogno. Quello per me lo era. E mi è piaciuto così tanto che poi ci sono ritornato e ora voglio davvero fare un giro del mondo”.
Insomma, la barca a vela, per il rapporto unico con la natura e con se stessi, ma anche, afferma Tarantelli, “con la famiglia. Ho sei figli e il mare è il nostro modo per stare insieme”. E sempre nel solco del rispetto dell’ambiente e della natura, Tarantelli vede che “si inizia a materializzare la possibilità di avere motori ibridi anche sulla barca a vela, propulsione elettrica e possibilità di sfruttare le energie rinnovabili che sono, a questo punto, disponibili. Così se si è costretti a usare il motore perché non c’è vento, almeno lo si può fare nella maniera più sostenibile possibile”. Un traguardo questo “molto vicino. Stanno iniziando a sperimentare questa tecnologia sui Southern Wind, che poi è il cantiere che ha fatto la mia barca nel 1999. La tecnologia ha fatto passi da gigante e sarebbe una bella svolta per la nautica”.
TUTTO UN MONDO INTORNO ALLA VELA
Per Enrico de Crescenzo, avvocato di Roma, “la prima passione è stata per le barche, indipendentemente che fossero a vela, a motore o da pesca. Da bambino, ogni occasione era buona per andare con i pescatori, con chiunque avesse una barca a motore. Mi è sempre piaciuto l’oggetto barca. Da piccolo mi regalarono una piccola barca a di legno ma, al di là delle uscite con gli amici, la prima esperienza velica è stata quella con il windsurf, fino a 28 anni”. È stato nel 1996 che “ho comunicato alla mia famiglia l’intenzione di acquistare una barca a vela. Mi accompagnarono alcuni amici e ne scelsi una di 8 metri. Da lì si è avviata questa esperienza di mare, non ancora legata alle regate”, che arrivano dopo, nel 2012. “Mi sono appassionato e non ho più smesso”. Avendo sperimentato sia la vela sia il motore, “posso dire che la barca a motore è un mezzo; con la vela si crea un rapporto di passione e di amore. È una barca con la quale instauri una relazione. Ne consegue un modo di pensare che chi non appartiene a questo mondo difficilmente comprende. E’ totalizzante, c’è sempre qualcosa da fare quando sei su una barca a vela. Va curata e accudita”. Insomma “diventa un pezzo di vita: qualcosa che ti fa sentire vivo. Una regata, una sessione di allenamento è qualcosa che mi fa bene come persona, come uomo, marito e padre. Se i tuoi figli vedono che sei attivo e vedono che ti diverti come si divertono loro, diventi più credibile, in qualche modo”.
De Crescenzo confessa che “la vita mi ha dato molto e il mare e la vela ci hanno messo una bella rosa intorno. Sono due passioni e le passioni sono fondamentali. E dopo 4 anni arrivano le regate e le vittorie”. Il primo amore, racconta, è stato un Grand Soleil 46 “che ho amato immensamente perché su quella barca si è formato l’equipaggio. Tutti quanti abbiamo individuato in quella barca il luogo dove si sono create delle relazioni affettive. La barca attuale, un Grand Soleil 48 Full Carbon, rappresenta quello che per me è l’ideale: una barca molto comoda, ma gestibile anche quando sei al di fuori del campo di regata. E c’è spazio per tutta la famiglia. Luduan 2.0 è stata costruita dai Cantieri del Pardo, cercando di rispondere a ogni più piccola richiesta dell’armatore. Certo, essendo una barca da crociera e da regata “è sempre un compromesso”. “Ma se ne hai due – fa notare – non riesci a creare quel rapporto speciale. Questa barca l’ho cercata, l’ho fatta costruire come la volevo io e il cantiere mi ha seguito. E’ fantastica da crociera e per la regata ci stiamo lavorando”. E i risultati si vedono, dal momento che è stata proprio Luduan 2.0 il vincitore finale overall della Coppa Regina dei Paesi Bassi, dopo avere percorso 112 miglia in 20 ore e 10 minuti, vincendo anche la classifica ORC, il Trofeo Marinariello per la line-honours.
E questo anche grazie a “una forma di impegno della mente, di continui interventi e migliorie. Trovo che questo sia importante anche come messaggio. A me regattare piace, ma quello che amo ancora di più è organizzare tutto, vedere il team che cresce, migliorare le prestazioni a bordo. Una regata non è mai fine a se stessa. E la barca non è un investimento, ma un impegno che dura 360 giorni l’anno. Mi sveglio di notte e penso: “ma per alleggerire la poppa di 10 kg come posso fare? Allora, l’indomani chiamo l’ingegnere, il progettista, il team manager. Un divertimento, ma a tutti gli effetti un lavoro”. Prossimo appuntamento la ‘151 Miglia’, la cui partenza è in calendario il 30 maggio. Una stagione che, a causa del Covid, “è andata così, con tre regate nell’Arcipelago toscano”. E sulla sicurezza a bordo, De Crescenzo è netto: “abbiamo un protocollo Fiv che a mio avviso è migliorabile. Il discorso è molto semplice: se il virus sale a bordo, sei finito. Null’altro da dire. Nella regata c’è sempre un momento in cui il metro di distanza è impossibile e, se hai la mascherina e dai i comandi, non li sente nessuno”. Allora, “il Covid non deve salire a bordo e a quel punto sei nel posto più sicuro del mondo. Quindi noi ci siamo dato come obbligo un tampone molecolare quattro giorni prima della regata e il giorno prima un antigienico. Andare in barca in queste condizioni è più sicuro che al supermercato. Abbiamo di molto potenziato quelle che erano le richieste Fiv”.
DAL MARE E SENZA LIMITE
Anche per Roberto Balma, presidente e amministratore delegato di Nu Air, il rapporto con il mare è assoluto. “Ho sempre avuto un rapporto con la natura molto forte, mare o montagna che fosse. Ho avuto la fortuna, a 12 anni, di poter frequentare dei corsi di vela a Cannigione. Nasco dunque come velista. Sono andato in barca a vela fino all’età di 25 anni e non nascondo che quelli sono i ricordi più belli, con gli amici, le traversate notturne, gironzolando per il Mediterraneo in un mix di vita spartana e contatto con il mare”. Un’esperienza che sicuramente “ha contribuito ad alimentare il mio amore per le imbarcazioni”. Poi un momento di pausa. Ma 8 anni fa “è riesploso l’amore quando sono entrato in contatto con Sanlorenzo. So che qualcuno avrebbe da dire pensando a un velista che sale su barca a motore, ma chi ama il mare lo può immaginare. Dall’avere sempre affittato le barche sono dunque diventato armatore”. La scelta ricade su Sanlorenzo perché è un cantiere che ti consente “personalizzare la barca esattamente su misura delle tue esigenze. E’ stato un colpo di fulmine. Lì ho trovato tutto quello che cercavo. Sanlorenzo è famosa per il design, per lo stile e per la personalizzazione di interni ad alto livello”. E poi “la uso per me, non come status symbol o strumento di ostentazione. In questo – scherza Balma – sono molto sabaudo. E’ la mia casa sul mare. Ho voluto qualcosa di esteticamente bello, che avesse una grande qualità di finiture interne e soprattutto una grande affidabilità a livello di impiantistica e motoristica”. E poi, confessa, “quando devo scendere dalla barca mi piange il cuore. Il livello di comfort è eccezionale, hai la possibilità di andare dove vuoi, cambiare direzione e programma, sei libero e puoi visitare nel Mediterraneo i più bei posti al mondo. Con la barca li vedi tutti, dal mare e senza limite”.
E non appartiene, Balma, a quella categoria di armatori che amano la velocità: “vengo dalla vela – chiosa – e non è il mio obiettivo. Mi piace la brezza in faccia, ma anche vedere la costa e godermi il mare, essere un giorno a Capri e un altro in un’isola disabitata e inaccessibile”. Tutto questo “è impagabile, ovviamente se ami il mare, il sole e la vita all’aria aperta. Emozioni che solo la barca è in grado di darti. E’ anche un momento in cui si riunisce la famiglia, è felice, serena, ci si ritrova con gli amici. Non a caso l’ultima barca l’ho chiamata Together e il nome di quella in arrivo avrà un grandissimo significato di emozione e effetto per il mare”. E poi un appello, che è soprattutto la speranza di un cambio di passo: basta con la logica del proprietario di barche che è evasore. “Un assurdo che venga esteso a tutti questo concetto, che diventa pregiudizio, anche verso chi paga regolarmente le tasse e la sua barca se l’è guadagnata”. Un tema anche culturale che porta a distorsioni tali per cui “un Paese come l’Italia, con le coste e le meraviglie naturali che si ritrova, demonizza chiunque abbia una barca, di qualsiasi dimensioni. Francia e Australia incentivano questa attività perché è tutto business. Invece noi facciamo di tutto per mettere in difficoltà gli armatori, allontanare gli stranieri. Abbiamo tutto quello che il mondo ci invidia e fatichiamo a organizzare il turismo compreso quello nautico”.