Il cuore della città si fa sempre più verde e cambia la concezione degli impianti sportivi: da voce di spesa pubblica a potenziale fonte di guadagno, improntato a criteri etici e in grado di attrarre investimenti privati. Ne parla Vittorio Grassi, progettista specializzato.
Aree green e impianti sportivi di nuova generazione sono strategici nei documenti di programmazione dei territori, concepiti per essere non solo sostenibili finanziariamente, ma anche, a loro volta mezzi di sviluppo sostenibile, nel rispetto dei criteri Esg. L’obiettivo è creare un circolo virtuoso dove lo sport possa adempiere alla sua funzione ricreativa e agonistica ma sia anche fattore sociale aggregante. E non tanto, o non più, un costo per le amministrazioni pubbliche, piuttosto fonte di guadagno improntato a criteri etici, che sempre più accendono l’interesse degli investitori.
SPORT E SHOPPING
“Noi che di masterplan abbiamo molta esperienza, possiamo dire – spiega Vittorio Grassi che guida l’omonimo studio di architettura di Milano – che all’impianto sportivo servono attività che siano capaci di equilibrare il ‘costo dello sport’: attività commerciali, attività di ristorazione, ad esempio. Non solo. Anche i nuovi interventi urbani hanno bisogno di poli aggreganti che sono rappresentati proprio dallo sport, che svolge una funzione sociale”. Peraltro , tutto ciò che è sport incontra sempre più l’interesse -e l’intervento- privato: si configurano con sempre maggiore frequenza situazioni di impianti privati ad uso pubblico “e anche gli investitori, che poi – chiosa l’architetto – sono quelli che rinnovano le città, gli stessi che hanno reso Milano più bella e che poi mettono i soldi perché ci credono, ormai lavorano sempre più assecondando i fattori Esg, ovvero i tre criteri – Enviromental, Sustainability e Governance – che se integrati nelle attività finanziarie, le qualificano come etiche”.
In effetti, impattano laddove sono contemplati, a più livelli: in termini di sostenibilità e tutto ciò che comporta, ad esempio anche parità di genere, di istruzione; ma anche sulla governance “perché si ispira a principi democratici e salvaguarda i diritti di chi dà lavoro e di chi lavora” tiene a sottolineare. Peraltro, oggi la pianificazione è tutta negoziata, ma è realistica proprio perché negoziata, e questo significa che poi funzionerà: “se un investitore vuole metterci dei soldi, vuol dire che ci crede e questo comporta da parte del progettista la necessità di prevedere quelli che saranno gli scenari futuri. Questo è il suo compito: immaginare le forme e le funzioni della città nel futuro. Non è il demiurgo, ma lavorare alla scala della città non è come lavorare a una piccola scala”.
PROGETTI TECNICI
Al centro di ogni masterplan, ma anche di ogni progetto, nella filosofia dello studio di Vittorio Grassi, c’è sempre di più lo sport. Che, peraltro rappresenta “una bella sfida”. “L’impianto sportivo, in particolare se di nuova costruzione, – fa notare il progettista – ti permette di lavorare molto sull’aspetto tecnologico, dell’innovazione e strutturale. Questo accade a maggior ragione se le dimensioni sono importanti. E’ sfidante, come tutti i progetti, ma un edificio per lo sport rappresenta una sfida ancor più grande dal punto di vista tecnologico e tecnico”.
Chi ha avuto a che fare con questo genere di progetti, sa che “l’impianto sportivo – spiega ancora Grassi – è una macchina. Non è un edificio, ma una vere propria macchina e, come tutte le macchine, deve funzionare, essere al passo con le normative che cambiano continuamente, sia quelle generali, ed esempio relative all’approvvigionamento energetico, alla sicurezza, ma anche con riguardo ai singoli sport che vengono ospitati nei palazzetti”. Per semplificare, un conto è che si svolgano attività sportive dilettantistiche. Un altro è che si ospitino gare internazionali. Nel primo caso non vanno assecondate speciali norme di Coni e delle singole Federazioni. Nel secondo, obbligatoriamente. “In impianti come quello che stiamo costruendo a Lamezia Terme, ad esempio, si devono seguire regolamenti stringenti perché le Federazioni delle varie discipline lo richiedono. Bisogna conoscerli, essere aggiornati e applicarli, ma anche far capire alla committenza che più uno spazio deve essere flessibile, più è complesso da progettare, e più costa”.
Ma non è tutto. Altro tema sono gli sport paralimpici, che richiedono standard ancora maggiori ad esempio per gli spogliatoi, per le vie di fuga. Vanno previsti avvisi sonori e tutto ciò che è necessario per andare incontro a diverse forme di disabilità. Degli sportivi e anche degli spettatori. “ L’amministrazione di Lamezia ha voluto un palazzetto che avesse tutte queste caratteristiche perché fosse un impianto di riferimento non solamente per la città, ma anche per tutto il Sud Italia”.
IL CASO MEAZZA
Si può affermare che, progettare un certo tipo di impianto sportivo è assai complesso e se si aggiunge il tema della proprietà, spesso pubblica, allora si capisce il perché del sorgere di domande che appassionano un po’ tutti, quando, ad esempio, si deve decidere se demolire un edificio esistente o conservarlo. E se poi si parla del Meazza… difficile trovare uno che non abbia una sua propria opinione. “Io come progettista posso solamente dire che è quasi impossibile mettere a norma un impianto sportivo esistente. Che sia degli anni 70, che sia degli anni 50, è impossibile” evidenzia Grassi. Che aggiunge: “il 90% degli impianti in Italia funziona grazie a deroghe del prefetto”. In poche parole, laddove non ci sono le condizioni di sicurezza che la legge richiede, il prefetto concede, in deroga appunto, l’utilizzo dell’impianto e una serie di contromisure, come l’impiego di uomini sul posto. “Ma non può funzionare così perché tutto diventa straordinario e non c’è più niente che sia ordinario”.
Nel caso specifico di San Siro, gli studi concorrenti “hanno dimostrato che non è pensabile che l’impianto, possa essere reso praticabile per eventi agonistici, visto che già adesso funziona con delle deroghe. Posso capire – sottolinea Grassi – la scelta di andare su un impianto nuovo. Capisco anche, d’altra parte, quello che dice il Comune e cioè che non si può fare una minusvalenza demolendo e basta. Ci sono delle politiche amministrative che vanno rispettate. Peraltro rimarrebbe proprietà del Comune e il Comune dovrebbe provvedere”. Ora si dovrà attendere la decisione finale, ma di certo sarebbe “un’occasione persa per tutti se lo stadio dovesse finire a Sesto San Giovanni, o a San Donato”.
Procede intanto l’iter per la realizzazione del nuovo stadio a Milano. Dalla presentazione dei progetti da parte di Inter e Milan avvenuto lo scorso anno, molti passi avanti sono stati fatti. Palazzo Marino, che si è sempre espresso negativamente rispetto all’abbattimento del Meazza, ha chiesto di rivedere i masterplan e di considerare una ristrutturazione e un reindirizzo del vecchio stadio. Un compromesso, insomma, che probabilmente si renderà necessario se si vuole che il tempio del calcio milanese resti a San Siro e non venga costruito altrove. Ecco che le nuove ipotesi presentate insieme agli studi manica e Popolous “in ottemperanza alle indicazioni dell’amministrazione comunale e come convenuto nel precedente incontro, prevedono una rifunzionalizzazione del Meazza destinandolo prevalentemente a funzioni sportive di base e a funzioni di intrattenimento per far vivere il distretto di San Siro 365 giorni all’anno, in ottica di servizio e beneficio per la cittadinanza. I Club proseguiranno nell’approfondimento tecnico ed economico delle ipotesi progettuali presentate, sempre in coerenza con le linee guida indicate dal Comune”. Il più recente step ha visto l’incontro tra l’assessore al Bilancio, Roberto Tasca, l’assessore al Turismo e Sport, Roberta Guaineri e i rappresentanti di Inter e Milan. Al centro della discussione gli aspetti economici e finanziari. In particolare si è parlato dei diritti di superficie che le squadre nella loro proposta iniziale di realizzazione di un nuovo stadio proponevano di pagare dopo 32 anni. Davanti al ‘niet’ del Comune, i club hanno presentato un nuovo piano di fattibilità economico. Il diritto di superficie verrebbe pagato da subito e non dal 33esimo anno. Il costo ingloberebbe anche i 100 milioni di euro che rappresentano il valore di San Siro secondo quanto stimato dall’Agenzia delle Entrate. Su tutto incombe ancora, però, la decisione della Sovrintendenza circa il vincolo sul vecchio stadio che dovrebbe arrivare a marzo. I giochi sono dunque ancora tutti aperti.