Forever Bambù ha piantumato in Italia dieci foreste. Ha raccolto 20 milioni di euro da 1.500 soci e guarda alla Borsa: “Il futuro è nelle bioplastiche, nel tessile e nell’industria edile”, racconta Emanuele Rissone.
Esistono poche piante versatili come il bambù gigante, una specie che non si sviluppa naturalmente in Europa ma che in Italia viene importata, piantumata e coccolata per ettari in crescita. Emanuele Rissone è tra chi ha scommesso sulle potenzialità industriali di questi alberi e oggi guida Forever Bambù, un’azienda che controlla dieci foreste di bambù gigante nella Penisola. Ragiona con la testa di chi guida una startup e ha il piglio dell’imprenditore navigato che vuole produrre piante in scala industriale. L’obiettivo è unire sostenibilità ambientale e ritorno economico in un’avventura imprenditoriale del tutto originale: “Abbiamo raccolto 20 milioni di euro, con campagne di crowdfunding che hanno raggiunto oltre 1.500 soci in tutta Europa”, racconta Rissone a Pambianco. “In questo momento siamo l’azienda green tra le più finanziate, il nostro percorso è tracciato verso la quotazione in Borsa”.
LA PIANTA CHE RINASCE DALLE SUE CENERI
L’idea è nata nel 2014, da un’intuizione di Rissone che oggi è presidente di Forever Bambù. Al suo fianco fin dai primi giorni anche Mauro Lajo, agronomo esperto di agricoltura sostenibile. “Abbiamo scelto di importare in Italia il bambù gigante perché è una pianta con un grado di sostenibilità imparagonabile: ha la capacità di riprodursi quando viene tagliato e cresce molto più velocemente di altri alberi. In otto anni diventa un colosso da 12 metri che può ricrescere. È come se fosse un filo d’erba in grado di dare legna per cento anni se viene trattato con attenzione, una pianta che cresce dalle proprie ceneri. Come la fenice”. Oggi le dieci foreste di Forever Bambù non sono ancora diventate mature, nei progetti c’è quello di tagliare ogni anno circa il 25-30% dell’intera foresta per tenere in vita l’ecosistema il più a lungo possibile. “La prima nostra foresta è a Casale Monferrato, in provincia di Alessandria. Sono passati circa sei anni e mezzo e gli alberi iniziano a diventare grandi. All’inizio non avevamo sviluppato le tecniche sulle quali possiamo contare ora, quindi all’inizio la crescita è stata un po’ più lenta. La più grande delle foreste – spiega Rissone – sarà invece a Castiglione della Pescaia, in provincia di Grosseto, dove abbiamo appena comprato un milione di metri quadrati di terreno che deve essere ancora piantumato con bambù gigante”. In totale Forever Bambù conta su un parterre di 176.400 piante in 193 ettari di terreno (275 campi da calcio regolamentari, per rendere l’idea).
TUTTE LE APPLICAZIONI, DAL TESSILE AI MATTONI
Cosa farne di tutti questi bambù giganti? “Esistono così tante applicazioni e possibili filiere che imprenditorialmente il bambù è un prodotto necessariamente interessante. Può spaziare dalla filiera alimentare a quella industriale o al tessile, passando per le cartiere e la plastica innovativa”. Insomma, “si tratta di vera e propria materia prima biodisponibile per un intero secolo”, sottolinea il founder. Oggi, in attesa che le foreste di Forever Bambù arrivino ai 12 metri di altezza della piena maturità, la sua azienda si focalizza su due direttrici fondamentali: “Il primo prodotto che vendiamo sono i crediti per la compensazione della Co2 per le imprese, perché siamo stati in grado di certificare il processo di assorbimento dell’anidride carbonica e contribuiamo alla transizione ecologica aiutando le aziende italiane a mitigare il loro impatto sull’ambiente. Come prodotto finale, invece, siamo concentrati sulla realizzazione di bioplastica: collaboriamo con uno stabilimento che lega la plastica riciclata al bambù. Per ora offriamo la materia prima, ma dopo la quotazione in Borsa l’idea è sviluppare una linea autonoma acquisendo uno stabilimento per la plastica dolce, come la chiamo io”. Lo sviluppo delle linee di business viene fatto sul campo: “Testiamo i mercati e valutiamo il loro impatto. Le bioplastiche e la compensazione di Co2 hanno dato delle buone risposte, meno ad esempio l’industria alimentare che era un mondo che a me piaceva tantissimo: ci siamo presto resi conto che era economicamente insostenibile continuare perché i germogli in Italia sono ancora troppo piccoli e vengono pagati davvero troppo poco”. Un business che potrà essere implementato quando i raccolti saranno con germogli da più di un chilo, “non come adesso che sono appena di tre-quattro etti al massimo”.
APPUNTI PER IL FUTURO, CARTA E FILATI
Come appunti per il futuro Rissone fissa, oltre alla bioplastica, “la carta e i filati, per i quali si possono creare filiere complete. Nel mondo della carta – nota il presidente di Forever Bambù – la cellulosa è altamente richiesta ed è una materia prima scarsa sul pianeta; trovare una soluzione alternativa garantirà un futuro a chi sarà in grado di sviluppare la formula magica con una materia biodisponibile come il bambù. Altro segmento in forte espansione è quello dei tessuti innovativi: realizzare la viscosa in bambù e riuscire a fare il filato, per cui chiudere la filiera, potrebbe essere uno sviluppo interessante per un’azienda innovativa. Meno interessante, almeno per noi, sono le piccole cose fatte in bambù che lasciano il tempo che trovano… Gli accessori non li vedo adatti a un’espansione industriale”, sostiene. Nell’edilizia il bambù può diventare uno strumento complementare, da legare ai materiali tradizionali per riciclare di più e sprecare meno. “La polvere o la fibra tritata che viene utilizzata dall’industria edile potrebbe essere miscelata con fibre di bambù per sviluppare strade, cemento o mattoni innovativi. Una possibilità che da una parte contribuirebbe ad abbattere le emissioni di Co2 del settore e dall’altra renderebbe più green un prodotto che ovviamente sostenibile del tutto non potrà mai essere per le sue caratteristiche”.