Grazie all’inventiva delle imprese impegnate nelle attività di estrazione e di trasformazione, marmi, graniti, travertini e tutti i materiali più duri da lavorare oggi diventano i duttili ‘ingredienti’ di una nuova creatività.
Fino a oggi il comparto italiano della pietra non è stato scalfito dagli effetti della crisi. In base ai dati elaborati dal Centro Studi di Confindustria Marmomacchine, nel 2022 l’export di marmi, travertini, graniti e pietre naturali (inclusi grezzi e lavorati) è aumentato in valore del 13,1% rispetto al 2021, raggiungendo i 2.131,8 milioni di euro. Il merito dell’exploit è dovuto anche alla sempre maggiore diffusione delle declinazioni furniture e contract dei materiali lapidei, uno dei trend topic nel calendario della 57a edizione di Marmomac: la fiera internazionale dedicata alla filiera della pietra naturale in programma a Verona dal 26 al 29 settembre, dove quest’anno spiccano mostre e padiglioni dedicati alla sinergie con architetti e designer e alle applicazioni delle macchine a controllo numerico. Che schiudono al settore litico possibilità finora inesplorate, ma ormai – come assicurano i maggiori player – pienamente praticabili.
Antolini: “Le nuove tecnologie amplificano e migliorano le prestazioni”
Fondata da Luigi Antolini nel 1956 a Sega di Cavaion, in provincia di Verona, Antolini è un’azienda storicamente in prima linea per la promozione dell’uso diffuso delle pietre naturali. È una mission che, nel tempo, ne ha consolidato la leadership con crescite a doppia cifra: l’esercizio 2022 ha infatti chiuso con un fatturato di 127,5 milioni di euro, contro i 107,5 milioni dell’anno precedente. E le prospettive per fine 2023 sono positive anche in termini di penetrazione di nuovi segmenti di clientela. “Attraverso gli investimenti mirati in ricerca & sviluppo e l’impegno costante per l’eccellenza, siamo quotidianamente impegnati per interpretare e talvolta anticipare le tendenze e offrire soluzioni innovative e su misura che soddisfino le necessità dei clienti più esigenti, fornendo prodotti che uniscono alta qualità, tradizione e prestazioni all’avanguardia”, spiega il CEO Alberto Antolini. In quasi 70 anni di attività, l’azienda veronese ci è concentrata sulla continua espansione della gamma di materiali, sull’upgrade tecnologico e sull’ampliamento della presenza a livello globale, soprattutto in Europa e negli Stati Uniti: un impegno che si concreta, in primis, nell’offerta di un’ampia gamma di pietre naturali, con particolare rilievo per la linea Exclusive, il fiore all’occhiello del brand. “È una collezione che viene costantemente aggiornata e comprende materiali esclusivi di altissima qualità. Ogni mese, infatti, attraverso una ricerca attenta e meticolosa, introduciamo nuove referenze in sintonia con gli ultimi trend e con le esigenze dei nostri clienti: fra le new entry del cataologo Antolini protagoniste a Marmomac nello stand curato da Alessandro La Spada, ci sono per esempio il Cristallo Vitrum, che rappresenta un’evoluzione nel concetto di trasparenza e luminosità delle pietre naturali, il Patagonia Vitrum, un natural quartz ideale per rivestire grandi superfici verticali e orizzontali, e Amazonite, una quartzite d’origine vulcanica che, grazie alla palette che spazia dal turchese al verde smeraldo, arricchisce qualunque ambiente con sfumature rilassanti ed elegantemente esotiche”. All’interno del spazio di Antolini in fiera sarà allestito anche il Museo Infinitum: “Un’esperienza studiata per far conoscere le nuove varianti materiche della nostra Textures+Collection, che con più di 50 finiture speciali che valorizzano la bellezza delle pietre naturali consente di realizzare superfici e motivi esclusivi su materiali già di per sé unici, non foss’altro perché creati in milioni di anni da Madre Natura”.
Henge: “Lasciamo che sia la pietra a guidare ogni progetto”
”Siamo nati come brand di design, e la pietra appartiene al nostro Dna insieme ad altri materiali, come il metallo e il legno. Crediamo alla bellezza del prodotto timeless, ed è per questo che non abbiamo mai smesso di cercare nelle cave le vene meno note e i giacimenti di nicchia, dai quali ci lasciamo ispirare per la nostra produzione”. Paolo Tormena, CEO di Henge, azienda fondata nel 2011 a Farra di Soligo, in provincia di Treviso, ha una passione speciale per le pietre non convenzionali, che definisce “le pecore nere” della galassia minerale. Con gli architetti Isabella Genovese, partner in Henge e nella vita, e l’art director Massimo Castagna, costruiscono mobili con materiali lapidei unici, “lasciando che siano le peculiarità di ogni pietra a guidarci nel progetto”. È la capacità di adattarsi alla natura e di mettere in risalto la squisita artigianalità delle lavorazioni che arricchisce il catalogo Henge di capsule e serie limitate caratterizzate da texture autentiche ed espressive, spesso frutto di ritrovamenti fortuiti: è il caso, fra i tanti, della Breccia Medicea, una pietra rinascimentale color fegato (Michelangelo la utilizzò per il sepolcro del Vasari) che si credeva estinta, e che Tormena ha trasformato in pezzi di forte identità, come per esempio Ozone, un’isola-cucina dall’aplomb architetturale. Del puntiglioso scouting lapideo sono testimonianza anche le ultime collezioni: i tavolini He-She di Ugo Cacciatori, le lampade della serie Test, la consolle Dogma di Castagna o il tavolino Origami, in cui la pietra viene piegata come se fosse carta.
Stime di crescita al 30% e una nuova sede che riqualifica il territorio
È proprio in virtù di questa libertà espressiva (e di un parterre di autori come il duo George Yabu-Glenn Pushelberg, Emmanuel Babled e Maarten Baas, per citare alcuni nomi) che Henge – oggi presente in oltre 70 Paesi e con clienti che spaziano da Dior agli hotel Ritz Carlton – raccoglie consensi “soprattutto negli Stati Uniti, in Medio Oriente e in Europa. Qualcosa si muove in Cina ma anche l’Italia negli ultimi dodici mesi è cresciuta di circa il 20%”. L’azienda trevigiana ha archiviato il 2022 con un fatturato di 28,5 milioni di euro (erano 19 nel 2021), e per il primo semestre 2023 le previsioni di crescita sfiorano il 30%: “In base agli ordini ricevuti, avremmo potuto fare ancora meglio, ma il nostro è un lavoro manuale e ha i suoi tempi”, dice Tormena. Ci vorrà del tempo anche per far crescere le viti e gli alberi da frutto intorno alla nuova sede Henge che sta sorgendo a Follina, fra le colline del Prosecco: dopo aver abbattuto un capannone di quasi 20 mila metri quadrati su un’area di 50 mila, “adesso l’obiettivo è di riportare a verde 15 mila metri quadri della ex zona industriale e di aprirla alla comunità, restituendo al territorio la sua grande bellezza”.
Salvatori: “Reinventiamo gli scarti lapidei nel nome della sostenibilità”
I prodotti lavorati rappresentano più dei tre quarti del valore totale dell’export lapideo italiano, e continuano a essere i principali driver del comparto litico nazionale. Fra i protagonisti indiscussi di questo segmento c’è Salvatori, azienda nata nel 1946 a Querceta, all’ombra delle Apuane, e leader nei processi per il riuso virtuoso della pietra. “Il nonno Guido estraeva da una cava in Versilia un materiale scistoso color verde salvia, difficile da tagliare in lastre”, ricorda Gabriele Salvatori, CEO e terza generazione, dopo il padre Alfredo, al timone del brand. “Nel 1950 s’inventò uno strumento per ridurre la pietra a striscioline lunghe 10 cm, larghe e spesse 2 cm: nacque così lo ‘spaccatello’, con cui nel Dopoguerra abbiamo rivestito le architetture più prestigiose in tutto il mondo, dall’Eur a Roma fino ai palazzi di New York”. L’altro colpo di genio fu quello di applicare le tessere sopra stuoie di juta con una miscela di colla e acqua, che poi andava sciolta al momento della posa: “Ne spedimmo negli States 22 mila metri quadrati per rivestire il Los Angeles County Museum of Art (LACMA)”. Bisogna arrivare al 2009 per il lancio di Lithoverde®, rivoluzionaria finitura lapidea composta al 99% da avanzi di lavorazione del marmo e per l’1% da un legante a base di soia, che contribuisce a migliorare le qualità meccaniche della pietra: John Pawson, il profeta del minimalismo, lo utilizzerà per edificare la sua celeberrima House of Stone, presentata al Salone del Mobile di Milano nel 2010, ma Lithoverde® è anche il materiale del nuovo quartier generale di Google in California, che ha conquistato la certificazione Leed Platinum.
Un materiale rivoluzionario che stravince nei punteggi per il leed
È stata un’idea di Gabriele Salvatori quella di scrivere all’US Green Building Council per illustrare i plus Lithoverde®: “Per dare i punteggi legati al Leed, si usava il criterio della regionalità: per ricevere due crediti, la pietra doveva provenire da non più di 500 miglia di distanza dal cantiere. I nostri prodotti, invece, hanno ottenuto sette crediti: tre per il recicle content, tre per l’innovation design e uno come low emitting material”. Sempre sul fronte della sostenibilità, “è dal 1975 che filtriamo l’acqua necessaria per la segagione, che per decenni è stata scaricata nei fiumi e blocca la fotosintesi, e da sempre i nostri prodotti ottenuti degli scarti sono un esempio di economia circolare, con declinazioni che oggi spaziano anche negli interiors, con arredi e complementi per la zona bagno e non solo, come dimostrano le collezioni Bamboo, del Salvatori Design Centre, o Hito e Patchwork di Piero Lissoni, firma della nostra scuderia insieme a Patricia Urquiola, Elisa Ossino, Yabu Pushelberg, Kengo Kuma e Michael Anastassiades”. Con un fatturato 2022 a 20 milioni di euro (+ 30% rispetto al 2021), una previsionale per il 2023 di +30%, e una spesa in ricerca e sviluppo in ottica green intorno ai 2 milioni, Salvatori consolida all’estero (Stati Uniti, Europa, Middle East) il 98% dei ricavi, ma poco per volta sta crescendo anche l’Asia: “A febbraio abbiamo inaugurato uno showroom di oltre 600 mq a New York, nel cuore di Soho, progettato da Yabu Pushelberg, di recente abbiamo aperto un flagship store a Shanghai e nei prossimi mesi è in programma un nuovo spazio a Miami”.