Navigare nel pieno rispetto dell’ecosistema marino a bordo di yacht a basso impatto ambientale, riducendo consumi ed emissioni, è già possibile. E la sostenibilità on board si trasforma in variabile strategica.
L’emersione di una nuova consapevolezza green nel settore nautico era un’onda lunga che stava acquistando potenza ben prima dell’avvento della pandemia. Ma è stata soprattutto la ripresa post Covid che ha consolidato la svolta verso la sostenibilità nel mondo della cantieristica per yacht: l’esigenza di tutelare l’ambiente ispira i produttori, inizia a condizionare le scelte dei clienti e funge da bussola anche nel mondo della finanza, sempre meno disposta a investire in aziende a elevata carbon footprint. Il risultato è che, di qui a dieci anni, uno yacht che inquina rischia di essere fuori mercato. Per cui, bisogna attrezzarsi.
Quali sono, in concreto, le azioni necessarie per rendere un’imbarcazione più ‘verde’ in termini di consumi, riduzione dell’inquinamento, equipaggiamento, oltre che sul fronte dello smaltimento degli scafi esausti? “Si comincia con la progettazione, che deve essere pensata a monte per il fine vita con possibilità di smaltimento sostenibili”, spiega Barbara Amerio, CEO di Amer Yachts – Gruppo Permare, l’azienda sanremese leader a livello internazionale nel settore della cantieristica nautica, che nel 2023 festeggerà i suoi primi cinquant’anni di attività. “Bisognerebbe gradatamente ridurre il peso dei compositi tradizionali usati per gli scafi e sostituirli con materiali smaltibili: a tale proposito, abbiamo anche coniato una parola – ‘devtrizzazione’ – per esprimere meglio il processo di riduzione dell’utilizzo della vetroresina. È un percorso virtuoso che aiuta a contenere consumi ed emissioni e aumenta l’autonomia per andature di crociera economica o a dislocamento, andature già ora possibili 24/h con nuove generazioni di motori che avranno anche applicazioni ibride pronte per uscire sui mercati in attesa dell’avvento dell’idrogeno, che rivoluzionerà le sale macchine in futuro”.
FIBRE DI BASALTO E CORE A BASE DI PET SONO DESTINATI A SOSTITUIRE LA VETRORESINA
C’è dunque spazio per sperimentare. A partire dal problema dell’alleggerimento degli scafi e della progressiva sostituzione della vetroresina. “Stiamo promuovendo una ricerca su fibre di Filava e basalto semplice accoppiate con bio resine e core di Pet, e siamo convinti che questa sia la svolta per ottenere i bio-compositi utilizzabili per la costruzione come per gli stampi. La strada è ancora lunga, ma Diab sta già effettuando il secondo round di test che saranno a breve disponibili, e con il RINA (il Registro italiano navale e aeronautico, ndr) stiamo certificando il materiale per un uso strutturale. È necessario riuscire a valutare l’impronta ecologica dell’intero processo, e ci sono diversi programmi studiati per aiutare le aziende a fare un’autovalutazione. In parallelo, andrebbero maggiormente promossi strumenti come il Sea Index Tool, studiato per i super yacht, o le iniziative della Water Revolution Foundation, che propone anche corsi di specializzazione per manager nella sostenibilità. Quanto ai materiali, abbiamo già lavorato la fibra nei test con i fornitori e creato una timoneria esterna, riscontrando che questo materiale migliora le performance e si potrà alleggerire di circa 10-15 % del peso. Ma il vero plus è che, a fine vita, torna materia prima ‘prima’, non materia prima ‘seconda’, come il carbonio. Non ultimo, va detto che in cantiere abbiamo un peso da rispettare, determinato in base a calcoli idrodinamici, e questo parametro diventa il filo conduttore di tutta la costruzione, per cui ogni singolo pezzo viene pesato e inserito in un calcolo di stabilità. La nostra Amer 94 Superleggera Twin rappresenta la summa del lavoro svolto fin qui: risparmiando ben 20 tonnellate, pari al peso di 4 elefanti, abbiamo ottenuto il miglior risultato di risparmio navigando a 9 nodi. Il consumo totale è di 3.1 litri a miglio e, rimanendo 28.92 litri l’ora, possiamo navigare da Venezia a Montecarlo con un gruppo in moto non stop senza refuel”.
Il settore della nautica da diporto deve affrontare anche il dilemma della riduzione delle emissioni di CO2: “Il nostro comparto è considerato hard to abate, e le singole azioni di abbattimento vanno pesate come impatto ambientale dalla progettazione dello scafo al fine vita. Le restrizioni arrivano dalle normative vigenti, che a volte si scontrano con le soluzioni industriali che non viaggiano di pari passo. Lo stiamo vivendo con gli scr, la versione nautica delle marmitte catalitiche, che stanno diventando obbligatori per gli scafi sopra i 24 metri. Dobbiamo rivoluzionare le nostre sala macchine, prevedere dei serbatoi di Urea, contrastare l’aumento di calore e considerare i maggiori ingombri… Sono adeguamenti importanti, ma gli italiani sono i migliori nell’arte dell’adattamento. E sono certa che saranno in grado di eccellere anche in questa sfida”.
TECNOLOGIE 3D, DERIVATI DAL MAIS E PROPULSIONE PER NAVIGARE NEL FUTURO
Uno yacht è una sintesi straordinaria di alta tecnologia ingegneristica e di know how a elevato contenuto artigianale, ma molto si può ancora fare – in un’ottica di filiera – sotto il profilo dei tessuti, delle vernici, dei materiali riciclabili ed ecosostenibili oltre che delle tecniche costruttive: “Stiamo diventando catalizzatori di novità e veniamo preferiti da start up e ricercatori per la sperimentazione di nuove applicazioni a bordo. Lo scorso anno ci siamo prestati per testare una particolare vernice antivegetativa e per applicazioni 3D di manifattura additiva, che sarà il tema della Tecnomarathon che stiamo organizzando per il prossimo Salone Nautico, mentre sull’Amer 120 abbiamo realizzato delle prese aria stampate 3D con una nuova bioplastica derivata dal mais”.
Le novità non mancano anche sul fronte della propulsione marina: “È da poco terminato il Monaco Boat Energy Challenge e la panoramica delle soluzioni appare variegata. Di certo avremo un periodo medio-lungo di soluzioni multiple, con l’elettrico in prima linea per brevi tragitti e tragitti circolari. Per la propulsione elettrica, però, serve l’elettrificazione delle banchine con la creazione di colonnine a disposizione delle imbarcazioni per le ricariche veloci. Inoltre dovremo aspettare l’avvento di nuove generazioni di batterie, ma ci vorrà del tempo: quelle al litio, che inizialmente aiutavano a risparmiare peso, devono essere gestite in modo sicuro per la problematica legata al rischio incendio. L’ibrido pesa ma garantisce una buona autonomia elettrica, da sfruttare ad esempio per uscire dai porti, garantendo una migliore tutela alla fascia costiera, che a mio parere è l’area che subisce le maggiori emissioni. Il solare può lavorare in abbinamento con altre tecnologie, ma la vera svolta si vedrà con l’avvento delle fuel cell che potranno sostituire i motori endotermici. I fondi del PNRR vanno indirizzati verso la transizione ecologica anche nel settore nautico: la Francia ha in atto investimenti miliardari per questo obiettivo e, come gli Stati Uniti, è molto avanti su soluzioni sempre più all’avanguardia. Ho visto un gruppo elettrogeno a idrogeno da 100 kW già industrializzato che potrebbe diventare un’applicazione marina per giga yacht se solo ci fossero certificazioni e approvvigionamento a terra. In realtà, noi abbiamo iniziato da tempo a studiare come ridurre consumi ed emissioni: lavoriamo in tandem con Volvo Penta che ci riconosce un ruolo strategico nella promozione dei pod ips, e da loro attendiamo tutte le soluzioni di integrazione e ottimizzazione per proporre soluzioni multiple, visto che l’ibrido che non è ancora sul mercato. Parallelamente, stiamo lavorando al progetto di un nuovo 70 mt che ci fornirà una speciale sala macchine su cui studiare future applicazioni innovative destinate agli scafi in metallo dislocanti”.
DAI VECCHI SCAFI INQUINANTI AI PAVIMENTI INDUSTRIALI: IL RIUSO VIRTUOSO DEGLI SCARTI DA CANTIERE È GIÀ REALTÀ
Per chiudere il cerchio, si deve infine affrontare il nodo dello smaltimento degli yacht in disarmo per recuperare ciò che può essere riutilizzato. “Valutare l’assemblaggio per disassemblare a fine vita oggi è fondamentale, mentre in passato questa attenzione non c’era: smaltire una barca è sempre stata un’operazione complessa e costosa, anche perché si tratta di differenziare un insieme di materiali diversi assemblati e a volte incollati tra di loro. Non è un problema solo nautico: riguarda l’eolico, le tubature industriali, i caravan e le roulotte, le cabine e i quadri elettrici. Per questo servono soluzioni studiate in comune che necessitano di grandi investimenti. Il progetto più concreto al momento è uno studio fattivo (Elb) per trasformare la vetroresina in un nuovo materiale in grani con lavorazione a freddo indicato per creare pavimenti industriali, e che può essere anche utilizzato come comburente per gli altoforni dei cementifici, trattando i fumi. Rivierasca invece utilizza gli scarti triturati e abbinati a un altro polimero per creare la Glebanite, un materiale per costruire stampi, che così si trasforma in un nuovo materiale ulteriormente riciclabile”
In un’ottica di circolarità, che va dalle materie prime al fine vita, la sostenibilità potrà diventare una variabile strategica in termini di competitività nel settore della nautica da diporto? “La finanza si sta già muovendo in modo selettivo per finanziare progetti sostenibili e attribuire alle aziende dei rating che tengano conto dell’impegno sui goal definiti dagli Esg (Environmental, Social and Governance, i tre fattori centrali nella misurazione della sostenibilità di un investimento, ndr): è un campo nuovo di confronto dove il nostro Paese potrebbe veramente primeggiare, aggiungendo la sostenibilità alla qualità made in Italy”.