Ridurre l’asfalto per far respirare gli alberi e riconnettersi con la terra, aumentare la biodiversità nelle aree urbane e puntare su nature-based solutions per far rinascere le zone industriali dismesse. Andreas Kipar, architetto paesaggista e urbanista, professore di Public space design al Polimi, CEO e cofondatore di Land, società internazionale di consulenza del paesaggio con sedi in Italia, Germania, Svizzera, Austria e Canada, racconta 30 anni di battaglie e idee che hanno cambiato il volto di molte aree urbane, a cominciare da Milano. E spiega come la tecnologia ci aiuterà a combattere gli effetti del climate change.
Quali sono state le tappe fondamentali della sua formazione e cosa significa oggi progettare il paesaggio?
Sono nato in Germania, nel bacino della Ruhr, e mi sono diplomato come giardiniere, poi mi sono laureato in Architettura del paesaggio a Essen e in Architettura e urbanistica al Politecnico di Milano. Quando sono arrivato in Italia negli anni ’80 mi consigliavano di non citare nel curriculum gli studi da giardiniere, ma io ne sono sempre stato orgoglioso perché mi hanno insegnato la concretezza, il rapporto diretto con la terra; approfondendo le tecniche di coltivazione ho imparato che tra la semina e il raccolto c’è il tempo della cura e della manutenzione. Oggi il compito del paesaggista dovrebbe essere concentrato sul prendersi cura dell’esistente con progetti che si modificano e arricchiscono nel tempo gestendo le conflittualità. Bruno Zevi nel 1997 aveva descritto la specificità della progettazione del verde rispetto all’architettura con queste parole: “La paesaggistica insegna qualcosa di fondamentale agli architetti: è perverso anchilosare la crescita, le strutture vitali non possono essere ibernate”. In poche parole progettare il paesaggio è un processo dinamico.
Un esempio significativo di questo modus operandi sono i Raggi Verdi, il progetto promosso da Land insieme ad Aim (Associazione interessi metropolitani) e inserito dal Comune di Milano nei piani di governo del territorio, che ha appena compiuto 20 anni. Quali sono i principi guida e gli ultimi sviluppi?
All’inizio del 2000, quando li abbiamo ideati, i Raggi Verdi erano un progetto-palinsesto radicale perché prendevano in considerazione tutto ciò che era in-between, cioè gli spazi vuoti, gli interstizi tra gli edifici, con l’idea di metterli in connessione, dare loro un’identità e favorire l’uso pedonale della città, cosa che all’epoca non era affatto scontata. Il piano prevede 8 raggi con piste ciclabili e percorsi pedonali alberati che collegano il centro di Milano con i grandi parchi periferici come il Forlanini e il Parco agricolo sud, creando una cintura verde di 72 km all’insegna della mobilità dolce. È un modello che ha cambiato la gestione del verde nel capoluogo lombardo e si è dimostrato valido in altre città grazie alla sua flessibilità. A distanza di due decenni dalla loro ideazione, i Raggi Verdi a Milano costituiscono la griglia in cui viene inserito ogni nuovo progetto di rigenerazione urbana. Solo il nostro studio ne ha in corso 35, alcuni dei quali in punti nevralgici come piazzale Loreto.
Come verrà trasformata questa piazza?
Piazzale Loreto è la porta d’accesso alla metropoli da nord e mette in contatto le direttrici di viale Padova e viale Monza con corso Buenos Aires, l’arteria commerciale più lunga della città. Oggi però è un non-luogo congestionato dal traffico che i pedoni attraversano preferibilmente seguendo i percorsi sotterranei della metropolitana. Il LOC (Loreto Open Community), questo il nome del progetto per il quale Land si occuperà di progettazione del verde e consulenza paesaggistica, devierà il traffico su direttrici alternative e restituirà il senso di comunità a questo spazio urbano mettendo al centro un’agorà con negozi, ristoranti e spazi pubblici per mostre. L’elemento chiave sarà il verde, che connetterà il livello sotterraneo con il piano strada e le coperture dei tetti attraverso percorsi fluidi. Utilizzando vari livelli le superfici si moltiplicano e vengono restituiti alla città oltre 10.000 mq di spazi pubblici. Il nostro progetto prevede una piccola foresta urbana, la Sky Forest, con circa 200 alberi tra cui 16 querce palustri, piantate direttamente nella terra, rimuovendo l’asfalto: per noi il depaving è uno strumento fondamentale nella riqualificazione urbana, una battaglia che stiamo conducendo da diversi anni.
Tanto che qualche mese fa ha simbolicamente inaugurato i lavori per il piano di rigenerazione urbana di Vercelli sbriciolando l’asfalto con un martello pneumatico insieme al sindaco Andrea Corsaro. Perché è così importante il depaving?
Quello di Vercelli è stato un gesto dimostrativo che intendeva portare l’attenzione sulla necessità di riconnettersi alla terra. La sostituzione delle pavimentazioni che soffocano gli alberi con soluzioni permeabili ha moltissimi vantaggi: consente al terreno di tornare ad assorbire e trattenere la pioggia mitigando gli eventi climatici estremi come le bombe d’acqua; genera spazi naturali che favoriscono l’incremento della biodiversità urbana e l’equilibrio biologico; crea un microclima migliore grazie alla capacità di ombreggiamento e regolazione termica delle piante; favorisce uno stile di vita attivo perché è un invito a muoversi a piedi o in bici. Il piano per Vercelli, che prevede la creazione di un ‘garden boulevard’ nel viale principale della città, un corridoio verde lungo 3,5 km dove il 50% dell’asfalto è sostituito da pavimentazioni permeabili, è l’intervento di depaving più consistente realizzato da Land fino a ora. Complessivamente in Italia abbiamo liberato dall’asfalto una superficie di 445.000 mq, pari a circa 90 campi da calcio, ma c’è ancora molto da fare. È stato calcolato che le nostre città avrebbero bisogno del 30% di ombreggiamento in più, quindi bisogna recuperare superficie per piantare alberi, per esempio recuperando parcheggi non più utilizzati.
Molti progetti di Land sono incentrati su aree industriali dismesse, dal Krupp Park vicino a Essen all’area verde del Portello che ha riconvertito la sede dell’Alfa Romeo a Milano. Quali sono i criteri di intervento in queste zone?
Recuperare un’area industriale dismessa non significa semplicemente disegnare un parco, ma creare quella che chiamiamo un’infrastruttura verde e blu, cioè un sistema di aree piantumate e bacini d’acqua che ha lo scopo di mitigare il clima, drenare le acque, rigenerare le zone inquinate che siamo eticamente chiamati a risanare. Una delle soluzioni adottate per ripulire il terreno, per esempio nella zona dell’acciaieria Thyssen Krupp, è stata la fitobonifica che, grazie all’integrazione tra acqua e piante palustri come la tifa, in grado di assorbire e neutralizzare i metalli pesanti, conduce un processo di bonifica continua nel tempo e trasforma torrenti e laghetti in strutture filtranti. Così il processo di risanamento giunge ad assumere una dimensione estetica.
Il rapido cambiamento climatico impone sfide sempre più complesse ai progettisti del paesaggio. Quali sono le nuove strategie che mettete in campo?
Innanzitutto aumentare la biodiversità. In 30 anni di progetti nell’area milanese abbiamo osservato che alcune specie tipiche come gli ippocastani non sono più in grado di resistere allo stress climatico, quindi non possono più essere utilizzate nelle nuove realizzazioni e devono essere sostituite: più si diversifica, maggiori saranno le capacità di adattamento alle mutazioni climatiche dell’area in futuro. Nel progetto per il parco che sorgerà sull’area dell’ex ippodromo del Trotto abbiamo perciò previsto un ring di biodiversità lungo un chilometroche comprende 15 specie diverse, valutate con il LIM, un modello digitale creato appositamente dal Land Research Lab.
Di cosa si tratta?
Il Landscape Information Modelling (LIM) è un insieme di tool digitali che sfrutta le potenzialità del Building Information Modelling (BIM) utilizzato in edilizia e architettura per quantificare gli impatti ambientali positivi delle specie vegetali e fornire previsioni specifiche per ciascuna. Conoscendo la capacità di sequestrazione di carbonio, la riduzione di concentrazione di ozono e la produzione di ossigeno di ciascun tipo arboreo possiamo valutare scientificamente l’impatto positivo e la mitigazione del clima di ogni progetto su un arco di diversi anni. Il Land Research Lab, che impiega circa 20 persone, si sta impegnando anche nell’applicazione dell’Intelligenza artificiale al campo della progettazione paesaggistica con il progetto UrbAlytichs che, integrando l’AI con l’osservazione della Terra da parte dei satelliti, è in grado di calcolare un indice di performance microclimatica per mitigare l’effetto isola di calore mettendo a confronto diversi scenari progettuali. Secondo queste ricerche l’aggiunta di filari di alberi lungo una strada urbana e la depavimentazione di metà della superficie asfaltata, per esempio, possono portare a una riduzione della temperatura media superficiale dell’area interessata di 4,5 gradi. Si tratta di informazioni molto utili agli urbanisti e a chi deve prendere decisioni per ridurre i danni del climate change, inclusi quelli economici.
Quali sono i vantaggi economici della rigenerazione urbana?
La domanda giusta è: quanto ci costano l’inquinamento e il degrado ambientale? Se non interveniamo o lo facciamo con ritardo il prezzo del risanamento sale in modo vertiginoso. Di questi argomenti discuterà la taskforce di esperti dell’iniziativa Nature-positive cities promossa dal World Economic Forum di cui faccio parte insieme ad altri 16 professionisti della finanza e delle assicurazioni, di ecologia, di urbanistica e di architettura. Il concetto da cui partire è il Natural capital accounting, lanciato dalle Nazioni Unite nel 2017, un concetto che include il capitale naturale (piante, animali, acqua e terreni) nella valutazione del business di un’azienda o della ricchezza di una nazione. I progetti di rigenerazione ambientale potrebbero rientrare in questo calcolo quantificando con strumenti appositi come il Lim le prestazioni in base a parametri ambientali legati alla gestione del verde, dell’acqua, alla mitigazione dei cambiamenti climatici e alla qualità dell’aria. Un esempio per tutti: è stato calcolato che la riqualificazione del bacino industriale della Ruhr, che è stato il laboratorio di bonifica più importante in Europa, ha rilanciato l’economia locale creando 5000 nuovi posti di lavoro e ha generato 3 euro di Pil per ogni euro investito. E il bello è che i benefici offerti all’intera comunità aumentano di anno in anno perché la natura è dinamica e ha un potere rigeneratore che si moltiplica nel tempo.
di Chiara Sessa