Una situazione fuori dagli schemi, che inevitabilmente diventa di difficile lettura e previsione. Il momento d’oro dell’industria del mobile viene fortemente messo in discussione. A imprese e istituzioni il compito di reagire.
Dopo un 2021 di forte crescita, anche il 2022 si prospettava positivo per il mondo del mobile. Forse di non ulteriore rimbalzo, ma certamente tale da potere mantenere i numeri della precedente stagione. Caro energia, difficoltà nel reperimento delle materie prime, ritardi nelle consegne erano già da qualche tempo temi all’ordine del giorno. Rispetto ai quali si cercava di dare risposte. La guerra ha cambiato prepotentemente le carte in tavola. “Di fatto, oggi non possiamo dire che ci sia un rallentamento della domanda, ma è ragionevole pensare che questo possa rapidamente manifestarsi” spiega il presidente di FederlegnoArredo, Claudio Feltrin. Oggi, piuttosto, “la difficoltà è quella che non vorresti mai avere’: l’impossibilità a consegnare un ordine”. è qui, sottolinea, che si evidenzia tutta la “conseguenza diretta di questo conflitto: non tanto la richiesta da parte del cliente, ma la difficoltà da parte delle aziende a reperire materiale sufficiente a fare fronte alla domanda”.
“Non siamo in guerra e dunque non dobbiamo fronteggiare una emergenza di quel genere – evidenzia Feltrin – ma dopo uno splendido 2021, la prospettiva era di un 2022 altrettanto positivo, con numeri importanti. Avevamo preoccupazioni sul fronte del caro energia e della scarsità delle materie prime, che già prima del conflitto si erano manifestate. Si era pensato che nella prima parte dell’anno ci si potesse avviare verso il raffreddamento degli aumenti e la normalizzazione nel reperimento delle materie prime. E poi, nella seconda metà, che avremmo raggiunto la stabilizzazione del mercato, che significa maggiore propensione alla spesa. Nella normalizzazione che si prevedeva per il 2022, sapevamo che avremmo perso parte di quella propensione delle famiglie alla spesa per l’arredamento e che ci sarebbe stato un calo delle richieste, ma pur sempre nell’ambito di quei numeri positivi che avevamo immaginato. Chiaramente quanto è capitato ha sconvolto le previsioni”.
L’AUMENTO DEI LISTINI E IL JOLLY (GIOCATO) DELLA COMPRESSIONE DEI MARGINI
Un altro aspetto che potrà aumentare il fattore rischio è rappresentato dal “conseguente aumento dei prezzi: nel 2021, le aziende hanno potuto contare su un magazzino di materie prime e semilavorate a prezzi antecedenti agli aumenti, che hanno cominciato a proporsi in maniera rilevante da febbraio-marzo e sono proseguiti nell’anno. La media tra magazzino a prezzi vecchi e aumenti si era così mantenuta su valori accettabili. Le aziende hanno poi assorbito parte degli incrementi, immaginando che si sarebbero protratti su un arco temporale di pochi mesi. Ciò rendeva accettabile la compressione dei margini. Questa riduzione, però, non c’è stata. Anzi, l’aumento dei prezzi è proseguito fino a fine anno fissandosi su valori molto elevati. Abbiamo dunque cominciato il 2022’ con scarsità di materie prime, prezzi elevati e con il jolly della compressione dei margini già giocata nel 2021, Dunque, con la necessità di scaricare sul mercato gli aumenti delle aziende, che vanno dal 10 al 20% e che ritroviamo ora sui listini”.
Aumenti tali da mettere in discussione la domanda? Non del tutto, secondo il presidente di FederlegnoArredo, dal momento che le aziende, specialmente le top in class, hanno la possibilità di proporre elementi diversi, pur restando nell’alveo della qualità che ci si attende da un prodotto di design. Con la medesima spesa, dunque, l’acquirente può effettuare l’acquisto che aveva in animo di fare, sapendo che qualche elemento che lo compone sarà differente. In poche parole, consegno un prodotto di qualità, il cliente mantiene il budget e l’azienda il margine”. Chiaramente questa operazione è possibile solamente per le aziende che rappresentano la fascia alta del mercato, “che sono quelle della nostra filiera. Per quelle che hanno una filiera cortissima e un’economia super ristretta, il costo della materia prima, che aumenta del 20%, ha un peso dirompente sulla loro offerta”. In quel caso l’aumento sarà tout court. Un esempio? La grande distribuzione, “dove la sola alternativa è l’aumento dei prezzi. Nella nostra filiera è possibile giocare sui prodotti diversi mantenendo la qualità intrinseca. Ci si riposizione con un’offerta diversa, ma altrettanto valida. Insomma, la filiera ‘alta’ del made in Italy – chiosa Feltrin – ha la capacità di assorbire queste conseguenze”.
LE CIFRE DELL’EXPORT IN RUSSIA
Fin qui tutto più o meno bene. Ma ecco che il conflitto cambia totalmente le carte in tavola. L’export verso la Russia vale, stando ai più recenti dati di novembre scorso, 410 milioni di euro, che potrebbero diventare 430-440 a fine anno. Questo è il numero che rientra nelle statistiche e già ingloba le sanzioni conseguenti al 2014.Tuttavia la ‘lettura’ del mercato russo in questi termini è riduttiva. Va considerata tutta quella quota di export che finisce in paesi terzi e solo successivamente si sposta in Russia. Ovviando così alle sanzioni. Non solo. Anche le vendite verso territori dove i russi investono a livello immobiliare (e che poi richiedono arredamento italiano) sono rilevantissime, vanno dai 3 ai 4 miliardi. Insomma, l’esposizione delle imprese italiane verso il mercato russo largamente inteso è importantissima.
SALONE MOBILE OCCASIONE DI RIPOSIZIONAMENTO
Nel mentre, e per fare fronte alla difficile situazione, sono stati aperti due tavoli: con il ministero degli Esteri e con quello dello Sviluppo Economico. A fronte delle richieste degli imprenditori che hanno fotografato lo stato dell’arte, i ministeri si sono impegnati a farsi interlocutori nella ricerca di “mercati alternativi dove reperire materia prima per approvvigionarsi rispetto a quanto dalla Russia non è più disponibile. Noi abbiamo dato suggerimenti, ma – evidenzia Feltrin – non è così semplice, né così facile”. Duplice la problematica, dunque. Sia sul fronte dell’export, per tutte quelle aziende che verso la Russia sono esposte per il 20-30% del loro fatturato, sia dell’importazione, per quanto riguarda le materie prime. Il legno in particolare. “Se anche il conflitto dovesse terminare nei prossimi due mesi, lo strascico sull’economia non sarà banale e la normalizzazione avverrà indubbiamente in tempi medio-lunghi. Dunque, le nostre aziende che vivono su portafogli ordine di due o tre mesi non possono certo pensare a soluzioni che guardano a un arco temporale di uno o due anni: si devono muovere subito per trovare nuovi mercati di sbocco” insiste il presidente di FederlegnoArredo, che indica come prima e utile occasione la prossima edizione del Salone del Mobile (a giugno). “Un’opportunità importantissima per consentire il riposizionamento delle aziende”.
GLI IMPRENDITORI NON POSSONO FERMARSI
Ciò che spaventa più di tutto è il rischio, peraltro concreto, che l’Italia si stacchi dalla Russia per l’approvvigionamento del gas. Uno scenario temuto da tutta l’industria italiana, perché “significherebbe il blocco totale”. Certamente, non manca di notare Feltrin, “verranno rispettate tutta una serie di priorità: la sanità, la catena alimentare. Dipenderà in che punto il settore o l’azienda si trova su quella scala. Più in basso ci si trova, minore autonomia si avrà per proseguire la propria attività”. Ma “ogni imprenditore sa che ogni giorno deve affrontare difficoltà nuove; vive costantemente in modalità provvisoria, è propenso al rischio, all’agilità e al sacrificio. E noi Italiani siamo più abituati di altri paesi. Gli imprenditori non si fermano, siamo la seconda manifattura europea. Serve che tutti insieme, con il governo e le istituzioni, si trovino opportunità in più rispetto a quelle che gli imprenditori già stanno mettendo in campo”.
LA RICHIESTA ALLA COMMISSIONE DOMBROVSKIS, IN ATTESA DI RISPOSTA
In una scala di priorità delle preoccupazioni, il presidente Feltrin indica certamente “l’avere chiuso quei mercati all’esportazione”. Ma “il danno maggiore” verrebbe certamente sul fronte dell’importazione di materie prime, innanzitutto il legno. Già prima del conflitto, a metà 2021, era stato annunciato il blocco delle esportazioni delle betulla. Di contro e per reazione, “abbiamo indirizzato una lettera alla commissione Dombrovskis, nella quale suggeriamo un expo ban, un divieto di esportazione dei tronchi prodotti in Europa verso l’extra Ue. Questo perché la decisione della Russia ha indotto la Cina, pure colpita dalla restrizione, a comprare in Europa a prezzi anche più elevati rispetto a quelli che il nostro mercato poteva e può pagare quei tronchi. Dunque, noi ci troviamo sostanzialmente ad avere meno materia prima e dunque i tronchi da parte della Russia, ma anche tutto ciò che pur essendo prodotto in Europa viene lasciato al libero mercato ed esce dall’Europa stessa. Ci impoveriamo di materia prima, minando quella che è di fatto la nostra concorrenzialità. La nostra richiesta l’abbiamo inviata a luglio e ad oggi non c’è stata ancora nessuna risposta” chiarisce Feltrin che si dice consapevole del fatto che “va contro i principi fondamentali del libero scambio, ma è anche vero che in tempi di guerra si possono fare delle eccezioni”.