Sono luoghi che rappresentano un grande museo collettivo della società del ‘900, dove la memoria si salda all’esperienza viva. Parlano di un passato che, se non catalogato e raccontato, potrebbe svanire. Sono luoghi di memoria, che ancora non è diventata storia; operazioni di comunicazione strategica sia per l’impresa che per il pubblico. Nascono come operazioni onestamente culturali, utilizzate dalle aziende in termini strategici. Tommaso Fanfani, presidente della Fondazione Piaggio, diceva che non bisogna scandalizzarsi se un’azienda usa il suo museo o il suo archivio, l’importante è che li faccia. Museimpresa è un’associazione che esiste da quasi vent’anni e conta poco meno di 90 associati. Ha ricevuto il riconoscimento della sovrintendenza da parte del ministero dei Beni culturali oltre che dall’Icom Italia, a prova del fatto che queste realtà sono oggi considerate per il loro importante valore museale.
LUOGHI DI COMUNICAZIONE
“Ciò che è ovvio e chiaro, quando si pensa alla scelta di aprire un museo d’impresa, è l’operazione di comunicazione che l’azienda vuole veicolare attraverso un luogo simile”, spiega Francesca Appiani, vicepresidente Museimpresa. “Ma le ragioni possono essere svariate e talvolta non così ovvie. Innanzitutto, bisogna distinguere dalla scelta di costituire un archivio e/o un museo d’impresa, due macrocategorie ben diverse. Avere solo un archivio determina forse una relativa minore accessibilità del pubblico, ma non si preclude la possibilità di organizzare molte attività anche legate alla comunicazione del brand. Una storia ben organizzata può essere sfruttata in molti modi da un’azienda. Prima di tutto, partendo dall’archivio, può costituire il suo museo e aprirlo al pubblico. La raccolta di immagini, fotografie, documenti, possono essere ottimi strumenti per fare formazione all’interno dell’impresa, o per dare informazioni e suggerimenti, anche tecnici, a chi sviluppa nuovi prodotti”.
Un esempio calzante è l’archivio di Ferragamo, che viene parzialmente esposto all’interno del museo (progetto mutevole e in divenire, con un allestimento che cambia ogni anno) e in parte anche utilizzato dai creativi del brand per trarne ispirazione per nuovi modelli e nuove collezioni, oltre che per rieditare modelli storici, oggi rimessi in produzione grazie alla ricerca fatta andando a lavorare sulla memoria dell’azienda. Oltre che vicepresidente di Museimpresa, Francesca Appiani è anche responsabile del Museo Alessi, di cui racconta per spiegare come partire da un archivio d’impresa possa essere utile e strategico anche a livello commerciale per un brand. “Il Museo Alessi ha un archivio di prodotto composto da oggetti, materiali, prototipi, prove di stampa e prove colore. Questo patrimonio storico viene spesso consultato dall’ufficio tecnico per risolvere problemi legati a progetti attuali. Il presente fa tesoro dell’esperienza pregressa. Un altro uso specifico di un archivio può essere legato alla formazione dei dipendenti e allo sviluppo di un senso di appartenenza al brand”.
ARCHIVI IN EVOLUZIONE
Il convegno ‘Strategie di rigenerazione del patrimonio industriale. Heritage telling, creative factory, temporary use, business model’, tenutosi a Biella un paio d’anni fa, ha visto tra i suoi relatori Anna Zegna, che ha raccontato il valore dell’istituzione di Casa Zegna per l’azienda, definendola “sì il polo culturale del Gruppo Ermenegildo Zegna”,ma anche a tutti gli effetti un ‘reparto’ dell’azienda, sempre più incluso nelle funzioni comunicative e produttive. Diventa perciò un punto di riferimento fisico e disponibile, che innesca una relazione fiduciaria rassicurante: “esiste un posto ‘vero’, non un portale web o un vago mito da multinazionale, dove l’identità è al sicuro”. Analogamente ha fatto la società farmaceutica Zambon creando il suo museo, inizialmente nemmeno aperto al pubblico, all’interno della sede per trasmettere i valori di un brand che ha come obiettivo primario la salute delle persone. “Certamente, per capire se e come creare il proprio museo d’impresa, bisogna considerare la tipologia di prodotto su cui si lavora, ma la comunicazione e la veicolazione del messaggio fanno la vera differenza”, puntualizza Appiani. “Se si vuole fare davvero un’operazione ben riuscita, sfruttando a pieno il proprio materiale, bisogna partire sempre dall’archivio e dal suo valore culturale. Non un luogo statico e fermo, ma come l’azienda, l’archivio deve essere qualcosa che si evolve, che si autoalimenta e che cresce insieme all’azienda stessa. Archivi e musei d’impresa sono luoghi fortemente radicati nel presente, che partono dall’organizzazione della memoria e dal passato”.
INVESTIMENTI E RITORNI
Gli investimenti da fare sono importanti. Appiani parla di dati in astratto, che partono da un minimo di 500mila euro a salire. “L’investimento è molto variabile, ma i ricavi ci sono, a partire dal biglietto d’ingresso. I due musei Ferrari nel 2018 hanno avuto 545mila visitatori, per 17 euro di biglietto a persona. Ferragamo conta invece 40mia visitatori l’anno. Larga parte del guadagno viene poi dai vari bookshop, dall’affitto degli spazi per eventi, e tema molto importante, dalla comunicazione: se un’azienda riesce a raccontare nel modo giusto la sua storia, il visitatore empatizza e si ricorderà, una volta davanti a uno scaffale del supermercato, o in un negozio d’arredo, dell’esperienza fatta all’interno di quel museo, che diventa fondamentale veicolo di pubblicità per l’impresa”.
FONDAZIONI D’ARTE
Non musei d’impresa che raccontano la propria storia attraverso la produzione industriale di un brand, ma fondazioni che hanno deciso di veicolare un messaggio preciso attraverso la valorizzazione dell’arte contemporanea. Ne sono un esempio emblematico due realtà milanesi, Fondazione Prada e Hangar Bicocca Pirelli. Da vent’anni Fondazione Prada si interroga su quali siano gli intenti e la rilevanza dell’impegno culturale oggi, con una serie di progetti in continua evoluzione. Ci sono state commissioni “utopiche” a singoli artisti, conferenze di filosofia contemporanea, mostre di ricerca e iniziative in campo cinematografico. Aprendo una sede permanente a Milano, la Fondazione ha voluto offrire nuove opportunità per ampliare e approfondire la sua metodologia di apprendimento. Parte dall’interrogarsi sull’utilità di un’istituzione culturale. E si dichiara convinta sostenitrice della cultura, strumento utile e necessario, coinvolgente e attrattivo. Da questo assunto muovono le attività della Fondazione. Dall’apertura della sede di Milano nel 2015, la collezione è diventata uno degli strumenti di lavoro a disposizione del programma culturale, assumendo diverse configurazioni: dalle mostre tematiche alle collettive, dalle antologiche ai progetti curati da artisti. E trova ora nella Torre uno spazio permanente di esposizione. Come Fondazione Prada, anche la Fondazione Pirelli è un’istituzione di interesse pubblico sostenuta interamente da privati, dimostrando che l’utilità pubblica non deve essere per forza legata a una proprietà pubblica.
Oggi uno dei temi più forti del dibattito pubblico a Milano è la riqualificazione delle periferie. Sia nel quartiere dove è sorta la sede milanese di Fondazione Prada che nel quartiere di Hangar Bicocca, situata nella periferia diametralmente opposta della città, i due poli museali rappresentano un attrattore che offre servizi come laboratori per bambini, progetti con le scuole, ristoranti, concerti, visite guidate.
Pirelli HangarBicocca è una fondazione no profit nata a Milano nel 2004 dalla riconversione di uno stabilimento industriale, inizialmente per ospitare la collezione delle macchine all’Alfa Romeo di Arese, in un’istituzione dedicata alla produzione e promozione di arte contemporanea.
Tre anni più tardi viene costituita la fondazione, inizialmente promossa da Pirelli Real Estate, cui poi è subentrata Pirelli, che produce mostre ed eventi non continuativi. È un luogo dinamico di sperimentazione e ricerca: con i suoi 15mila metri quadrati, è tra gli spazi espositivi a sviluppo orizzontale più grandi d’Europa. La programmazione artistica dello scorso anno, curata dal direttore artistico Vicente Todolí e dalla Curatrice Roberta Tenconi, ha presentato artisti di grande profilo internazionale, alternando mostre personali di nomi molto affermati con esposizioni di artisti emergenti, per un’affluenza totale di circa 243mila visitatori. Il modello di Hangar Bicocca è unico: alle spalle un’azienda che sostiene l’iniziativa, una sede di grande fascino in una zona periferica di Milano, che viene così rivalorizzata, e la maggior parte delle mostre site specific, con un direttore artistico che opera in totale autonomia. La gratuità del biglietto di ingresso è una scelta legata alla missione della fondazione: diffondere su larga scala l’arte contemporanea.