La biofilia “è la tendenza innata a concentrare l’attenzione sulle forme di vita e su tutto ciò che le ricorda e, in alcune circostanze, ad affiliarvisi emotivamente”. Così nel 1984 il biologo statunitense Edward Osborne Wilson, il padre del termine “biodiversità”, definiva la biofilia, dal greco “amore per la vita” e, per esteso, della natura. Per Wilson, infatti, l’uomo è inserito in un sistema di relazioni al quale partecipa insieme ad animali, vegetali e minerali, e la biofilia si manifesta come l’impulso spontaneo a creare una connessione con gli altri protagonisti dell’habitat terrestre. Sia negli spazi aperti che nell’ambiente costruito.
Interagire con forme, colori, profumi e materiali naturali genera benessere
“Numerosi studi hanno dimostrato che oltre il 90% delle persone immagina di trovarsi in un ambiente naturale quando viene chiesto di pensare a un luogo in cui sentirsi rilassate e calme”, spiega Rita Trombin, psicologa ambientale fondatrice della piattaforma Biofilia.net, esperta di Biophilic Design e ora presidente della neonata AIB (Accademia Italiana di Biofilia), ente no-profit che intende diventare il punto di riferimento italiano sui temi tecnico-scientifici legati alla biofilia, alla progettazione biofilica e alla psicologia ambientale. “Il livello di benessere psicofisico individuale e collettivo dipende dal tempo che trascorriamo a contatto con la natura, fattore che influisce anche sulla produttività e sullo stato di salute generale. Si sviluppa da queste considerazioni il cosiddetto ‘design biofilico’, che unisce lo studio degli elementi naturali ai principi dell’urbanistica, dell’architettura e dell’interior decoration con l’obiettivo di massimizzare l’interazione uomo-ambiente in ogni contesto: per esempio valorizzando la luce diurna, ottimizzando le vedute sulle aree verdi, privilegiando materiali ecologici e tattili, forme organiche derivate dai frattali, profumi, suoni, colori riarmonizzanti, arte e decorazioni che rappresentino ambienti naturali, ma anche tramite l’inserimento nei progetti di elementi vivi, come l’acqua e le piante da interno e da esterno”.
Verona è stata la prima città italiana ad aderire al Biophilic Cities Network
La biofilia nasce con l’uomo ma non è istintiva, ed è per questo che va ‘educata’ affinché si possa esprimere in una relazione sana e gratificante con il mondo naturale: di qui l’idea di fondare l’AIB, che organizza corsi di formazione rivolti ad architetti, geometri e interior designer, conduce attività di ricerca scientifica in collaborazione con i principali atenei nazionali e internazionali; nel 2024 AIB avvierà una propria Biophilic School e metterà a punto uno Smartworking Protocol, oltre a portare avanti un paio di progetti-pilota con i comuni di Milano e di Roma, con l’intento di migliorarne l’impronta biofilica in termini di governance e di pianificazione territoriale.
Se Singapore, con i suoi immensi giardini e la skyline verticale caratterizzata dagli avveniristici grattacieli che ricordano i fusti di alberi centenari, ha conquistato nel 2010 il primato mondiale di città biofilica, “nel 2023 Verona è stata la prima città italiana ad aderire al Biophilic Cities Network – la rete che promuove l’aumento della sinergia fra persone e natura nei centri urbani – ed è un riconoscimento che certifica un percorso volto a connettere sempre di più i cittadini all’ambiente e all’amore per la vita”, ricorda Rita Trombin. D’altro canto, “il cervello umano, nonostante le conquiste della modernità e della tecnologia, è rimasto arcaico, e per rigenerarsi ha bisogno di spazi protettivi, stimolanti ed empatici e nel contempo semplici da gestire. Una delle tante ed eclatanti conferme si è avuta per esempio durante i lockdown in periodo pandemico: uno studio italiano condotto nel 2020, e pubblicato sull’International Journal of Environmental Research and Public Health, ha dimostrato che chi è rimasto a lungo isolato in casa senza contatto con la natura ha avuto un rischio raddoppiato di soffrire di depressione moderata o grave. Sono evidenze di cui, quando si immaginano un prodotto, un interno, un edificio o un qualunque spazio, pubblico o privato, è ormai d’obbligo tenere conto ”.
Il contenuto biofilico di un progetto, di qualunque scala, farà la differenza
In un’ottica di transizione ecologica, la tutela della salute mediante la rinaturalizzazione degli ambienti outdoor e indoor e dei contesti cittadini diventa uno strumento strategico per ridisegnare i luoghi in cui si vive e per crearne di nuovi. Gli indicatori-chiave connessi alla qualità biofilica degli spazi riguardano in primis la qualità dell’aria e della luce e l’accessibilità e la salubrità dell’acqua, ma anche le soluzioni per garantire il comfort termico e i sistemi per migliorare l’acustica e l’isolamento sonoro: tutti parametri che già oggi vengono tenuti in considerazione per il rilascio delle certificazioni di sostenibilità energetico-ambientale.
“Il concetto di biophilic design si focalizza sulla trasformazione radicale degli ambienti realizzati dall’uomo, artificiali, riducendone al minimo la componente minerale e artificiale, e sull’integrazione progressiva degli elementi naturali nel costruito, al fine di migliorare il benessere e la salute degli individui che lo abitano”, fa notare Saverio Mecca, architetto e presidente del comitato scientifico dell’Accademia Italiana di Biofilia, professore emerito di Produzione edilizia dell’Università di Firenze e già preside della Facoltà di Architettura e poi direttore del Dipartimento di Architettura del medesimo ateneo. “Nel contesto urbano, per esempio, il biophilic design si traduce nell’incorporare aree verdi come parchi, giardini sul tetto, pareti vegetali e corpi d’acqua, nel ridurre il rumore meccanico e artificiale, e nell’aumentare la luminosità naturale per creare un senso di connessione con l’ambiante. Nelle abitazioni, negli uffici e nelle scuole, il biophilic design può invece essere implementato attraverso l’uso di ampie finestre e di balconi e terrazze per massimizzare l’esposizione alla luce naturale, tramite l’integrazione di piante all’interno e all’esterno nelle corti e nei giardini, e con l’utilizzo di materiali sostenibili come terra cruda, legno, pietra, bambù, fibre e tessuti naturali che non solo hanno un minore impatto ambientale, ma aggiungono anche un elemento percettivo, tattile, cromatico ed estetico agli edifici. Non ultimo, anche nei contesti legati alla cura della salute, come ospedali, cliniche e residenze per anziani, il biophilic design riesce ad avere un impatto significativo sulla velocità di recupero dei pazienti: la presenza di elementi come aree verdi e orti terapeutici o di vedute su paesaggi naturali può infatti aiutare a ridurre lo stress e a migliorare il benessere psicologico”.
Ispirarsi alla natura per contrastare gli effetti del cambiamento climatico
Le aree urbane sono diventate le principali responsabili della produzione di carbonio antropogenico, con oltre il 70% delle emissioni concentrate nelle città: questo fenomeno è dovuto principalmente all’uso di combustibili fossili per riscaldamento, raffreddamento, processi industriali e trasporti che si concentrano in aree densamente popolate. In risposta ai problemi ambientali generati da questi processi, la progettazione biofilica non rappresenta un ritorno nostalgico al passato, ma si propone come una soluzione concreta per migliorare la resilienza climatica dei fabbricati incorporando caratteristiche e processi naturali che regolano temperatura, umidità, ventilazione e gestione dell’acqua. “I tetti e le pareti piantumate, per esempio, forniscono isolamento, ombreggiatura e raffreddamento, contenendo il deflusso delle acque piovane e promuovendone lo stoccaggio. La ventilazione e l’illuminazione naturale riducono la necessità di sistemi meccanici, abbassando le emissioni di gas serra, ed elementi come giochi d’acqua e piante creano microclimi rasserenanti e raffreddamento evaporativo, garantendo benefici sia estetici che psicofisici”, conferma Saverio Mecca, che è stato anche coordinatore dell’Osservatorio delle Politiche Urbane e Territoriali del Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro (CNEL) e ha recentemente pubblicato il saggio Prossimità. Il benessere nella città del futuro (didapress, Firenze). Anche il mimicry biologico (o design biomimetico) è un nuovo campo di ricerca trasversale che combina biologia, ingegneria, chimica, fisica e altre discipline e studia come imitare le forme, le strutture o i processi trovati in natura per trasferire le strategie utilizzate da piante, animali e altri organismi nei contesti umani. “Molti sono gli esempi di applicazioni già sviluppate”, illustra Mecca, “come per esempio le superfici autopulenti ispirate dalla foglia di loto, che ha proprietà idrorepellenti e autosanificanti grazie alla sua superficie microstrutturata, o i nuovi materiali robusti ma leggeri per l’architettura, che riprendono la conformazione a nido d’ape delle ali di alcune farfalle e la struttura trabecolare tipica delle ossa. Anche i materiali biocompatibili, biodegradabili o riciclati derivati da fonti vegetali, o l’uso di fibre naturali come il bambù o la canapa, sono da preferire per ridurre l’impatto ambientale. E come regola generale, sotto un profilo più strettamente biofilico oltre che ergonomico, gli oggetti d’uso devono essere progettati considerando non solo la loro funzionalità, ma anche il modo in cui interagiscono con il corpo umano e l’ambiente, supportando la postura fisiologica, riducendo lo sforzo fisico e migliorando le relazioni e gli scambi fra singoli e nelle comunità”, conclude l’esperto.
Un nuovo approccio che coinvolge architetti, designer e utenti finali
“Il tema della biofilia ha sempre fatto parte, sia pur sotto traccia, del lavoro di chi progetta, perché appartiene all’universo più ampio della sostenibilità, intesa come rispetto della natura e come volontà di progettare in armonia con l’ambiente in cui si vive, utilizzandone i materiali ma soprattutto evocandone le forme, i colori e la peculiare tattilità”, dice Arianna Lelli Mami, laureata al Politecnico di Milano in Interior design, partner e cofondatrice con Chiara Di Pinto di Studiopepe, atelier con base nel capoluogo lombardo che, accanto alle collezioni di mobili e complementi, ha all’attivo decine di collaborazioni italiane e internazionali nel campo della creatività, che spaziano dall’arredamento alla moda. In ogni caso, “per poter parlare di biofilia oggi s’impone un cambio culturale di visione, che dovrebbe in primis portare architetti e designer a verificare sempre e in maniera rigorosa l’intera filiera delle materie prime che si usano, dalla certificazione d’origine all’imballaggio fino alla capacità di essere differenziate, rigenerate e reimpiegate a fine vita”.
Appartengono alla ‘cassetta degli attrezzi’ di chi progetta secondo una visione biofilica anche il concetto di durabilità degli oggetti che andranno ad abitare case, uffici e spazi pubblici, e la capacità di valorizzarne la naturale attitudine trasformativa: “La società occidentale, a differenza di quella orientale, è fortemente condizionata dall’idea che tutto ciò che è eterno e immutabile sia da preferire, mentre un materiale naturale tende fisiologicamente a trasformarsi per effetto del tempo e dell’uso, svelando una bellezza e una poesia che già da sole irradiano benessere. Recuperare anche questo senso di impermanenza e di fragilità è un gesto altamente biofilico”, conferma la designer. “Rispetto a una ventina di anni fa, quando faceva tendenza il design gadgettizzato, ammiccante, iper colorato, spesso realizzato in materiali sintetici e non biodegradabili, adesso il pubblico ha cominciato a fare scelte differenti, più consapevoli e responsabili: i consumatori di tutte le fasce d’età, e in particolare i giovani, sono tornati ad apprezzare il vintage, le riedizioni dei classici, le tirature limitate, le capsule collection d’impronta eco, ma anche gli allestimenti e gli stand che non generano rifiuti difficili da smaltire. In un processo virtuoso di contaminazione cronologica e intertemporale, oggi si guarda più spesso al passato per prendere spunto dalla saggezza delle visioni e delle tecniche tradizionali, che per certi versi erano più rispettose degli ecosistemi. E proprio come è già accaduto sul fronte del fashion e in particolare della couture, anche nell’universo del design i materiali sono e saranno la parola chiave”.
Dalle imbottiture in lana italiana usate nel campo dell’arredamento e in edilizia agli scarti di vetro di Murano riconvertiti in piastrelle per i rivestimenti, dai residui di marmo che risultano dalla lavorazione trasformati in blocchi e lastre pronti da riutilizzare, fino al legno – “uno dei materiali più biofilici in assoluto, nel senso che basta osservarlo, sfiorarlo e annusarlo per soddisfare l’atavico bisogno di natura che caratterizza l’uomo” – il mondo del design sposa la filosofia della circolarità. Ne è un esempio anche il progetto ispirato alla biofilia e alla resilienza che Studiopepe sta portando avanti con il Comune di Milano in vista della prossima Design Week, per la creazione di una serie di totem destinati agli spazi urbani e realizzati con il legno degli alberi dei viali e dei parchi cittadini abbattuti dalle tempeste dell’estate 2023. E in molti cantieri attenti alla sostenibilità sempre più spesso viene preferito il cosiddetto legno lunare: un legno particolarmente compatto e resistente al fuoco, ai funghi e agli insetti, che si ottiene dal taglio degli alberi sovrannumerari eseguito in inverno, nel periodo dell’anno in cui la linfa entra nella fase di riposo (il tronco viene quindi fatto asciugare in verticale per eliminare l’umidità residua, evitando l’uso del forno di essiccazione), e in luna calante, riprendendo un’antica tecnica forestale di comprovata validità che consente di ottenere un prodotto di alta qualità senza dover ricorrere a trattamenti chimici o meccanici.
L’articolo è disponibile nel numero in uscita di febbraio/marzo 2024 di Pambianco Design