Il modello di filiera dell’illuminazione si basa sulla presenza di aziende strutturate e collocate nei pressi degli stabilimenti del brand committente. Il futuro non è a rischio e si stanno aprendo anche opportunità di crescita. I casi di Artemide e Penta Light.
Tra Veneto e Lombardia prospera la filiera della luce. In un comparto in costante evoluzione, le aziende leader si sono avvalse di tante piccole realtà specializzate in operazioni “non core” che hanno permesso ai committenti di concentrare il focus produttivo e di dedicarsi con più risorse allo sviluppo delle novità. Il blocco delle attività tra marzo e aprile ha aumentato la consapevolezza che si debba ripartire insieme, fortificando questo legame “da valle a monte” che trae forza proprio dall’esistenza di una filiera geograficamente corta.
CRITERIO DI PROSSIMITÀ
Le difficoltà dei mesi scorsi hanno aumentato, in Artemide, la consapevolezza che sulla filiera occorre lavorare partendo da obiettivi condivisi. L’azienda milanese ha come riferimento la produzione italiana ed europea. “Il 95% dei nostri acquisti dipende da fornitori europei, con un peso del 76% per quelli italiani”, precisa Carlo Maconi, cfo dell’azienda fondata e presieduta da Ernesto Gismondi e amministrata dalla moglie Carlotta de Bevilacqua. Il modello organizzativo di Artemide prevede una forte integrazione delle attività industriali nei quattro stabilimenti di proprietà tra Italia (due fabbriche), Francia e Ungheria. Inoltre, la società ha una partecipazione del 50% in Vetrofond, vetreria artistica fondata dalla famiglia Moretti nel territorio compreso tra Venezia e Treviso. Le fasi interne vanno dalla finitura alla verniciatura fino alle lavorazioni meccaniche, i tagli laser e la pressatura. Ma se Artemide arriva a occupare circa 700 dipendenti diretti, ce ne sono molti di più all’esterno, sommando gli addetti delle aziende fornitrici e terziste, alle quali non ha fatto mancare il proprio sostegno. “Sono tutti ripartiti in modo ordinato – precisa Maconi – e noi abbiamo cercato di agire in modo responsabile, ottenendo al tempo stesso un approccio responsabile anche da parte dei nostri clienti per evitare approcci speculativi in una fase così delicata. Alla luce della situazione attuale, Artemide ha un portafoglio ordini tale da poter offrire garanzie di continuità alla supply chain. Siamo vicini ai nostri fornitori e lo abbiamo dimostrato non solo con le parole, ma anche rispettando le condizioni prestabilite per i pagamenti”. Artemide pone l’accento sulla prossimità dei suoi fornitori rispetto agli stabilimenti di riferimento e questo vale non solo per l’Italia, ma anche per l’unità produttiva francese, specializzata nell’ambito architetturale e per prodotti destinati all’uso professionale, e per quella ungherese, per produzioni ad alto volume con una componente importante di costo di manodopera. In sostanza, la supply chain deve essere vicina alla fabbrica e ciò comporta che per l’Ungheria e per la Francia ci si appoggi prevalentemente a fornitori locali, esattamente come accade negli stabilimenti italiani. Fanno eccezione quelle eccellenze produttive di area perlopiù tedesca alle quali Artemide fa riferimento per la ricerca di materiali innovativi o di un particolare know how, necessari quando vengono sviluppati nuovi progetti. “Artemide pensa e progetta in Italia, produce in Europa”, sintetizza il cfo dell’azienda, sottolineando come la presenza di una supply chain tutta europea rappresenti un vantaggio importante rispetto ai competitor nell’ottica di uno dei punti cardine della propria attività: la sostenibilità. “E per essere sempre più sostenibili – precisa – dobbiamo operare con partner che condividono i nostri stessi principi, migliorando continuamente gli standard. Perché ci sono certamente spazi di ulteriore crescita, pur partendo da ottime basi”. La sostenibilità per Artemide è ambientale, sociale ed economica. E il sostegno della filiera è parte di questa strategia: “Evitando atteggiamenti speculativi che a lungo andare minacciano la sopravvivenza del sistema”, conclude Maconi.
SELEZIONE NATURALE
“Per alcuni nostri fornitori siamo un committente di estrema importanza, dal quale dipende la maggioranza del loro fatturato. Onorare i tempi di pagamento è stata una scelta responsabile”, afferma Andrea Citterio, CEO del gruppo Penta Light, realtà formata da quattro aziende (Penta Light, Penta Architectural Light, P Custom Light e Arredoluce) per 12 milioni di consolidato nel 2019 di cui 8 derivanti dal mondo decorativo, 3 milioni dal tecnico e 1 milione dalle partnership con altri brand del settore, tra cui Armani Casa. Un fatturato distribuito equamente tra il canale wholesale e la progettazione. Nel decorativo, in particolare, il modello organizzativo è basato perlopiù sulla collaborazione con aziende di filiera. “Ci avvaliamo di una rete di fornitori che copre il nord Italia, dalla Lombardia verso il Triveneto, con alcune collaborazioni in Toscana legate alle forniture di prodotti in cuoio”, precisa Citterio. Per quanto riguarda il prodotto tecnico, c’è più equilibrio tra produzione interna e contoterzismo perché l’azienda dispone di una struttura specializzata nei led che Citterio considera uno dei punti di forza del gruppo: “Perché in genere i led arrivano dal Far East, mentre la nostra produzione ci dà il vantaggio di una qualità italiana e di una durabilità garantita nel tempo, con la possibilità di lavorare sulla customizzazione del prodotto”. I tempi di consegna sono rapidi, poiché Penta Light assicura il prodotto entro 4 settimane dall’ordine, e pertanto le aziende si appoggiano a fornitori strutturati e in grado di allinearsi a tempi e standard di qualità predefiniti. È una selezione naturale dei supplier, che peraltro non presentano particolari criticità né a livello strutturale né di ricambio generazionale: “I figli dei proprietari sono già inseriti in azienda e quando non è avvenuto il turnover, i fornitori hanno comunque managerializzato le loro imprese”. La solidità dei supplier è particolarmente alta nell’ambito del vetro, soprattutto nel Veneto, mentre gli ambiti più delicati appaiono quelli delle finiture superficiali. “Per la verniciatura galvanica, in particolare, non escludiamo possibili sviluppi legati a un’internalizzazione, perché è stato difficile trovare partner allineati e perché è la fase di maggior impatto a livello estetico”, afferma Citterio, brianzolo “emigrato” a Treviso, dove ha trovato la concretizzazione dei suoi modelli di impresa. “Gli imprenditori veneti non avranno la stessa capacità dei brianzoli nel raccontare il prodotto e nello sviluppare il brand, ma sono imbattibili per capacità di gestire persone e processi complessi su larga scala. Le fabbriche più belle del nostro settore sono qui e il fatto che in Veneto si sia sviluppato il terzo polo produttivo mondiale per Ikea, dopo Cina e Polonia, la dice lunga sul livello di efficienza e di automazione raggiunti dalle imprese territoriali”. Una fiducia, quella di Penta Light verso il sistema regionale del design, tale da aver spinto l’azienda a programmare un ulteriore sviluppo con la ricerca di un capannone da 10-15 mila metri quadrati. “Quando l’ho detto, mi hanno guardato come se fossi un marziano… ma sono ottimista e ritengo che questo sia un momento propizio per investire”.
di Andrea Guolo