La transizione energetica è arrivata a un punto cruciale. E mentre Hera e Snam creano a Modena una ‘Hydrogen Valley’, alcune aziende del settore ceramico puntano allo stop dei combustibili fossili. Governo permettendo.
L’obiettivo è chiaro: ridurre l’utilizzo dei gas fossili e promuovere l’adozione di fonti energetiche rinnovabili. In questo contesto, l’idrogeno verde rappresenta un’opportunità da cogliere. E chissà che non siamo proprio all’alba di una nuova era: quella dell’Hydrogenocene. Tutti ne parlano come la soluzione più a portata di mano e i dati lo dimostrano: secondo GlobalData, la capacità mondiale quest’anno potrebbe crescere del 165% rispetto al 2022, raggiungendo 4,5 milioni di tonnellate nel 2024. E nel 2023 questa tendenza positiva potrebbe portare a una produzione di oltre 71 milioni di tonnellate l’anno entro il 2030. Il processo chimico è ormai innescato e non si può fermare. E quello che più interessa è che l’innesco è ‘eco’, perché si ottiene dall’elettrolisi dell’acqua usando solo elettricità prodotta da fonti rinnovabili. Si tratta quindi di energia pulita e producibile in qualsiasi luogo del mondo – il piano europeo prevede di impiegare aree industriali dismesse – che può essere stoccata e utilizzata in diversi settori, come quello dei trasporti, della produzione di calore per uso industriale, fino all’immissione nelle reti di trasporto e distribuzione del gas.
La filiera nazionale dell’idrogeno: giovane, in salute, pronta a crescere, ma…
Anche per l’Italia, secondo l’Osservatorio H2IT realizzato da Intesa Sanpaolo, l’idrogeno è diventato una priorità. Il Pnrr a questo scopo aveva stanziato un budget di 3,64 miliardi di euro, che tuttavia verrà ridimensionato di circa un miliardo. I progetti stralciati, però – almeno secondo le rassicurazioni del ministro Raffaele Fitto – verranno finanziati tramite fondi provenienti da altri programmi europei e nazionali. Lasciando in tavola molti dubbi, perché puntare sulla produzione di idrogeno verde in Italia è essenziale per arrivare a centrare gli obiettivi europei net zero, previsti al 2050. E poi, senza idrogeno da rinnovabili, non è possibile decarbonizzare settori hard-to-abate come la ceramica. Strategie domestiche a parte, secondo l’indagine, sono proprio le aziende a giocare un ruolo cruciale in questa svolta. Nel 2022, il 65% di queste ha aumentato gli investimenti, per il 70% con le proprie risorse finanziarie, mentre il 22% ha ricevuto supporto da fonti europee, nazionali o regionali. Più di metà delle imprese (56%) ha partecipato a bandi europei come Horizon 2020, Horizon Europe, FCH JU e Clean Hydrogen partnership, cercando finanziamenti. E nel 65% dei casi sono riuscite ad ottenerli: una fotografia che dimostra la dinamicità della situazione nonostante il tentennamento del governo.
Il caso Emilia Romagna, tra pubblico e privato
Nonostante le sfide legate alla crisi delle materie prime, dell’energia e ai danni dell’ultima alluvione, l’industria ceramica non si arrende. E lo fa lavorando su più fronti, tra pubblico e privato. La prima mossa è recente: l’Emilia Romagna ha stanziato 19,5 milioni di euro nel progetto ‘IdrogeMo’, sviluppato da Hera e Snam con l’obiettivo di creare a Modena la ‘Hydrogen Valley’, utilizzando fondi del Pnrr. Il polo sorgerà in un’area industriale dismessa e, come racconta l’ingegnere Orazio Iacono del Gruppo Hera, prevede “l’installazione di impianti fotovoltaici sulla sommità della discarica e un sistema di fotovoltaico galleggiante posto in un bacino adiacente, dove verrà prodotta energia rinnovabile da usare per generare idrogeno”. I benefici che ne dovrebbero derivare sono “la riduzione delle emissioni di gas legate alla parziale sostituzione dei carburanti fossili nell’industria hard to abate e nel settore dei trasporti. Con questo progetto, insieme a Snam, ci aspettiamo di produrre a regime 400 tonnellate l’anno di idrogeno verde, pari al consumo di gas annuale di mille famiglie”.
I settori più coinvolti saranno le industrie hard-to-abate, la mobilità e l’industria chimica. “Abbiamo già contatti con numerose aziende del comparto ceramico”, continua Iacono, “che al momento sono in fase di valutazione”. Oltre agli impieghi nel trasporto pubblico, “l’idrogeno potrà essere utilizzato sia attraverso fuel cell (celle a combustibile, ndr) per la riconversione in energia elettrica, sia in miscelazione col metano per avviare una decarbonizzazione negli utilizzi che oggi non possono ancora fare a meno del gas, come nel settore ceramico. Il progetto SynBioS prevede invece la produzione di idrogeno e la successiva combinazione di questo gas con anidride carbonica: questo processo, chiamato ‘power to gas’, consente di immagazzinare energia sotto forma di metano di origine biologica, superando i limiti degli stoccaggi tramite batteria”.
Il progetto non punta solo all’industria, visto che a Castelfranco Emilia, vicino a Modena, si utilizzerà idrogeno misto al metano nella rete di distribuzione del gas cittadino: è il primo esperimento del genere in Italia. “L’obiettivo è quello testare nuove soluzioni per l’uso di gas ecologici e studiare gli aspetti operativi per gestire in sicurezza l’infrastruttura”, conclude Iacono. Ma la scommessa è anche privata: a Castellarano, Reggio Emilia, Iris Ceramica Group e Edison Next si sono uniti per creare la H2 Factory™ con l’obiettivo di produrre grandi lastre, utilizzando idrogeno verde grazie a un impianto di produzione alimentato da pannelli fotovoltaici e acqua piovana recuperata: inizialmente verrà usata una miscela con gas naturale, ma già si studia il passaggio al 100% idrogeno. La produzione attesa, di circa 132 tonnellate di idrogeno verde l’anno, andrà a sostituire qualcosa come 500 mila metri cubi di metano, mentre il blend consentirà di abbattere i valori di anidride carbonica, con un risparmio di circa 900 tonnellate di CO2. Anche Atlas Concorde, che ha stanziato 60 milioni di euro per ampliare lo stabilimento a Finale Emilia, avrà il forno predisposto per funzionare con idrogeno. Per una produzione sempre più tecnologicamente sostenibile.