L’esperienza di Progetto CMR, da 15 anni in Cina. “Essere presenti, agire con logiche di sistema, promuovere la cultura italiana”.
Se le formiche si mettono assieme, possono spostare anche un elefante. Il proverbio, di origine africana, è la perfetta sintesi delle potenzialità italiane in Cina. Il problema, però, è riuscire a mettersi assieme e non riguarda soltanto le aziende, ma anche gli architetti italiani che si sono trasferiti nell’ex Celeste Impero per intercettare le opportunità offerte dal gigante asiatico. Proprio loro stanno tentando di correre ai ripari di fronte alla frammentazione tipica italiana dando vita all’Architectural Design Community, un punto di contatto tra professionisti della progettazione tra gli oltre cento studi che operano in Cina. “La Community – spiega Massimo Bagnasco, vice presidente della Camera di Commercio europea a Pechino (EUCCC) – nasce per promuovere la cultura, la visione e l’approccio progettuale degli architetti italiani”.
Bagnasco è in Cina da 12 anni come partner e managing director di Progetto CMR, società di progettazione integrata fondata da Massimo Roj (nella foto), uno dei primi architetti italiani a credere già nel 2002 nello sviluppo del Paese al punto da aprire una propria sede. “All’inizio è stata durissima – racconta Roj – ma oggi questo è il nostro secondo mercato”. L’ultimo cantiere aperto da Progetto CMR a Chongqing presenta una superficie pari a tre volte quella di CityLife, dà lavoro a 30 mila persone e sarà ultimato in 24 mesi contro i dodici anni e oltre necessari per l’ex fiera milanese.
La vicenda di Progetto CMR dimostra che per affermarsi in Cina occorre essere presenti nel Paese. Se uno studio di architettura non ha una sede qui, non solo non potrà comprendere l’evoluzione del mercato, cercare clienti, consolidare i rapporti, essere considerato un partner affidabile; avrà anche enormi difficoltà a incassare. Lo stesso vale per le aziende del mobile. Rafforzare le relazioni tra brand dell’arredo e progettisti è una parte dello sforzo necessario ad assicurarsi una fetta della mega torta del contract legato ai residence building. La parte maggiore consiste nell’entrare a diretto contatto con i developer. Gli ostacoli sono soprattutto due: distanza e costi. “Il made in Italy è perfetto per intercettare la fascia alta di clientela – afferma Bagnasco – ma è inaccessibile, a livello di prezzo, per quella media. Occorrerebbe sviluppare un prodotto made in China con gusto italiano per entrare in un mercato che oggi non c’è. Oltretutto le pmi del mobile devono unirsi perché da sole non hanno i mezzi per fare business in Cina. Aprire uno showroom è utile, ma la diffusione dev’essere capillare”.
di Andrea Guolo