I grandi eventi cambiano il volto delle metropoli. Succederà anche negli Emirati Arabi. Come modello è stato scelto Milano che lavora da anni a un polo dell’innovazione unico in Europa sul sito che fu dell’Esposizione del 2015.
Appena fuori il centro abitato di Dubai, ma non troppo distante dal mare né dagli aeroporti internazionali della metropoli. Oggi ospita i padiglioni di Expo, dal primo aprile 2022 tornerà a essere un cantiere: chiusa la manifestazione si partirà subito con i lavori per realizzare District 2020, la città del futuro che sarà l’eredità della prima Esposizione universale organizzata dagli Emirati Arabi Uniti. L’idea è quella di far nascere una smart city sostenibile, focalizzata sui bisogni della comunità locale e in grado di bilanciare i bisogni della vita quotidiana. District 2020 avrà al suo interno un ecosistema di aziende orientate all’innovazione, avvicinando in un unico luogo talenti e tecnologie. Nel nome della sostenibilità, verrà riutilizzato l’80% delle costruzioni realizzate per l’Esposizione, mantenendo intatta la vocazione del luogo: attrarre imprese e persone per lavorare, vivere ed esplorare.
Essere umano al centro
Il volto di questa transizione verso il futuro è Reem Al Hashimi, una quarantenne rampante con un curriculum universitario negli Stati Uniti d’America e con alle spalle anni di impegno negli Emirati Arabi Uniti per l’empowerment femminile. Oggi è ministro per la Cooperazione internazionale, direttore generale di Expo 2020 e custode della sua eredità. “Quando avremo chiuso i battenti – spiega parlando con la stampa locale – il sito si trasformerà in un progetto incentrato sull’essere umano. District 2020 rafforzerà l’industria e la crescita tecnologica del Paese con strutture di livello mondiale dedicate all’istruzione, alla cultura e all’intrattenimento per sostenere il progresso degli Emirati Arabi Uniti verso un’economia guidata dall’innovazione”. Per rendere attraente l’area, come da tradizione emiratina, non si è badato a spese: sono stati investiti 8 miliardi di dollari per fare di quella buona parte di deserto il luogo dei sogni per almeno sei mesi. Ma l’obiettivo, aggiunge Al Hashimi in un colloquio con la Cnn, non era (solo) avere un’Esposizione indimenticabile “bensì creare le condizioni per dar vita alla città del futuro, in un sito di 480 ettari che fosse davvero ben collegato con il resto del territorio e connesso con il 5G. Sarà il posto perfetto per mostrare al mondo come le nuove tecnologie possono creare valore per l’economia”, ha promesso. Da anni i dossier che vengono presentati al Bureau International des Exposition (Bie) per ottenere i sei mesi di kermesse propongono un piano per il post edizione. La postilla serve ad evitare lo spreco di risorse, dopo il cocente flop di qualche kermesse che negli anni Novanta ha bruciato sogni e risorse. A Milano, sul terreno che fu teatro di Expo 2015, i cantieri di Mind – Milano Innovation District ormai viaggiano a pieno ritmo e all’orizzonte si vede il traguardo: è uno dei più grandi progetti di rigenerazione urbana d’Europa e ha la missione di tenere vivo il ricordo del semestre milanese. “L’Expo ha avuto un successo enorme e ha creato una crescita per la città e per quello che le ruota attorno. Un ambiente favorevole che ha attirato operatori nazionali e internazionali diventati parte del progetto di sviluppo dell’area”, spiega il presidente di Mind, Giovanni Azzone. L’ingrediente del successo, racconta, “è stata la coesione tra le istituzioni che hanno voluto remare tutte nella stessa direzione. C’è stata la volontà di collaborare tutti perché il sito di Expo non fosse un luogo disabitato destinato a deperire nel tempo, ma diventasse un volano per la creazione di valore condiviso su tutto il territorio”. Quattro i pilastri dell’intero progetto: il centro di ricerca dello Human Technopole, l’università Statale di Milano che sull’area trasferirà le sue facoltà scientifiche, l’ospedale Galeazzi con un suo centro di eccellenza e fondazione Triulza, protagonista milanese del terzo settore. Al colosso globale del real estate Lendlease è stata affidata la realizzazione della parte residenziale privata. “Qui – aggiunge il presidente di Mind – stiamo progettando una città che a pieno regime sarà frequentata da 60-70 mila persone al giorno e se fosse un comune italiano a sé sarebbe tra i primi 200 in Italia. Una città – evidenzia Azzone – che progettiamo da zero, utilizzando tutte le tecnologie di frontiera che fanno di questo luogo il punto nevralgico della sperimentazione, dove si può toccare con mano cosa l’innovazione può fare per darci un futuro migliore. La chiamano ‘smart city’ all’estero, ma per noi la tecnologia non è mai fine a se stessa ma uno strumento per migliorare la qualità della vita. E Mind è un ‘test case’ visibile a tutti”.
Milano in prima linea per rigenerazione urbana
Quello che sta per essere realizzato a Milano ha decisamente ispirato Dubai, che non per niente vuole mettere a punto una città tutta nuova, tecnologica e sostenibile. “Fa molto piacere essere considerati un modello vincente, spesso in Italia cerchiamo spunti all’estero ma ogni tanto è anche bello essere d’ispirazione”, sottolinea Azzone. “Anzi – dice – forse non è casuale che questo modello sia nato proprio in Italia: noi abbiamo la tecnologia, l’inventiva e le persone adatte per realizzare progetti complessi tenendo ben presente la necessità di avere le persone al centro: abbiamo l’umanesimo nel Dna e, se pure siamo meno bravi nell’innovazione iper-sofidisticata, siamo imbattibili nel creare soluzioni funzionali per la vita delle persone”. Con Mind oggi Milano si pone “in prima linea per i progetti di rigenerazione urbana”, aprendo un nuovo corso per tutte le Esposizioni universali che saranno organizzate da qui in poi: “Le Expo – sottolinea Azzone – creano un momento di apertura sociale in un momento in cui la globalizzazione vive un periodo di profonda crisi e questo è un bene. Ma diventano anche l’occasione per creare valore futuro: rigenerare delle aree cittadine è uno dei suoi compiti più importanti”.
L’edizione choc per una Esposizione, l’incubo da non rivivere mai più, è stata quella del Duemila: Hannover. Non fu – solo – un problema di scarsa affluenza, ma anche di inadeguata organizzazione: il sito della fiera, anni dopo la kermesse, venne descritto dalla stampa come “una città fantasma”, in “uno scenario alla Blade Runner”. Insomma, una volta smantellati i padiglioni non è rimasto niente di bello nella cittadina della Sassonia a riprova del fatto che non basta conquistare la bandierina dell’Expo per avere ricadute positive sul territorio. “La città ha avuto la manifestazione, ma senza generare grandi entusiasmi”, nota Mario Breglia, presidente di Scenari immobiliari. “I veri ritorni di un grande evento non sono sempre economici, ma più di immagine e comunicazione. Ci sono tante città che vogliono le Expo o le Olimpiadi, anche se sono quasi sempre in perdita: è una pura questione di prestigio. La maggior parte degli europei non sapeva dove fosse Matera, ma dopo essere stata scelta come Capitale della cultura la città ha vissuto un boom turistico con una bolla immobiliare non indifferente. Con l’Expo di Siviglia e le Olimpiadi di Barcellona negli anni Novanta per la Spagna è iniziato un ciclo positivo impressionante; anche Shanghai ha saputo sfruttare il suo evento nel 2010 per cambiare il volto della città. Nel 2015 l’Expo ha interessato una parte piccola di Milano, ma è servito a darne un’immagine internazionale molto forte con l’Italia che a fatica usciva dalla crisi del 2010-2011”.
Obiettivo è l’immagine, più del ritorno economico
Portare un’Esposizione a casa aiuta quindi un paese “ad affermare la sua immagina”, nota Breglia. Un mezzo per ribadire la propria forza o per costruirla dal nulla, partendo dalla sabbia del deserto. “Per molti paesi è necessario esserci, far parte di un sistema e confrontarsi con gli altri stati per motivi di prestigio”. Il Medio Oriente su questo fa scuola: se gli Emirati Arabi Uniti hanno ottenuto la loro Expo, il vicino – e per niente amico – Qatar ha puntato forte sullo sport portando una serie di competizioni nella piccola penisola, compresa la Coppa del mondo di calcio del 2022 che è la più importante tra tutte. “Non esiste un rapporto causa-effetto tra la crescita di una città e l’organizzazione di un grande evento. C’è chi ne ha beneficiato, ma il ritorno fondamentale è l’immagine che poi traina anche gli investitori internazionali”, sottolinea il presidente di Scenari Immobiliari. Di certo, a Shanghai e Milano come a Dubai, un’Esposizione porta con sé degli investimenti infrastrutturali che altrimenti non sarebbero caduti sul territorio: “Sono molto più importanti dei sei mesi di fiera, mettono le condizioni a un territorio per poter far crescere il suo mercato immobiliare e tutto ciò che ruota attorno. Certo, per Dubai è difficile trovare delle logiche economiche”, vista la facilità con cui si possono trovare i finanziamenti, ma “costruire una città in mezzo al deserto resta una grande scommessa e ha un ritorno economico certo: terreni che valevano zero oggi pesano qualcosa. Per gli sceicchi – evidenzia l’esperto – avere l’Expo serve a mantenere vivo l’interesse sul marchio-Dubai. Se tutto funziona, diventa una formidabile politica di marketing che permette a un territorio di essere sempre presente con cose nuove per proporre grattacieli firmati da archistar e infrastrutture eccezionali in grado di conquistare premi internazionali”.
Con l’Esposizione di Shanghai del 2010 la Cina si è mostrata furba e lungimirante. E del resto aveva seguito lo stesso schema con un altro grande evento globale come le Olimpiadi di Pechino del 2008. “L’obiettivo di tutta l’organizzazione non sono stati i mesi di fiera, ma dare alla città una proiezione mondiale che non avrebbe mai avuto: a Shanghai – chiosa Breglia – è stata smantellata e ricostruita la vecchia area portuale; a Pechino con i Giochi gli enormi investimenti pubblici hanno permesso di realizzare aeroporti e stadi che hanno contribuito a creare l’immagine della Cina moderna, protagonista del ventunesimo secolo”.