Sarà la mostra “Piazza senza nome” di Alexander e Sasha Brodsky a inaugurare l’apertura della Fondazione Galleria Milano. Questo nuovo ente non-profit privato si pone una doppia finalità: da una parte la tutela e valorizzazione del patrimonio artistico e culturale della storica Galleria Milano e dall’altra, la promozione di ricerche contemporanee, nazionali e internazionali, attraverso mostre, performance, attività educative e formative.
Questo doppio approccio è rispecchiato anche dall’architettura della sede, collocata in un cortile di un classico palazzo milanese, in un quartiere in grande espansione dove si trovano altre realtà artistiche e culturali di rilievo. Strutturata su due piani, il piano superiore ospita uno spazio espositivo illuminato da grandi finestre in legno, mentre al piano inferiore si trova un’ulteriore saletta espositiva, una vasta biblioteca, l’archivio storico e una raccolta di materiali di più di mille artisti che hanno fornito e condiviso nei decenni documentazione e cataloghi inerenti alla propria attività. La Fondazione non limiterà i suoi obiettivi alla conservazione dell’archivio preesistente, ma si impegnerà nell’offrire competenze e servizi per la conservazione e promozione di ulteriori archivi di artisti e di realtà legate all’arte contemporanea attraverso il progetto Archivi Riuniti.
L’ente affonda le sue radici in una delle gallerie d’arte moderna e contemporanea più longeve sul territorio nazionale. Una prima apertura della Galleria Milano avvenne infatti per volontà di Enrico Somarè nel 1928, esperienza che si concluse, dopo vicende travagliate, nel giro di un decennio a causa dello scoppio del conflitto bellico. Nel 1964 venne riaperta in via della Spiga e fu l’inizio di una lunga avventura sotto la direzione, dal 1965 al 2019, di Carla Pellegrini Rocca. La gallerista compì scelte coraggiose e lungimiranti, essendo tra le prime a esporre nel nostro paese la pop art inglese, l’azionismo viennese, il gruppo Gutai giapponese, artisti tedeschi allora emergenti tra cui Georg Baselitz, Joseph Beuys e Blinky Palermo, ma anche autori statunitensi ai tempi poco noti come Ed Ruscha, Fred Sandback, Bob Graham, Kenneth Price, Joe Goode.
Attraverso le oltre trecentocinquanta mostre tenutesi prima in via della Spiga, poi nel palazzo nobiliare di via Manin/via Turati, sede della galleria dal 1973 al 2022, furono dedicate mostre agli aspetti meno noti delle avanguardie storiche e dell’astrazione, e furono stretti sodalizi durati decenni con Vincenzo Agnetti, Gianfranco Baruchello, Valentina Berardinone, Antonio Calderara, Vincenzo Ferrari, Enzo Mari, Davide Mosconi, Grazia Varisco e Luigi Veronesi, tra gli altri. Dal 2019, anno della scomparsa della gallerista, le è succeduto il figlio Nicola Pellegrini, affiancato da Baldo Pellegrini, Toni Merola e Bianca Trevisan.
La mostra inaugurale, con vernissage lunedì 18 marzo, sarà dedicata a “Piazza senza nome”, un progetto nato dal dialogo tra l’architetto e artista russo Alexander Brodsky e suo figlio Sasha, artista visivo, stampatore e musicista che vive e lavora a Brooklyn. Lo spazio espositivo ospiterà una grande installazione in terra cruda, alla quale il visitatore potrà accedere solo attraverso le finestre presenti sulle pareti dell’installazione stessa. Questa l’ambientazione: in uno scenario urbano, in una grande piazza anonima, si stagliano uno in fila all’altro tre alti obelischi. Intorno una folla di persone fa riflettere sulla solitudine all’interno di un contesto collettivo solo all’apparenza, perché non fa altro che disvelare il solipsismo dell’individuo. Alle pareti saranno presenti disegni e incisioni in dialogo con l’installazione, in un incontro e compenetrazione tra arte visiva e architettura che è la cifra distintiva della ricerca di entrambi gli artisti. Si tratta di un gioco di scatole cinesi, un’architettura a matrioska che presenta un gioco di prospettive quasi vertiginoso: uno spazio (la città immaginata dagli autori) dentro a un altro spazio (l’installazione in terra cruda) dentro a un altro spazio, quello della Fondazione.