Dialogo con la natura, rigenerazione urbana e una sensibilità per i temi sociali sono da sempre le principali fonti d’ispirazione dello studio internazionale d’architettura fondato a Roma nei primi anni Duemila da Massimo Alvisi e Junko Kirimoto, partner nella vita e nella professione. In due decenni di attività, la coppia italo-giapponese ha firmato numerosi interventi in Italia e all’estero, ora raccolti in una monografia (Alvisi Kirimoto. Storia, Natura, Lavoro, The Plan Editions) che ne illustra i lavori nei campi dell’architettura e dell’urbanistica, degli interni e del design. E dalla quale affiora un’attenzione speciale per la riconnessione dell’uomo con l’ambiente, anche e soprattutto in un’ottica di contrasto al climate change.
Quali sono oggi i fattori di vulnerabilità da considerare prima di affrontare un progetto?
Il cambiamento climatico non è un fenomeno recente, e non se ne può parlare senza analizzare le problematiche storiche, socio-economiche e ambientali che abbiamo vissuto negli ultimi cento anni. La disuguaglianza e la mancanza di accesso a risorse sostenibili sono variabili che devono essere tenute in considerazione quando si affronta questa tematica. Anche le guerre generano inquinamento per via dell’elevata produzione di polveri e sostanze tossiche: i crateri che vengono lasciati dalle bombe, per esempio, spesso modificano il suolo e lo inquinano, sconvolgendo il paesaggio in maniera irreversibile. Tutti i conflitti generano distruzione sia fisica del territorio che sociale, poiché annientano l’identità dei popoli e hanno ripercussioni anche sui flussi migratori.
Com’è la situazione in Italia?
L’urbanizzazione ha provocato nel corso del tempo una significativa impermeabilizzazione del suolo, riducendo la sua capacità di assorbire l’acqua, e la cementificazione non regolata ha modificato in maniera irreversibile l’assetto paesaggistico, mettendo a rischio gli ambiti urbani e agricoli in caso di fenomeni atmosferici estremi. C’è inoltre da tenere presente il fattore dell’abusivismo: spesso infatti in Italia si è edificato in aree a rischio sismico e idrogeologico, con conseguenze devastanti per le persone e l’ambiente. Non ultimo, hanno un loro peso anche la criminalità e le situazioni di illegalità: si pensi per esempio al caso della Calabria che, nel 2022, è stata stimata da Legambiente come caratterizzata dal ciclo illegale del cemento, della pesca di frodo e dalla navigazione in aree protette, che causano danni irreversibili al terreno e ai mari.
In quale modo lo stile di vita contemporaneo sta impattando sulla fisionomia delle città?
Nei distretti urbani c’è un problema di sovrappopolamento, e sta tuttora aumentando la tendenza a vivere in città o nelle aree metropolitane, dove ormai risiede circa l’80% della popolazione. Questo incremento è dettato da due macro esigenze: la prossimità al luogo di lavoro e la vicinanza ai servizi di prima necessità, fattori che determinano un conseguente impoverimento delle aree rurali, lo svuotamento dei borghi, vitali per l’identità culturale del Paese, l’abbandono delle aree verdi e la proliferazione dei brownfield: sono quei siti ex industriali e commerciali degradati, e spesso inquinati, dove è comunque ancora possibile pianificare interventi di bonifica, messa in sicurezza, riutilizzo o trasformazione d’uso, in genere facendo leva sulle opere di urbanizzazione già presenti e sulla vicinanza delle vie di collegamento
Come si potrebbe intervenire in concreto?
È necessario adottare strategie concertate condotte su diverse scale: politica, economica e sociale. Riqualificare le periferie tramite il “rammendo” urbano e l’innesto di spazi condivisi e culturali è essenziale per riconnettere diversi tessuti sociali e creare una relazione trasversale tra aree extra urbane. Insieme al team G124, il gruppo di lavoro voluto dall’architetto Renzo Piano, abbiamo per esempio portato avanti diversi progetti di rigenerazione relativi agli hinterland metropolitani, con particolare attenzione all’aspetto sociale: è il caso della scuola-prototipo di Sora, antisismica, in legno di abete, concepita come un polo di aggregazione aperto alla cittadinanza. Per contrastare l’impermeabilizzazione del suolo si possono invece trasformare o demolire edifici già esistenti per ricostruire in maniera sostenibile, con un occhio di riguardo per lo spazio verde, da usare un vero e proprio elemento infrastrutturale. Oggi è possibile ostacolare l’abusivismo e incrementare le aree permeabili tramite una gestione del suolo innovativa, come con la creazione di rain garden: sono strutture che trattengono più del 50% delle precipitazioni, che poi vengono rilasciate gradualmente nel sistema di drenaggio per prevenire il collasso delle fognature in caso di alluvioni.
Qual è il ruolo dell’architetto in uno scenario in così profonda e rapida mutazione?
All’interno del processo di individuazione, di studio e di risoluzione delle criticità vecchie e nuove, la figura dell’architetto si inserisce come una sentinella che deve comprendere i problemi, denunciarli e, tramite l’affiancamento di esperti nelle diverse discipline attinenti al progetto, differenziare la propria azione. L’architetto, tuttavia, non è solo un tecnico che mette a punto soluzioni durature, efficienti e utili: deve anche saper dare vita a opere capaci di emozionare chi le abita, di generare bellezza, di tracciare mondi alternativi e, in definitiva, di plasmare gli spazi che abiteremo in futuro.
Si può illustrare qualche esempio in cui avete concretizzato i capisaldi di questa visione?
La ricostruzione dell’Accademia della Musica ABF “Franco Corelli” di Camerino è il terzo intervento post-sisma promosso dalla Andrea Bocelli Foundation Ente Filantropico a favore dell’area, fra le più colpite dagli eventi tellurici del 2016. Il progetto restituisce a Camerino la locale Accademia Musicale, uno spazio pronto ad accogliere oltre 160 studenti e le tante iniziative culturali della comunità e che, in aggiunta, dota il polo universitario di una nuova identità architettonica. L’idea di realizzare un centro musicale ai margini di una piccola città discende non solo dalla necessità di rimanere vicino alle popolazioni che dal centro sono state spostate nei moduli abitativi temporanei situati in periferia, ma anche dalla prospettiva che spesso vede partire proprio dai quartieri periferici la rinascita di un’intera cittadina. In linea più generale, il pensiero che ha guidato la progettazione è stato quello di creare un volume che meravigliasse, non solo da vicino, ma anche da lontano.
Quali sono gli elementi distintivi del progetto?
La ‘pelle’ dell’edificio, formata da una serie di pannelli bianchi di lamiera caratterizzata da forature regolari di dimensione variabile, si ispira alla materia rarefatta delle nuvole, e dall’interno consente allo sguardo di aprirsi verso il cielo: in questo modo, l’uso attivo della luce naturale garantisce effetti positivi collegati al benessere degli utenti e riduce il dispendio energetico. L’auditorium è una scatola perfetta in legno di rovere, che a livello acustico lavora come un laboratorio musicale, mentre il piano superiore ospita nove aule destinate all’insegnamento. La sagoma compatta, sviluppata su due piani, ha consentito di consumare una minore quantità di suolo, e grazie a un sistema interrato di captazione e laminazione delle acque piovane, si è ridotto l’impatto che la struttura ha avuto nell’impermeabilizzazione del terreno sottoposto a edificazione. Il sistema prevede inoltre il riutilizzo di parte delle acque piovane per il mantenimento del verde circostante, e i pannelli fotovoltaici contribuiscono a produrre buona parte dell’energia necessaria all’Accademia.
Sono stati rispettatati dei protocolli particolari?
In fase di progettazione e di esecuzione sono stati rispettati i Criteri Ambientali Minimi (CAM), e sono state adottate metodologie e tecnologie tali da abbattere gli impatti ambientali delle lavorazioni. Per aumentare l’uso di materiali riciclati e il recupero dei rifiuti, si è previsto che non fosse consentito l’utilizzo di prodotti dannosi per lo strato d’ozono, che non fossero utilizzati materiali contenenti sostanze potenzialmente pericolose per la salute e per i quali è prevista una “autorizzazione per usi specifici” ai sensi del regolamento REACH, e che almeno il 50% dei componenti edilizi fosse riciclabile o riutilizzabile.
E quando invece si lavora sul recupero del costruito esistente?
La rigenerazione è un valido banco di prova per stimolare la ricerca e favorire la collaborazione e il coinvolgimento di cittadini, istituzioni, imprese, società civile e organizzata, scuole e università e per proporre un nuovo modo di fare, vivere e crescere insieme alla città. Questa rete di nuove relazioni è stata attivata, per esempio, per il restauro e la riqualificazione dell’area ex-Macrico a Caserta (il vecchio MAgazzino Centrale RIcambi mezzi COrazzati, dismesso dal Ministero della Difesa e oggi proprietà della Curia di Caserta, ndr), con l’obiettivo di promuovere lo sviluppo dei servizi di prossimità in un distretto strategico fra la Reggia, il centro storico e le nuove aree di espansione urbana, migliorando anche la qualità di vita, diminuendo il congestionamento da traffico e contribuendo a ridurre l’inquinamento da CO2 e polveri sottili
Come è stato strutturato l’intervento?
Per la riconversione da Campo di Marte a “Campo Laudato si’ Caserta” abbiamo immaginato la creazione di un parco per l’ecologia ‘integrale’ di oltre 250 mila metri quadrati, con funzione di polo di aggregazione sociale e culturale. Il progetto prevede una drastica riduzione della cubatura esistente per abbattere il consumo di suolo, favorendo – nel contempo – il recupero dei manufatti già presenti in loco, per un totale di circa 42 mila metri quadri di edifici. Il masterplan è incentrato su una suddivisione in cinque Parchi principali connessi fra loro dal verde e da una rete di percorsi, piazze, vie d’acqua, luoghi di incontro, spazi per la ricerca e lo sport. Abbiamo previsto il Parco della Biodiversità, per ripopolare con specie arboree e animali il quadrante dell’ex-Macrico, il Parco delle Arti, destinato alla produzione artistica e al welfare culturale, il Parco della Pace, pensato per l’accoglienza e la solidarietà, con ambienti per attività sociali, associazioni e luoghi per la spiritualità come la Cappella Laudato Sì, il Parco della Cura, per l’anima e il corpo, con aree per il fitness, le attività comunitarie e gli eventi, e il Parco dell’Economia di Francesco, per l’innovazione e la sostenibilità, caratterizzato da spazi di lavoro e ricerca dove l’artigianato e la formazione incontrano l’ecologia integrale. L’intento è quello di dimostrare che, in un’ottica di resilienza e di collaborazione fra forze e competenze, è sempre possibile ridisegnare il preesistente creando nuove opportunità di sviluppo virtuoso per la collettività.