È possibile riqualificare le città esistenti, e costruirne di nuove, trasformandole in ambienti accessibili ad anziani e fragili. Migliorando nel contempo la speranza di vita in salute e le relazioni di scambio con le giovani generazioni.
L’esercito degli oldies è in costante aumento: si calcola che entro il 2050 circa i due terzi della popolazione mondiale vivranno nelle città e, di questi, due miliardi avranno più di 60 anni. È una prospettiva che impone un cambio radicale di prospettiva rispetto all’approccio odierno ai servizi, all’architettura e all’urbanistica, così da poter ridisegnare le città come spazi capaci da un lato di far vivere meglio e di coinvolgere nelle attività comunitarie le generazioni più mature, e dall’altro di accogliere e di supportare i giovani abitanti che saranno gli anziani di domani: una scommessa che chiama in campo progettisti, istituzioni, società civile ed enti di ricerca e che ha come obiettivo la conquista di una longevità in salute, valore di cui l’ecosistema urbano in cui si risiede – o che comunque si frequenta, come turisti o semplici visitatori – può diventare, in chiave pro attiva, il principale catalizzatore.
I luoghi fisici possono condizionare la propensione a invecchiare (bene)
Al tema delle ‘città della longevità’ è stata dedicata la scorsa primavera una tavola rotonda nell’ambito del primo Milan Longevity Summit, format ideato e organizzato nel capoluogo lombardo da Viviana Kasam e BrainCircle Italia: l’incontro, dal titolo ‘City of Longevity’, è stato promosso da SoLongevity, health clinic milanese che attraverso la sua Fondazione opera nel campo della Longevity medicine, e che ha sollecitato un confronto allargato fra esperti internazionali sulla futura identità delle metropoli ‘a misura di invecchiamento’.
“La vita umana può essere fortemente condizionata dai comportamenti e dai fattori ambientali esterni cui siamo esposti e ai quali reagiamo biologicamente durante tutto l’arco della nostra esistenza e, fra questi, ha un peso notevole l’identità dei contesti in cui si abita, si studia, si lavora, si tessono relazioni, ci si cura”, ha ricordato Nic Palmarini, esperto in innovazione e longevità, direttore dell’UK National Innovation Centre for Ageing (NICA) di Newcastle, nel Regno Unito, AD di Voice Italia (la community che coinvolge i cittadini per suggerire le possibili soluzioni e le politiche pro-longevity da attuare nei territori di appartenenza) e responsabile del progetto ‘City of Longevity’: il network, che nasce nel 2023 da una partnership tra il NICA e lo Stanford Center on Longevity, di fatto si ispira a una precedente iniziativa dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, avviata nel 2006 e denominata ‘Age-Friendly Cities’, e si propone di mettere in atto azioni concrete, basate su evidenze scientifiche e sull’applicazione di tool predittivi di intelligenza artificiale, affinché gli anziani possano conservare autonomia, salute, dignità sociale, libertà economica e di movimento in un rapporto di crescita e di supporto condiviso con i gruppi delle diverse età.
“Stiamo attraversando una fase di profonda trasformazione sociale proprio perché oggi si vive più a lungo, con tutte le conseguenze pratiche, ma anche le difficoltà, che una persona matura si trova a dover affrontare in un contesto urbano”, ha chiarito Palmarini. Quindi, se anche le statistiche confermano il progressivo aumento dell’età anagrafica – per l’Italia il rapporto Istat 2023 sul Benessere equo e sostenibile (BES) segnala che l’aspettativa di vita media è di 83,1 anni (85,2 anni per le donne e 81,1 degli uomini), con un recupero quasi totale del livello di 83,2 anni ante pandemia – la domanda da farsi è: quanti di questi anni si trascorrono liberi da patologie o disabilità? Sempre in base alle stime Istat, in Italia la cosiddetta HALE (Health Adjusted Life Expectancy) arriva a 57,9 anni per le femmine e a 60,5 per i maschi, “ed è proprio questa la variabile da non perdere di vista per trasformare la longevità in un percorso di qualità, ricco di stimoli e di opportunità per tutti. In sostanza, “l’impatto dei processi di ageing non va preso in considerazione solo quando le persone diventano anziane ma molto prima, e come risposta congiunta all’aumento dell’aspettativa di vita e all’urbanizzazione, le city of longevity dovranno essere lo strumento d’elezione per promuovere un invecchiamento attivo e sano, rafforzando – in parallelo con un adeguamento della pianificazione degli spazi metropolitani – il sostegno e l’offerta di servizi per la terza età”, ha concluso l’esperto.
Inediti scenari demografici aprono le porte alla silver economy
Fra il 1954 e il 2019 l’aspettativa di vita media nel mondo è cresciuta da 54 a 73 anni (fonte: World Bank data, IHME data, McKinsey Analysis), ma la HALE non è migliorata più di tanto, perché solo la metà degli over 65 gode di buona salute. Quando dunque si parla di generazioni ‘forever old’, occorre avere ben presente che si tratta di un’ampia fascia di popolazione, in costante evoluzione, con esigenze particolari in termini di accesso alle cure. Ma, d’altro canto, non si può dimenticare che il gruppo demografico degli over 50 “nel 2040 avrà un impatto sull’economia globale doppio rispetto a oggi, passando da 41 mila miliardi di Pil del 2020 a 82 mila”, ha commentato Giulio Carlo Dell’Amico, partner KPMG, Global Stretegy Group, Head of Italy, “mentre in Italia le proiezioni riferite a questa fascia di età sono di 1.462 miliardi di euro di Pil per il 2040, pari al 75% dei consumi complessivi”. Mettendo in atto adeguate strategie, “i policy maker che governano le città hanno il potenziale per aggiungere almeno 20-25 miliardi di anni di vita più sana ai residenti, in media 5 anni per abitante urbano”, ha aggiunto Lars Hartenstein, co-leader del McKinsey Health Institute (Ginevra). “La disparità di trattamento sanitario che si registra attualmente fra le diverse città del mondo può accorciare la speranza di vita fino a 30 anni, ma per fortuna esiste un ampio margine d’intervento: nel campo della salute, per esempio, è necessario incentivare l’adesione agli screening di prevenzione già a partire dai 40-45 anni e promuovere l’accesso ai sistemi di telemedicina e monitoraggio a distanza. Inoltre le aree metropolitane andranno attrezzate per affrontare le sempre più frequenti ondate di calore, pericolose soprattutto per anziani e fragili, con la creazione di spazi d’ombra e aumentando la presenza di verde, ma servono anche più strutture per l’accoglienza e la socializzazione: la solitudine e l’emarginazione degli over sono due delle grandi piaghe delle città contemporanee, e sono dei fattori – peraltro modificabili – che possono peggiorare la propensione a invecchiare in salute”.
Ridisegnare viabilità e periferie e valorizzare il senior housing
Se nel 2022 le persone di età uguale e superiore ai 65 anni in Italia erano 14 milioni, nel 2040 saliranno a 19 milioni, con una speranza di vita che si proietta intorno agli 85 anni: alla luce di questi dati, come dovrà cambiare una città per trasformarsi in un ambiente ‘longevity ready’? Fra gli interventi imprescindibili, “la creazione di luoghi di cura e riabilitazione smart, il miglioramento per tutti dell’accesso al cibo sano – anche con l’incentivazione di orti urbani -, l’adeguamento delle reti dei trasporti per collegare meglio centro e periferie, l’implementazione di spazi aperti alle persone di diversa età per condividere attività di formazione, cultura e tempo libero”, auspica François Sarkozy, medico e presidente di FSNB Health & Care, agenzia di consulenza strategica sulla salute: “Immagino le city of longevity del presente e del futuro come luoghi in cui la felicità possa essere un valore comunitario e dove le relazioni inter generazionali vengano promosse e facilitate. E poi penso a Parigi dove, come purtroppo sta accadendo in altre metropoli, poco per volta vengono eliminate le panchine nei parchi, impedendo di fatto alle persone anziane di incontrarsi per socializzare: sono anche questi i piccoli gesti che fanno la differenza”.
È Bergamo la prima città italiana della longevità
Considerando che nel mondo i residenti delle periferie disagiate vivono in media dai 4 ai 7 anni in meno, allora diventano essenziali i progetti di rigenerazione urbana pensati anche con un occhio di riguardo per i bisogni della terza età: valga per tutti l’esempio di Barcellona, dove Josep Bohigas, architetto dell’Urban Front Agency e co-fondatore dello studio BOPBAA, ha promosso la creazione di micro spazi pubblici di aggregazione sparsi in tutta la città e lo snellimento della viabilità a favore della mobilità sostenibile e slow, mentre – parlando di modelli per ora isolati ma pur sempre significativi – a Firenze è stato da poco inaugurato il Villaggio Novoli, un complesso di senior housing di 37 appartamenti per persone over 65 autosufficienti con spazi comuni e servizi personalizzati.
È però Bergamo la prima città italiana (la seconda è Cremona) ad aver aderito alla rete delle City of Longevity lanciata il 6 luglio scorso a Newcastle. “Con la nostra presenza nel network, e grazie all’intesa fra Comune e Università, desideriamo far fronte a una situazione generalizzata che vede un aumento degli over 65 rispetto al resto della popolazione: per ora sono circa il 25% degli abitanti di Bergamo, ma si prevede di arrivare al 35% già nel 2025, e il 14% avrà più di 70 anni”, ha detto il sindaco uscente Giorgio Gori. A queste persone, che spesso non sono più autosufficienti e non sempre ricevono un’assistenza adeguata, la città sta già offrendo una serie di servizi: Bergamo, per esempio, è capofila di WILL (Welfare Innovation Local Lab), piano quinquennale (2019-2024) che riunisce Comuni, istituzioni universitarie e organizzazioni del Terzo Settore che vogliono ripensare i meccanismi che regolano i sistemi di welfare locali, e dal 2023 ha attivato Lisa (un formula di telecare quotidiana per assicurare vicinanza ai cittadini fragili) e Argentovivo, una piattaforma via smartphone che segnala agli anziani iniziative culturali e ricreative adatte per trovarsi e stare insieme.
L’articolo è disponibile nel numero di giugno/luglio 2024 di Pambianco Design