La natura urbana, materia viva dell’architettura del futuro, aiuta a mitigare il global warming e sta colonizzando anche i nuovi luoghi di cura: ne parla Stefano Boeri, che firma due progetti. A Milano e in Cina.
Secondo i World Urbanization Prospects 2018 elaborati dalle Nazioni Unite, nel 2050 il 68% della popolazione mondiale vivrà nelle città, che già oggi consumano il 75% delle risorse naturali e sono responsabili di oltre il 70% delle emissioni globali di CO2 le quali, insieme a quelle di metano e dei gas serra prodotti dall’industria, dall’agricoltura e dagli allevamenti intensivi, determinano il surriscaldamento del pianeta, lo scioglimento dei ghiacci alpini e polari, la perdita di biodiversità e l’innalzamento del livello degli oceani.
È dunque sui distretti urbani che occorre intervenire per rallentare la folle corsa del cambiamento climatico, facendo sì che “proprio le città, in larga parte responsabili dei danni sugli ecosistemi, possano invece diventare parte integrante della soluzione, cercando di aumentare il numero di boschi, parchi e giardini presenti nelle aree metropolitane”, spiega Stefano Boeri, architetto e urbanista, Professore Ordinario di Urbanistica al Politecnico di Milano e direttore del Future City Lab alla Tongji University di Shanghai, un programma di ricerca che anticipa la mutazione delle metropoli planetarie dal punto di vista della biodiversità e della forestazione urbana.
Una ‘fitopolis’ dove si ricrea l’equilibrio fra piante e animali. Incluso l’uomo
La ‘fitopolis’, neologismo che funge da titolo del nuovo saggio del botanico e neurobiologo vegetale Stefano Mancuso (Fitopolis, la città vivente, Ed. Laterza), e che allude a un modello di città “in cui la relazione fra piante e animali si riavvicini al rapporto armonico che si trova in natura”, è l’obiettivo da raggiungere. Basti pensare che “foreste e alberi assorbono ogni anno tramite la fotosintesi quasi il 40% delle emissioni di combustibili fossili prodotte soprattutto dalle città, e aiutano anche ridurre gli inquinanti aerei, responsabili di un’altissima percentuale di malattie respiratorie e morti premature”, prosegue Boeri, autore a Milano del pluripremiato Bosco Verticale: un format abitativo rivoluzionario, oltre che un manifesto politico-culturale per una nuova urbanistica virtuosa, che con i suoi oltre 20mila alberi e un centinaio di specie vegetali messe a dimora su facciate, terrazze e roof top “dimostra come sia possibile combinare architettura e natura in modo tale che la natura non sia solo una componente ornamentale all’interno del progetto, ma ne diventi utente e protagonista”. Il Bosco verticale dal 2014 a oggi ha già generato nel mondo una dozzina di edifici simili all’originale, e altrettanti sono in cantiere: fra i più recenti, entrambi in Olanda, il primo Bosco in social housing inaugurato a Eindhoven, e la Wonderwoods Vertical Forest, in costruzione a Utrecht, una torre di 105 metri dove saranno messe a dimora oltre 30 specie di alberi e che accoglierà un’ampia varietà di funzioni (espositive, commerciali, terziarie, residenziali e ricettive).
Carenza d’ombra: dopo quella idrica, sarà questa l’emergenza dei prossimi anni
“Solo un movimento globale sulla forestazione urbana potrà aiutare a impedire che la temperatura del pianeta cresca sopra il tetto dei 2°C, considerata la soglia massima accettabile dagli accordi formulati dalla COP 21 a Parigi nel 2015”, rimarca l’architetto, che nel 2022 è stato fra i promotori di Forestami, il progetto nato da una ricerca del Politecnico di Milano col sostegno di Fondazione Falck e FS Sistemi Urbani che ha come obiettivo quello di piantumare nell’area metropolitana milanese tre milioni di alberi entro il 2030. Ecco perché, in un’ottica One Health in cui la salute umana, animale e degli ecosistemi sono fra loro indissolubilmente legate, la propensione di una città a favorire una sana crescita delle giovani generazioni e un buon invecchiamento delle fasce di popolazione più mature, si valuterà in base alla presenza di verde, che migliora la qualità dell’aria e mitiga il rialzo termico: “L’ombra, insieme all’acqua, è destinata a diventare una delle risorse più scarse nei prossimi decenni”, avverte Boeri. “L’estate scorsa ho fatto una valutazione su Milano confrontando i dati forniti dalle fotocamere cromatiche dell’Agenzia Spaziale Europea, e ho verificato che esiste una differenza di circa 30-32 gradi tra una superficie in asfalto o in cemento se o meno ombreggiata. Credo che le città come Milano, ma più in generale le città dell’Europa del sud e quelle dell’Africa del nord, dovranno fare presto i conti con questo tema: la conquista dell’ombra sarà uno dei diritti fondamentali dei prossimi anni e sull’ombra si giocheranno anche le possibilità di superare le grandi disuguaglianze sociali che oggi si toccano con mano in particolare nei contesti urbani”.
A Shenzhen nasce un centro di riabilitazione green per pazienti dai 16 ai 60 anni
Dietro la ‘green obsession’ di Stefano Boeri sembra di intravedere l’immagine del Barone rampante di Italo Calvino, quel Cosimo che osserva ciò che accade nel mondo filtrando le immagini attraverso le fronde degli alberi del Ponente ligure. Questa visione – arcaica e al tempo stesso profetica – oggi prende forma in un nuovo paradigma di città: non più ambiente che fa ammalare, ma spazio che cura, in cui l’elemento botanico diventa una struttura con pari dignità rispetto agli edifici, alle strade, alle scuole, agli ospedali, perché garantisce un servizio essenziale per la salute e per l’umana sopravvivenza.
A Shenzhen il branch cinese di Stefano Boeri Architetti nel 2020 ha vinto il concorso per il progetto del Rehabilitation Center, pensato come un luogo sostenibile di guarigione esteso su un’area rettangolare di oltre 26 mila mq e dedicato alle persone con disabilità motoria e/o cognitiva dai 16 ai 60 anni. Integrato nel tessuto urbano del distretto di Longhua, il complesso, adiacente a un parco urbano e connesso con il sistema di mobilità leggera della metropoli, si configura come una enclave di guarigione e di inclusione immersa nel verde che spalanca una nuova prospettiva sulla riabilitazione, proponendosi come spazio di interazione e benessere a stretto contatto con la natura, presente ovunque grazie al sistema di terrazze e volumi a gradoni sovrapposti, popolati da vegetali. Le terrazze verdi sono di due tipologie: “La prima prevede la presenza di aree mediche attrezzate per la ginnastica leggera e fisioterapica open air, intervallate con orti e giardini terapeutici”, illustra l’architetto. “La seconda è invece strutturata per ospitare arbusti e alberi di maggiori dimensioni e diverse specie erbacee, incluse le essenze curative, mentre il giardino terapeutico collocato in copertura, ricco di vegetali autoctoni, assicura una continuità spaziale e visiva con il parco pubblico adiacente”.
Il Rehabilitation Center è suddiviso all’interno in quattro blocchi funzionali e raggiunge l’altezza massima di 97,6 metri (nell’angolo nord), scendendo gradualmente verso il vertice opposto, in direzione del parco, fino a un’altezza minima di 28,5 metri; la distribuzione verticale interna si realizza attraverso otto blocchi di risalita distinti e tramite rampe adatte a ogni tipologia di utenza. Immaginato per massimizzare l’efficienza energetica, il Centro combina inoltre gli apparati verdi in copertura e la ventilazione naturale con sistemi avanzati di energia rinnovabile (come la raccolta delle acque meteoriche) per soddisfare le esigenze di approvvigionamento dell’edificio, favorendo così la produzione di ossigeno e riducendo le emissioni di CO2 nell’atmosfera.
Il tetto del Nuovo Policlinico di Milano ospiterà un hortus terapeutico di 7mila mq
Il Covid si è diffuso più massicciamente nelle città inquinate in quanto il Pm10 agirebbe da vettore del virus, e Milano non ha fatto eccezione. La ricerca scientifica oggi però certifica che la presenza delle piante può purificare l’aria, ridurre la circolazione degli agenti patogeni ma anche condizionare positivamente le terapie, la qualità della vita dei pazienti e quella di chi lavora nei luoghi di cura.
Accanto alla storica Ca’ Granda, il primo Ospedale di Milano fondato nel 1456 per volere di Francesco Sforza, il Nuovo Policlinico, progetto guidato da Techint S.p.A con Boeri Studio (Stefano Boeri Architetti e Barreca & Lavarra), ABDarchitetti, C+S associati, Labics, B.T.C., LAND, TRT Trasporti e Territorio (fine lavori prevista entro il 2025), ospiterà un giardino pensile di circa 7mila mq – il primo di questo genere al mondo – costruito a 20 metri di altezza dal suolo, e va quindi nella direzione di un nuovo modello di nosocomio in cui degenti e personale sanitario usufruiscono dei benefici generati dalla presenza di natura: l’area verde è stata infatti concepita come uno spazio speciale e simbolico dove cresceranno piante legate da secoli alla pratica medica – quali per esempio la melissa, la valeriana o il salice – e altre entrate di recente nella moderna farmacopea, come la Vinca Rosea e il Cortico, di cui sono state evidenziate le virtù antitumorali.
“Nel nuovo Central Building dell’ospedale, che riunisce i reparti medico/chirurgici e materno/infantili, abbiamo previsto una coppia di edifici in linea, destinati alle aree degenze e agli ambulatori, e un corpo centrale, che ospita i blocchi operatori e le sale parto/travaglio”, dice Boeri. “È sulla copertura di questo fabbricato, da cui lo sguardo spazia sulla skyline di Milano, che sorgerà l’hortus terapeutico riservato ai degenti e agli operatori dei vari reparti, ma che in futuro potrà essere aperto al pubblico per eventi particolari. Al suo interno trova anche posto un giardino riabilitativo, solcato da percorsi con diversi livelli di difficoltà legate a varie tipologie di pavimentazione”. L’ennesima dimostrazione che, nel rinnovato patto fra uomo e natura, tornare alle radici non è più un’opzione, ma un imperativo categorico.