Gwenael Nicolas Ha iniziato la carriera con una fuga a Tokyo, dove tuttora vive e lavora, per osservare la realtà con sguardo libero da preconcetti. Ha firmato oltre 500 fashion store (Fendi, Berluti, Louis Vuitton) e collabora stabilmente con Agape. Parola al designer bretone che immagina un mondo parallelo.
Il designer deve osservare il mondo con gli occhi di un bambino: mente fresca, zero preconcetti e immediata fruizione, vivendo l’esperienza quotidiana con la voglia e il piacere di sorprendersi, finendo al tempo stesso per sorprendere chi lo circonda. Per liberarsi del peso di un passato che gli apparteneva, come appartiene a ognuno, ma che avrebbe finito per rivelarsi d’ostacolo nell’espressione della creatività, Gwenael Nicolas lasciò 25 anni fa l’Europa per trasferirsi in Giappone. In tasca aveva una laurea in interior design all’Esag di Parigi e un master in design industriale al Royal College of Art di Londra. “Ho scelto Tokyo – racconta a Pambianco Design – perché è un luogo dove le cose non sono come appaiono. Avvertivo il desiderio di capire cosa fosse alla base di tante idee sorprendenti che vedevo espresse in quella città, ma al tempo stesso avevo bisogno di immergermi in un luogo che potesse rappresentare il mio ‘punto zero’, lo stacco dal background culturale europeo. In Giappone tutto è in discussione, compresa la vita. Si tratta di un luogo che non offre certezze per il futuro e questo senso di precarietà stimola una grande energia applicata al presente, in linea con la prima domanda che mi pongo quando approccio un prodotto di design: deve esistere o no? Non sarà forse meglio farlo sparire?”. Ed è curioso che una vita professionale cominciata con l’esilio volontario dalla Francia sia ora costellata di collaborazioni con il più grande gruppo francese (e mondiale) del lusso. Si tratta naturalmente di Lvmh, per cui Nicolas realizza i layout delle boutique a marchio Berluti, Louis Vuitton e Fendi, con cui ha anche firmato il progetto boutique di Palazzo Roma. Eppure, appena sbarcato nel Sol Levante, il primo incarico che fu affidato al designer di origine bretone fu a dir poco spiazzante…
“Mi chiesero di progettare un tempio buddista, e lo realizzai. L’idea che un francese avesse iniziato a lavorare in Giappone disegnando un edificio di culto incuriosì molto il mio primo contatto nel fashion, Issey Miyake, che mi mise alla prova”. E non fu impresa facile. In 48 ore, lui che non aveva mai messo mano a un progetto di fashion store, dovette creare sette layout con tanto di mockup. Girò per Tokyo, armato di macchina fotografica, scattando un migliaio di foto che poi appese in studio (una sola stanza…) selezionando ciò che gli piaceva e scartando ciò che, per lui, era meglio far sparire. Da lì iniziò il processo creativo che potremmo definire: la realtà secondo il mio punto di vista. Com’è andata? Lo dicono i fatti. Il tocco di Nicolas è presente in 500 fashion store mondiali, con prospettive di potenziamento della sua attività che vanno ben oltre il gruppo di Bernard Arnault: sono in corso discussioni e trattative con un noto gruppo italiano del settore, il cui nome viene mantenuto top secret. Per quanto riguarda i singoli prodotti d’arredamento, Nicolas ha avviato la collaborazione con Agape per il mondo bagno che si è concretizzata nella serie Sen, composta da rubinetti, accessori e scalda salviette. “Mi piace – spiega – fondere i singoli elementi, rendendoli quasi invisibili all’interno di un prodotto finito che si presenta in maniera del tutto omogenea. Questo è il mio punto di vista. E da un designer che altro ci si può aspettare se non una visione del mondo, la sua personale interpretazione?”. Quella di Nicolas si fonda sull’armonia, ottenuta ponendo al centro del progetto l’utilizzatore stesso, costruita attraverso luminosità, colori in grado di emozionare, forme capaci di attrarre. Lavorando con brand di fama globale, potremmo immaginarci estenuanti discussioni preliminari per delimitare i contorni dell’intervento di Nicolas, ma non è così. “I miei briefing durano due minuti. Mi chiedono: cosa ne pensi? E io dico la mia. Il brief è il modo più efficace per porre un muro davanti alle potenzialità dei designer”. Il sogno nel cassetto? “Vorrei disegnare una sorta di mondo parallelo. Qualcosa che non esista nella realtà o che perlomeno non sia riconoscibile agli occhi degli uomini abituati a considerare una sedia, un tavolo, un’automobile nella maniera in cui finora l’hanno sempre vista. Poi, una volta avvicinati, gli oggetti rivelerebbero immediatamente la loro funzione”. Dobbiamo considerare Gwenael Nicolas un designer funzionalista? “Per l’uomo – risponde – tutto è funzione. Se una cosa diventa inutile, sarà inevitabilmente destinata alla scomparsa”.
di Andrea Guolo