Il segmento produttivo dei pannelli in legno sta subendo, come altri e per certi versi più di altri settori, il caro energia. “Una situazione molto fluida ma anche molto preoccupante perché quello che sta accadendo non solo in Italia, ma anche in Centro Europa sta ponendo tutti i produttori di pannelli che rappresentano l’anello energivoro e conseguentemente debole della nostra filiera in una situazione di difficoltà” spiega Paolo Fantoni, presidente di Assopannelli e amministratore delegato di Fantoni. E questo perché “più si produce e più si perde. Conviene dunque pensare allo stop degli impianti e alla riduzione delle produzioni in attesa di un alleggerimento dei costi del gas e dell’energia”. Un riposizionamento non sarebbe invece una valida alternativa dal momento che, spiega, “il pannello truciolare e mdf già negli ultimi 24 mesi aveva più che raddoppiato il prezzo di mercato”. Una preoccupazione che investe tutta la filiera: “l’industria italiana del mobile esporta in tutto il mondo e una perdita di competitività della filiera del pannello significherebbe una perdita delle posizioni di mercato a livello mondiale”.
Questo è il rischio reale. Che invece altri Paesi come Cina, India e Turchia non stanno vivendo: “non stanno soffrendo un aumento del costo dell’energia e del gas simile al nostro. Sono totalmente avulsi da questa dinamica e conseguentemente è vero che rispetto a questi ultimi l’industria europea ed italiana stanno rischiando di perdere posizioni”. Un tema non solo di energia, ma anche di materia prima, nella fattispecie della chimica e della colla che, derivando quella in uso per la produzione di pannelli proprio dal gas, ha visto una moltiplicazione dei costi nell’ultimo biennio. “In Europa ormai i produttori di urea stanno chiudendo uno alla volta: 22 impianti nell’Europa occidentale hanno smesso di produrre urea e c’è il rischio che la produzione venga ormai totalmente delocalizzata. A questo, negli ultimi 4 mesi, si è aggiunto il fatto che il legno sta diventando sempre più scarso”.
Perché? In particolare “perché il pellet da riscaldamento, in questa situazione sta conquistando la simpatia dei consumatori ma sta a noi facendo venire meno la materia prima”. Se siamo o meno di fronte a un ‘rischio blackout’ è ancora presto per dirlo. “La prima impressione – afferma Fantoni – è di un calo della produzione nel mese di settembre in un range tra il 25% e il 35% dei volumi. Oltre a questo non abbiamo visibilità di cosa possa accadere a ottobre e novembre. Pendiamo tutti dagli indici dei mercati dell’energia e in questo momento possiamo solo guardare molto a breve. Parallelamente assistiamo a questa situazione dove il gas si è mosso al ribasso, ma l’energia elettrica è ancora a 700 euro al megawattora. Siamo in attesa di vedere se le posizioni a livello europeo convergeranno su una strategia unitaria che abbia a significare una contrapposizione alla Russia e al mercato internazionale del gas”.
L’auspicio è che “gli eventuali provvedimenti abbiano a considerare la scomposizione del mercato tra l’energia prodotta da gas e l’energia prodotta da rinnovabili che non hanno senso essere equiparate nei mercati e nei costi da quella prodotta con l’ultima quantità marginale di gas. I crediti di imposta potrebbero essere una strada per alleviare i mali, ma credo anche che sarebbe più opportuno iniziare una logica di razionamento”. D’altra parte, chiosa il presidente di Assopannelli, “siamo in guerra e non vedo nulla di male a ragionare in termini di una maggiore chiusura preventiva delle attività, sia di uffici sia di negozi, in maniera tale da ridurre i consumi, e imporre, anche alle case, 18 gradi in maniera preventiva per consumare meno gas e meno luce. Penso che dobbiamo fare cose di buon senso. Credo che la gente abbia capito la gravità della situazione e sia anche disponibile, nella stragrande maggioranza, a condividere queste politiche”.