Incoraggiate dal revival delle superfici materiche e dall’attenzione per il well being, le aziende riscoprono texture dalla storia millenaria. Mescolando la ricerca con i nuovi codici dell’interior decoration.
Ritorno alla terra e alla tradizione. È questa la tendenza che da qualche tempo coinvolge le finiture e i rivestimenti per interni, resi morbidi e materici dall’uso degli intonaci a base di calce e argilla: prodotti apparentemente “poveri”, ma che assicurano alla nicchia di aziende specializzate in questo settore volumi in costante crescita, grazie anche alla capacità di attualizzare i saperi delle antiche maestranze e sperimentando, a stretto contatto con progettisti e brand del design, novità destinate ad arricchire il catalogo di ciascuna.
La rinascita dei rivestimenti usati per secoli in architettura e messi da parte con l’avvento dei solventi chimici, è cominciato negli anni Ottanta con il recupero di alcune tecniche tradizionali come il grassello lucido e il marmorino impiegato per il restauro delle facciate esterne di pregio nei centri storici. A poco a poco architetti e designer si sono innamorati della versatilità e delle caratteristiche estetiche offerte da materiali che permettono di creare superfici continue e si sposano alla perfezione con i nuovi codici della sostenibilità: lo testimoniano, fra gli esempi più recenti, il ristorante Orma dello chef colombiano Roy Caceres a Roma, firmato da Hangar Design Group, dove le pareti curve rivestite con la pittura Vivasan di La Calce del Brenta sono abbinate a legno, rame e pietra, e il restyling dello storico showroom milanese di Moroso progettato da Patricia Urquiola, che ha reso gli ambienti morbidi e luminosi grazie all’impiego di argille naturali prodotte da HDSurface per le superfici verticali.
In realtà, non è solo una questione di estetica. I nuovi prodotti messi a punto utilizzando i leganti della tradizione sono traspiranti e anallergici, regolano naturalmente l’umidità degli ambienti e assorbono una parte delle emissioni sonore: in poche parole garantiscono quel well being che, soprattutto dopo la pandemia, è diventato uno snodo nevralgico per qualsiasi progetto. È un nuovo concetto di benessere che si traduce anche in sostenibilità ambientale ed economica, perché gli intonaci di ultima generazione hanno spessori di pochi millimetri e possono essere sovrapposti ai fondi già esistenti, evitando le demolizioni e garantendo tempi e costi certi nelle ristrutturazioni.
La Calce del Brenta: dal restauro alla rivisitazione del terrazzo veneziano
“La nostra è un’attività familiare con più di un secolo di storia, ma la sfida degli ultimi anni è stata riposizionarci nel mercato dei rivestimenti interni. La finitura Frammenti, un mix di calce e scaglie di marmo che porta sulle pareti la matericità e l’eleganza dei pavimenti a terrazzo veneziano, è la punta più avanzata della nostra ricerca”. Così Paola De Toni, quarta generazione di La Calce del Brenta, sintetizza il nuovo corso dell’azienda nata a Cittadella (Padova) nel 1920 attorno alla fornace costruita da Cristiano De Toni (con un fatturato di poco superiore ai 2 milioni di euro nel 2022, una crescita del 5% nei primi 6 mesi del 2023 e una previsione di chiusura a doppia cifra per la fine dell’anno). “Fino agli anni Settanta il business era vendere la calce idrata ai muratori che la usavano per preparare le malte. Mio padre si è reinventato il lavoro specializzandosi negli intonaci per il restauro delle facciate, ma a partire dal 2000, con l’avvento dei cappotti termici, la richiesta di finiture naturali per esterni ha subito una flessione e si è reso necessario un ulteriore cambio di rotta che ci ha portato nel mondo dell’interior”, continua De Toni, che si occupa del marketing e delle vendite dal 2006. Nascono così i microintonaci Zero4, la prima finitura opaca, e Riva, leggermente materico, ancora oggi due bestseller. La materia prima rimangono i ciottoli – un tempo provenienti dal letto del fiume Brenta e ora estratti nelle cave ai piedi delle Dolomiti – cotti in forni alimentati con pellet certificato e poi reidratati per ottenere il grassello, una pasta bianchissima che, dopo una maturazione di diversi mesi in grandi vasche, diventa il legante di intonaci e pitture.
Il procedimento è sostanzialmente ancora quello descritto da Andrea Palladio nei Quattro libri dell’architettura, ma il rapporto con i progettisti – fra i quali figurano gli studi Urquiola, Foster+Partners, Elisa Ossino, solo per fare qualche esempio – spinge la ricerca verso prodotti custom made che spesso, poi, entrano nel catalogo: è il caso di Frammenti, nato per un progetto di Studio Urquiola, ora disponibile in sei colori. “Puntiamo a collaborazioni con clienti che sappiano apprezzare il valore storico, culturale ed espressivo della calce”, sottolinea De Toni. “Al momento il mercato italiano genera l’85% del fatturato, ma il nostro obiettivo è far crescere gli Stati Uniti e il resto dell’Europa, dove la ricerca e l’attenzione alla qualità dei rivestimenti sono da sempre valori centrali”.
HDSurface: il fascino dell’effetto tattile e la poesia dell’imperfezione
Nata nel 1982 con l’intento di sperimentare la capacità espressiva di resine, cemento, metalli e pietre laviche, HDSurface ha puntato negli ultimi anni su prodotti con leganti resilienti a impatto zero, eliminando la formaldeide e i Voc, i composti organici volatili che sono fra i principali responsabili dell’inquinamento indoor, fino ad arrivare, nel 2021, al lancio di Argille: un intonaco spatolato completamente naturale costituito da una mescola di argilla, fibra di cellulosa vegetale, calce e polveri micronizzate di marmo. “Il suo aspetto tattile e materico sta incontrando il gusto degli architetti e del pubblico ed è già un piccolo boom: quest’anno abbiamo quintuplicato il volume delle vendite rispetto al 2022”, racconta Ruggero Caratti, co-fondatore insieme a Pierpaolo Smussi dell’azienda con sede a Gussago (Brescia), che ha chiuso il 2022 con un fatturato di 5,6 milioni (+25% rispetto al 2021) e prevede un ulteriore incremento del 20% nel 2023. “Le ragioni del successo? Dopo decenni di minimalismo stiamo tornando alle superfici con personalità e texture. E non solo per gli intonaci: si riscoprono anche i legni cannettati e le piastrelle sagomate con taglio a diamante”. A riprova di questa tendenza nell’interior, Argille è stato scelto da Patricia Urquiola per il restyling dello storico punto vendita milanese di Moroso e da Federica Biasi per l’allestimento dello showroom Gervasoni durante l’ultimo FuoriSalone. “All’inizio HDSurface era specializzata nei microcementi, poi ci siamo orientati verso rivestimenti sempre più decorativi e sostenibili, come il CementoWabi, ispirato alla filosofia giapponese che valorizza le imperfezioni e i cambiamenti nel tempo dei materiali”, continua Caratti. “Oggi l’intera gamma dei nostri prodotti è apprezzata per le ristrutturazioni in Paesi come Svizzera e Germania, dove le regole di smaltimento per le macerie sono molte rigide, perché si può applicare sull’esistente evitando le demolizioni. Inoltre il nuovo Color System studiato da David Lopez Quincoces ha svecchiato la palette e l’ha resa unica per tutte le collezioni, garantendo facilità di abbinamento”. Per HDSurface il mercato estero pesa per il 60% sul fatturato, ma per il prossimo anno l’obiettivo è far crescere le vendite in Italia, dove l’azienda conta anche collaborazioni con marchi di design di alta gamma come Mdf e Desalto. “Argille ha segnato un punto di svolta”, conferma Caratti, “e ora stiamo lavorando per editare nuovi rivestimenti a basso impatto che recuperano le tecniche della tradizione, perché siamo convinti che nel giro di qualche anno costituiranno un’alternativa più sostenibile ed esteticamente performante all’idropittura”.
Matteo Brioni: i colori della terra cruda sposano la contemporaneità
“Ho cominciato ad appassionarmi alla terra cruda nei primi anni Duemila: mi affascinava questo sistema costruttivo dalla storia millenaria e volevo produrre mattoni completamente sostenibili eliminando la cottura, che richiede un gigantesco dispendio di energia. Tuttavia mi sono reso conto che in Italia non era possibile utilizzare la terra cruda come sistema costruttivo perché non esiste una normativa ad hoc. La ricerca, però, mi è servita a capire che le finiture in argilla esercitano un appeal indiscutibile perché suscitano emozioni ancestrali”. All’epoca l’architetto Matteo Broni si occupava di marketing e comunicazione per l’azienda di famiglia, la Fornace Brioni di Gonzaga (Mantova), ma sull’onda di queste prime esperienze nel 2010 fonda la Matteo Brioni, che ha archiviato il 2022 con un fatturato di 1,6 milioni (+30% rispetto al 2021), per il 50% proveniente dai mercati esteri, e punta ai 6 milioni entro il 2025. “La caratteristica estetica principale dei nostri prodotti, per la maggior parte intonachini a bassissimo spessore, sono i colori, che non sono pigmenti aggiunti, ma derivano dai toni delle argille utilizzate: ci approvvigioniamo in 16 cave, per la maggior parte in Italia, e siamo in grado di ottenere infinite sfumature con miscele che studiamo insieme ai progettisti, nostri clienti di riferimento”. La Matteo Brioni si propone infatti come anello di congiunzione fra gli applicatori specializzati, formati in azienda, e gli architetti, per i quali vengono studiati progetti total look: è il caso dello shop per il brand Jacquemus nel Selfridges store di Londra, firmato da OMA/AMO, che nelle sue forme fluide concave e convesse è uncontinuum di terra cruda applicata a mano su elementi architettonici e arredi. “Grazie alla customizzazione e alla supervisione tecnico-artistica, assicuriamo l’assoluta corrispondenza del campione con la realizzazione”, commenta Brioni. “Così l’imperfezione del materiale naturale esalta la cifra stilistica di ciascun architetto”.
di Chiara Sessa