Il 20 maggio la Biennale di Venezia apre le porte della 18esima Mostra Internazionale di Architettura con un’edizione che riflette sui temi della decolonizzazione e della decarbonizzazione. Il progetto, curato dalla scrittrice e architetta Lesley Lokko, prende le mosse da una domanda fondante per il dibattito contemporaneo: “che cosa significa essere un agente di cambiamento?”. Con ‘The Laboratory of the Future’ la mostra si vuole distanziare da un’idea esclusivamente estetica di architettura, per avvicinarsi invece alle sue implicazioni politiche e più strettamente culturali. Se infatti le edizioni precedenti prediligevano una “rappresentazione del nuovo, del bello e dello sviluppo tecnologico nella scienza della costruzione. Oggi – racconta Roberto Cicutto, Presidente della Biennale – le aspettative e le responsabilità che vengono attribuite a chi si occupa di architettura sono altissime e rendono la professione dell’architetto sempre più complessa e concentrata su temi fortemente concreti e rivolti alla realtà che ci circonda, anche se ciò non vuol dire rinunciare alla ricerca estetica”.
Quest’anno, Lokko, attraverso un percorso espositivo diviso in sei parti che conta fino a 89 partecipanti tra professionisti e progettisti emergenti, ragiona non solo sul significato che il concetto di architettura assume oggi, ma anche e soprattutto sul valore stesso della manifestazione che ogni due anni anima la laguna veneta. “Oltre al desiderio di raccontare una storia – dice la curatrice – anche le questioni legate alla produzione, alle risorse e alla rappresentazione sono centrali nel modo in cui una mostra di architettura viene al mondo, eppure vengono riconosciute e discusse di rado”. Attraverso lo strumento dell’immaginazione, quindi, ‘The Laboratory of the Future’ invita i visitatori ad abbracciare la possibilità di una realtà diversa da quella presente, perché “è impossibile costruire un mondo migliore se prima non lo si immagina”.
Aprire nuovi spazi di dialogo e porre lo sguardo su orizzonti inediti sono, dunque, le sfide di questa edizione, che punta i riflettori sull’Africa, paese di origine della curatrice. La stessa Lokko commenta: “Nell’architettura in particolare, la voce dominante è stata storicamente una voce singolare ed esclusiva, la cui portata e il cui potere hanno ignorato vaste fasce di umanità – dal punto di vista finanziario, creativo e concettuale – come se si ascoltasse e si parlasse in un’unica lingua. La “storia” dell’architettura è quindi incompleta. Non sbagliata, ma incompleta. Ecco perché le mostre sono importanti”.
Alla questione sociale e culturale si affianca la problematica ambientale, per cui da anni la Biennale si batte promuovendo un modello più sostenibile per la progettazione, l’allestimento e lo svolgimento di tutte le sue attività. Già nel 2022 l’istituzione veneziana ottiene, da parte del Rina, la certificazione di neutralità carbonica per tutte le proprie manifestazioni, lavorando principalmente su due livelli: una riduzione, laddove possibile, di produzione di CO2, e una compensazione delle emissioni residue, attraverso l’acquisto di crediti di carbonio certificati, generati da progetti di energia rinnovabile in India e Colombia. La 18esima Esposizione Internazionale di Architettura curata da Lokko sarà la prima a sperimentare sul campo un percorso per il raggiungimento della neutralità carbonica, “siamo forse la prima grande Istituzione Culturale di livello Internazionale a raggiungere questo risultato”, commenta Cicutto.
Tra le novità di quest’anno anche il Biennale College Architettura, un programma didattico di quattro settimane, dal 25 giugno al 22 luglio, in cui quindici docenti internazionali lavoreranno con cinquanta tra studenti, laureati, accademici e professionisti emergenti provenienti da tutto il mondo e selezionati da Lokko attraverso un processo di open call.