Le tecnologie di stampa a tre dimensioni guardano soprattutto al benessere ambientale: aziende, ricercatori e professionisti si uniscono per dare vita a
un futuro che appare sempre più a portata di mano.
Da molti anni si parla della rivoluzione che diversi tipi di innovazioni tecniche hanno apportato all’interno dei campi del design e dell’architettura, arrivando anche a ipotizzare ciò che si potrà fare in futuro. Negli ultimi decenni un posto sotto i riflettori è stato guadagnato dal 3D printing, che oggi più che mai si trova sotto la lente d’ingrandimento di brands e ricercatori che ne hanno intuito le grosse potenzialità. “Esiste un ventaglio molto ampio di ciò che ricade sotto la definizione di stampa in 3D”, spiega Massimo Bianchini, professore associato del Dipartimento di Design e Lab manager di Polifactory, makerspace e FabLab al Politecnico di Milano che, alla richiesta di tracciare un racconto sull’evoluzione di questo tipo di tecnologia, racconta: “Da tempo mi occupo della relazione tra design e cambiamento dei modelli di produzione, e ho iniziato a vedere i primi processi in stampa 3d applicati alla scala degli oggetti già intorno al 2010, probabilmente anche prima. Semplificando molto, possiamo dire che ci sono tre grosse tipologie di realizzazioni, divise in base al materiale di partenza, che può essere solido, come i filamenti, oppure liquido, come le resine, e per finire, le polveri. La prima modalità è la più economica, diffusa e accessibile: in generale viene usata sia per la prototipazione che per la realizzazione di oggetti, mentre le altre due hanno costi più elevati e necessitano di maggiori conoscenze e capacità tecniche nei processi fabbricativi. Tutte e tre le tipologie hanno visto negli anni dei grossi avanzamenti qualitativi, arrivando ad avere interessanti sviluppi anche nella scalabilità dei formati di stampa: molte piccole aziende, spesso attive nei nostri distretti industriali, hanno iniziato a realizzare stampanti 3D implementando progressivamente le lore performance tecniche e aumentandone le dimensioni, riuscendo così a stampare oggetti di grandezze significative e a poter ragionare su elementi ibridi, quali micro architetture e arredo urbano”.
Viene spontaneo domandarsi se ci siano esempi di aziende, anche italiane, che abbiano lavorato in questo senso. In effetti, come racconta Bianchini, “ci sono delle storie eccezionali, come quella di D-Shape, l’esperienza pionieristica di Enrico Dini, che ha messo a punto un processo di stampa 3D di grandi formati in grado di riutilizzare la polvere di marmo oppure WASP, che ha cominciato a realizzare stampanti 3D di medi e grandi formati arrivando a svilupparne alcune giganti, dedicate alla costruzione di una casa con materiali reperiti in loco. Da questo possiamo facilmente intuire tutto il tema, interessantissimo, della transizione circolare che ruota intorno a questa attività.”
Una rivoluzione nel campo dell’architettura sostenibile
Se è possibile tracciare la storia, seppur recente, di questo tipo di tecnologia, più complesso diventa intuirne le direzioni future. Abbiamo chiesto quale sia lo stato attuale del 3D printing nel settore dell’edilizia e quali le sfide principali a Pierpaolo Ruttico, docente del Dipartimento di Architettura, Ingegneria delle Costruzioni e Ambiente Costruito del Politecnico, che racconta “i progressi tecnologici degli ultimi anni hanno reso possibile la stampa 3D in grande formato. Tuttavia, siamo ancora nelle prime fasi di sperimentazione con casi pilota. Un processo che richiede collaborazione costante tra aziende, istituti di ricerca e professionisti, al fine di portare questa innovazione a un livello di maturità che ne consenta un utilizzo su vasta scala in modo affidabile ed efficace. Le sfide sono quelle legate a un cambio di paradigma, che prevede un futuro a controllo numerico; servono nuove generazioni di imprenditori orientati a digitalizzare”.
Indagando sulle aziende più innovative in questo ambito emerge che, a livello globale, siano ancora relativamente poche “l’Italia è stata in prima linea in questo ambito con pionieri come le già citate WASP, D-Shape di Enrico Dini, oppure con Alex Reggiani e i geopolimeri” continua Ruttico “un esempio notevole all’estero è COBOD, con azionisti di peso come Peri, Holcim, Cemex e General Electric. Inoltre, ci sono start up innovative come XtreeE, Vertico e RAP Studio, che si distinguono per la produzione di componenti ad alto valore estetico, facendo leva su robot antropomorfi e sull’uso di tecnologie e materiali di stampa avanzati”.
“La tecnologia del 3D printing è in continua evoluzione”, conferma Ruttico. “Con riferimento a un tipo di edilizia dove la stampa 3D si innesta a livello di sub-componente, possiamo citare il nuovo sistema costruttivo Superframe, un sistema di rivestimento di edifici inventato e brevettato da INDEXLAB – Politecnico di Milano – che è attualmente in fase di introduzione sul mercato grazie alle aziende GIMAC ed eXgineering. L’innovazione si basa sulla capacità di combinare pannelli poligonali piani con telai dalle bordature tortili, per gestire in modo efficace la discretizzazione di superfici complesse. Questa soluzione è resa possibile tramite un processo di stampa 3D che modella i telai in base alle geometrie richieste, utilizzando plastica riciclata misto fibra, attraverso la tecnologia di Robotic Additive Molding (RAM). I telai stampati in 3D possono essere abbinati a diversi materiali per il rivestimento interno o esterno, offrendo molteplici possibilità di configurazione e concedendo ai progettisti una straordinaria libertà creativa. In senso più ampio, Superframe rappresenta un approccio alle geometrie complesse che tiene conto delle sfide del nostro tempo, legate all’uso consapevole delle risorse e sfruttando le potenzialità offerte dal design computazionale. Superframe ha debuttato al Museo della Scienza e della Tecnologia di Milano nel 2021 come rivestimento dell’installazione Urban Lounge, firmata da Pininfarina, presso la mostra RoGuiltless Plastic, curata dalla gallerista Rossana Orlandi”.
di Chiara Chiapparoli