Situato nel cuore di Milano, lo Studio Marco Piva nel corso degli anni si è strutturato come un laboratorio sperimentale più che un semplice studio di design. Uno spazio di ricerca aperto a nuove prospettive e modalità di approccio all’architettura. Anche quando il campo d’indagine in questione è il passato delle strutture architettoniche che attraverso i secoli hanno definito il panorama immobiliare italiano. “Lavoriamo in tutto il mondo – dichiara Marco Piva, co-fondatore dell’omonimo studio – ma i lavori che facciamo in Italia sono in gran parte su edifici preesistenti, che da palazzi storici diventano strutture ricettive o edifici residenziali”. Ed è proprio per questo che all’interno dello studio è nata una divisione che opera interamente in contesti storici.
Da quali esigenze concrete è nata l’idea di creare una divisione focalizzata sull’heritage?
Il seme per la nascita della divisione è stato piantato in seguito all’esperienza dell’Excelsior Hotel Gallia di Milano, che ci ha visto coinvolti sul doppio aspetto del recupero della parte storica, con anche una parte relativa al restauro, e la costruzione del nuovo edificio. Il duplice aspetto di lavorare con un design contemporaneo all’interno di un edificio storico così prestigioso ci ha coinvolto dal principio. Il lavoro che è stato fatto, di analisi del progetto, di recupero di determinati cromatismi e materiali che avevano a che fare con l’edificio originale ci ha permesso di affrontare nuovi aspetti con i quali siamo entrati in sintonia. Da lì è nata la passione che ci ha portato alla creazione della divisione Heritage.
Com’è strutturata la divisione Heritage dello Studio Marco Piva?
La divisione vede una forte interfaccia tra il team di architettura e il team di interior design dello studio in quanto, per queste tipologie di progetti, non si può prescindere da una disciplina piuttosto che l’altra. Abbiamo delle figure che hanno una sensibilità particolare e un’attenzione alla cultura del prodotto architettonico e alla storia degli edifici. Figure un po’ “ibride”, che hanno le capacità per interfacciarsi con altre figure come storici, restauratori o esperti di ricerca dei materiali. Questo team è in gran parte sotto l’egida di collaboratori italiani – nel nostro studio contiamo professionisti provenienti da 17 nazionalità diverse –, proprio perché, essendo i progetti la maggior parte in territorio italiano, ci deve essere un’attenzione alla storia di questi edifici e alla cultura del luogo.
Come si differenzia la modalità di approccio della divisione da quella di uno studio che invece opera in contesti contemporanei?
Si può dire che la modalità di approccio tendenzialmente, rispetto a quelle che sono le realizzazioni dello studio che partono comunque sempre dalla base culturale dove si inserisce il progetto, non cambia, viene solo più approfondita. Nel caso di un building monumentale/storico partiamo da un edificio che ha già un suo linguaggio, un’eredità progettuale importante che deve essere ampiamente rispettata e tramandata, con racconti filologici creati ad hoc che abbiano un rapporto con quella che è l’essenza dell’edificio. Possiamo dire che l’eredità architettonica dell’edificio Heritage diventa il linguaggio per lo sviluppo del concept progettuale.
Quali sono i progetti più recenti e quali sono state le sfide di ciascun intervento?
In linea temporale, l’ultimo progetto concluso è stato Palazzo Venezia, in Piazza Cordusio a Milano. L’obiettivo che ci siamo posti con il cliente, Generali (è la loro ex sede), era quello di tornare a dare valore a un edificio disegnato da Luca Beltrami, architetto che ha contribuito fortemente a creare la “Milano fin de siècle”. Il building aveva subito diverse trasformazioni ed è quindi stata fatta in primo luogo un’operazione di ripulitura e di strip out totale di tutto quello che non aveva a che vedere con la struttura originaria. Poi è stata ricostruita una distribuzione che è venuta alla fine poi quasi naturale, dato l’assetto dell’edificio, e siamo riusciti a ottenere, mantenendo però l’ordine delle facciate e delle finestrature, 84 camere. La peculiarità del progetto è sicuramente aver potuto realizzare, in accordo con la Soprintendenza, una copertura della corte interna con una struttura in acciaio e vetro che crea una hall che ospita il Giardino Cordusio, un lounge bar aperto alla città. Nel 2022 è stato aperto Palazzo Nani, edificio storico che risale al ‘500, prima dimora dell’omonima famiglia veneziana e poi scuola, che è diventato un albergo 5 stelle della catena Radisson Collection. Quello che si è deciso di fare è stato riportare il più possibile a vista le qualità estetiche, volumetriche e funzionali del luogo. Insieme ai restauratori ci siamo concentrati sul tema degli affreschi, nel riportare a vista parti che erano state occultate. Il nostro intervento è stato il meno possibile invasivo dal punto di vista dell’impatto sulla struttura, con un arredamento quasi “appoggiato”, non vincolato alle pareti, mantenendo il massimo di quello era possibile recuperare. La sfida è stata sicuramente quella di preservare, ma allo stesso tempo inserire tutta la parte impiantistica – aria condizionata, rete idraulica ed elettrica, domotica – in modo che non fosse visibile e non passasse sulle pareti e sui soffitti vincolati. Abbiamo allora fatto scomparire la maggior parte degli impianti all’interno degli arredi: un lavoro complesso ma che non si vede.
Recente è anche il restauro di Palazzo Bertarelli, quali sono state le sue peculiarità?
In questo caso, la rifunzionalizzazione della sede degli uffici e della libreria del Touring Club Italiano a Milano, è stata articolata su tre principali matrici, legate alla monumentalità del palazzo, alla necessità di rispondere a nuove esigenze con il cambio di destinazione d’uso, e a un design che coniugasse la storicità con l’utilizzo destinato alla contemporaneità. La peculiarità del progetto ritengo sia proprio la libreria. Abbiamo infatti “difeso” la Biblioteca Storica del Touring affinché mantenesse la sua posizione originale, oggi proposta al vasto pubblico composto sia dagli ospiti dell’albergo che al contesto della città, che si esprime attraverso bibliografie, libri, guide e mappe.
L’Italia ha un patrimonio immobiliare immenso e si sta diffondendo un rinnovato interesse per il recupero di edifici storici. Ritiene sarà un trend di lungo periodo?
Certamente, oggi si è diffusa una certa sensibilità da parte dei progettisti, come anche degli sviluppatori, che vedono una grande opportunità nel processo di restauro e recupero di edifici complessi. Da una parte sicuramente tale operazione preserva il suolo, ma allo stesso tempo consente di riconnettere il tessuto esistente della città con nuove funzioni e portandovi nuova vita. Gli edifici giunti al loro “termine vitale” dal punto di vista funzionale possono essere reintepretati senza intaccare il suolo, evitando abbattimenti importanti e il trasporto di macerie. Inoltre, nel caso di immobili che vengono abbandonati si può sviluppare un’accurata analisi delle potenzialità per definire, al di là di una facile demolizione, un eventuale programma di rivitalizzazione. Come nel caso del nostro progetto Le Terrazze a Mogliano Veneto, dove un imponente eco-mostro di cemento armato rimasto per anni in stato di totale abbandono prima è stato da noi trasformato in un complesso multiuso con vasti giardini pensili. Demolire la struttura avrebbe forse avuto un costo inferiore rispetto a ripristinarla disegnandoci sopra una nuova configurazione, ma dal punto di vista dell’impatto ambientale il progetto, così come realizzato, ha sicuramente contribuito alla sostenibilità.