Al di là dell’impatto estetico, i pannelli restano la migliore soluzione per produrre elettricità dal sole. Ma per ovviare al problema dello storage, la strada è ancora lunga: un valido aiuto arriva oggi dalle comunità energetiche.
L’Italia è il primo produttore di energie rinnovabili in Europa dietro i Paesi nordici e la Germania, e “il fotovoltaico è ormai maturo e consolidato: la strada è segnata e pianificata per almeno i prossimi 25 anni. Indietro non si torna”, assicura Maurizio De Lucia, Professore Ordinario di Sistemi per l’Energia e l’Ambiente al Dipartimento di Ingegneria industriale dell’Università degli Studi di Firenze. Una spinta decisa all’implementazione delle fonti rinnovabili è appena arrivata dalla Direttiva UE sulle Case Green, approvata la scorsa primavera, che prevede, fra l’altro, che entro il 2050 il patrimonio edilizio di ogni Paese membro debba essere a emissioni zero, mentre tutti gli edifici di nuova costruzione dovranno essere a zero emissioni già a partire dal 2028 (se pubblici) e dal 2030 (se privati).
I pannelli fotovoltaici sono la soluzione vincente per il presente e per il futuro
Considerando tuttavia che il patrimonio edilizio italiano ha una notevole rilevanza storico-artistica, e visto che – parlando invece di immobili privi di peculiarità specifiche – in base ai dati ANCE (Associazione Nazionale Costruttori Edili) su 12,2 milioni di abitazioni oltre 5 milioni non sarebbero in grado di garantire le performance indicate dalla UE, la strada si presenta in salita, sia in termini di costi che di concreta fattibilità. Già la Direttiva sulle Case Green contempla delle esenzioni, per esempio per i palazzi storici protetti, le chiese e altri edifici di culto, e le abitazioni indipendenti con una superficie inferiore a 50 mq (oltre che per le case di vacanza, e cioè quelle abitate per meno di 4 mesi l’anno). E gli altri fabbricati? Per individuare delle opzioni meno ‘visibili’ rispetto ai pannelli, si vanno moltiplicando sul mercato le proposte di sistemi alternativi, come tegole, vetri, addirittura vernici che sarebbero capaci di trasformare la luce solare in energia con minore impatto a livello estetico sul paesaggio costruito. In realtà – a detta degli esperti – “per ottenere prestazioni adeguate, il pannello fotovoltaico rimane lo strumento ideale: i modelli di ultima generazione durano anche 40 anni, un singolo elemento, sufficiente per produrre 1 kWh, non costa più di 300 euro, e se viene danneggiato dalla grandine o da altri eventi climatici estremi, e non è montato in stringa, si può facilmente sostituire senza dover rivedere l’intero impianto”, prosegue De Lucia, che è anche direttore del CREAR, il Centro Interdipartimentale per le Energie Alternative e Rinnovabili creato presso l’Università degli Studi di Firenze che unisce le forze dei dipartimenti di Ingegneria industriale, Elettronica, Informatica, Agraria, Chimica e Scienze della terra. “Purtroppo però ci sono ancora seri problemi con la dispacciabilità, nel senso che le tecnologie solari senza gli storage non hanno senso. Il fotovoltaico, infatti, funziona solo se c’è il sole, ma l’energia va immagazzinata e le batterie oggi disponibili sono costose e vanno sostituite ogni 4-5 anni: un altro ostacolo per il raggiungimento della neutralità”.
Il case study di Cuasso al monte: una CER che sfrutta le biomasse
Un aiuto per ovviare alle difficoltà dello stoccaggio è rappresentato dalle CER (Comunità Energetica Rinnovabile), le piattaforme create da famiglie, imprese e pubbliche amministrazioni secondo un format di rete in cui i soggetti che fanno capo a una stessa cabina di generazione possono diventare prosumer, e cioè produttori, utenti e venditori di energia per l’autoconsumo all’interno della comunità: in questo modo, oltre ad azzerare le emissioni di CO2, idealmente si riuscirebbe ad arrivare a un abbattimento dei costi in bolletta fino al 100%, utilizzando di fatto la CER come storage al posto delle batterie. In concreto, però, “poiché per colmare i fabbisogni di energia aggiuntiva rimane sempre in gioco il fornitore, la comunità gli deve comunque una tariffa, mentre in un mondo perfetto se produco di più e consumo di meno, dovrei essere premiato, cosa che invece ancora non succede”, fa notare De Lucia. A questo problema sta cercando di ovviare la nuova CER di Cuasso al Monte, un comune di circa 3500 abitanti incastonato nel verde delle valli varesine. La comunità energetica delle Cinque Vette, fortemente voluta dalla comunità di Cuasso e dalla sindaca Loredana Bonora nell’ambito di un progetto di transizione ecologica coordinato scientificamente dalla Società Italiana di Medicina Ambientale (SIMA) con il supporto del Dipartimento di Ingegneria industriale dell’Università degli Studi di Firenze, “si trova in un territorio per il 90% boschivo e, per produrre energia, punta sullo sfruttamento delle biomasse derivanti dallo smaltimento degli alberi malati o giunti a fine vita”, spiega Maurizio De Lucia. “Piuttosto che lasciare i residui vegetali sul terreno, grazie a un rete di volontari si è pensato di trasportarli durante i mesi estivi in un impianto realizzato ad hoc dove la biomassa viene trasformata in cippato che, una volta asciugato, si immagazzina in sacchi ed è pronto per l’uso. Nelle abitazioni che hanno aderito alla CER, si potrà contare sull’energia termica ottenuta dalle caldaie a cippato, che va ad integrare la mancata produzione da fotovoltaico più pompe di calore. In meno di cinque anni si prevede di ammortizzare per intero i costi sostenuti, per i quali Cuasso ha ricevuto un milione di euro di finanziamenti dal PNRR e dalla Regione Lombardia”.
Pronta a Firenze la ‘baita’ in social housing energeticamente autosufficiente
Un’altra sperimentazione curata dal Dipartimento di Ingegneria dell’ateneo fiorentino riguarda gli impianti del complesso in social housing di Torre degli Agli nel quartiere di Novoli, nel capoluogo toscano. Il frutto della riqualificazione del preesistente caseggiato Erp, iniziata nel 2016 e per la quale la Regione Toscana ha stanziato 20 milioni di euro, è un condominio composto da quattro fabbricati distinti ma fra loro collegati per un totale di 88 bio alloggi, in assegnazione dall’autunno 2024. Il complesso, su progetto di CASA Spa, è costruito in cemento armato negli interrati e al primo livello, mentre dal primo al sesto piano è realizzato in Xlam, materiale innovativo per la costruzione di case in legno ed edifici multipiano. Energicamente classificato come “NZEB” (Nearly Zero Emission Building), “Torre degli Agli è dotato di impianti per l’autoproduzione di acqua calda sanitaria e per la climatizzazione invernale/estiva che, se si considera la presenza del legno, lo fanno assomigliare a un’enorme baita in parte off grid in centro città”, azzarda De Lucia. “Sono stati installati 150 mq di solare termodinamico di nuovissima generazione che garantiscono oltre il 30% dei consumi. I pannelli fotovoltaici, inoltre, sono stati posizionati sulle aree di copertura ma anche in facciata, dove sono mobili per ombreggiare in estate e aumentare l’irraggiamento d’inverno. L’edificio così realizzato è ad assetto variabile, con il solare termico ad alta temperatura che serve un ORC (Organic Rankine Cycle) e un innovativo TES (Accumulo Termico) interrato nel cortile, costituito da un cilindro lungo 12 metri e con diametro di 2,5 che, lavorando in serie con le pompe di calore, le rende non sensibili alle basse temperature ambientali. Inoltre la spinta di ‘stratificazione’ – si arriva ad avere fino a 20 °C in fondo al contenitore e 70 °C in cima – consente la totale autonomia da marzo a ottobre compreso”.
Imparare a progettare difendendosi dal caldo (più che dal freddo)
“Nessuno ha mai contestato la presenza di ciminiere o di complessi industriali nelle città, e oggi – con l’emergenza ambientale che stiamo affrontando – non è certo il caso di fissarci sull’impatto estetico dei pannelli”, osserva Gabriele Boccia, esperto di efficientamento energetico di Unoenergy GreenSolutions. “Nel nostro Paese più del 30% dell’energia arriva già da fonti rinnovabili e l’impianto fotovoltaico è una delle soluzioni più immediate da realizzare: con 4,8 mq di pannelli si installano 1000 Watt, circa il 33% del fabbisogno medio di una famiglia, e con 15 mq molti nuclei familiari sarebbero energeticamente autonomi se integrassero all’impianto fotovoltaico una batteria di accumulo”. Se invece si parla di aziende, dove il fabbisogno è per il 70% diurno, occorre segnalare che “in molte zone della Penisola, e in particolare nell’area padana, ci sono ancora enormi superfici industriali che andrebbero attrezzate. È indispensabile lavorare meglio e di più sui tetti, anche adottando i nuovi pannelli monocristallini a elevato rendimento e, soprattutto, tenendo conto dei cambiamenti climatici prodotti dalle attività antropiche: si continua a progettare pensando al freddo quando in realtà il caldo fa sentire il suo peso per un numero maggiore di giorni all’anno in varie aree d’Italia. L’efficientamento energetico degli edifici in primis dovrebbe essere raggiunto con buone coibentazioni delle pareti opache e migliorando la tenuta degli infissi. Grazie alla spinta degli strumenti incentivanti, negli ultimi anni sono stati posati numerosi cappotti esterni per garantire tenuta ed efficacia nel tempo, senza perdere di vista la salubrità degli ambienti ed evitando la formazione di muffe per mancanza di ricircolo di aria”. Il futuro si annuncia full electric? “L’abbinamento fra fotovoltaico e pompe di calore elettriche è perfetto per autoprodurre sia acqua calda sanitaria che energia con la quale si climatizzano gli ambienti in estate e in inverno. La flessibilità di questi sistemi in molti casi consente fra l’altro di poterli utilizzare con radiatori o fan coil già esistenti negli spazi nei quali si interviene. Al giorno d’oggi la tecnologia è già pronta per supportare la transizione ecologica: occorre solo sfruttarla al meglio, con la consapevolezza che ognuno di noi può dare il proprio contributo”.