Ha una doppia valenza il Salone del Mobile per un rivenditore italiano e per uno estero. Più orientato al networking chi già risiede in Italia, alla ricerca di esperienza chi ha meno occasione di frequentare Milano e dintorni.
Riportare il salone alla sua funzione originaria, rompere gli schemi, innovare e anticipare il futuro. Questo chiedono al Salone del Mobile di Milano i rivenditori, che pure affrontano un secondo limbo nell’attesa che tutto riparta. Eppure gli affari vanno bene, il trend non è in discesa, anche senza l’appuntamento più importante dell’anno. Che se ne possa fare a meno? Certo che no. Ma è bene approfittare della pausa per ripensare ai fondamentali che hanno fatto del salone e del design italiano un motore di innovazione, cultura e business.
INNOVARE, UN DOVERE MORALE
“Dopo una pandemia come quella che abbiamo vissuto e che ancora stiamo vivendo, hai il dovere morale di fare qualcosa di rottura, devi avere il coraggio di innovare, magari sapendo che venderai solo pochi pezzi, ma tornerai a fare parlare di te. Quando si è il Salone del Mobile di Milano, dove tutto è nato, è un imperativo. Come lo è delle aziende che sono l’essenza stessa del salone. Ultimamente si sono viste alcune collezioni piegate alle legge del fatturato”. Simone Vago, amministratore delegato di Vago Forniture e una lunga storia di famiglia alle spalle nel mondo dell’architettura d’interni e della distribuzione, ne è certo. Questo è il momento giusto per alzare di nuovo l’asticella e tornare a fare scuola nel progetto, rompere gli schemi, fare passi avanti. La domanda che ci si deve porre è: “per chi si organizza il salone? A quale pubblico è destinato? Per un pubblico che ancora deve essere educato al gusto italiano? Che ha approcciato ora o da poco il design? “Secondo me no. Non solo, almeno. Un ruolo guida richiede coraggio e rottura degli schemi per aprire a possibilità nuove. Questo hanno saputo fare i maestri del design e le aziende con loro che hanno rischiato tutto. Questo dobbiamo tornare a fare”. Tanto più che il mondo, nel frattempo, ha cambiato pelle. Il Salone, per un rivenditore, non ha più la valenza di un tempo. “E’ dannoso che non ci sia, per tutti, per la città, come dannoso il fatto che non si possa viaggiare. La settimana del mobile, per la nostra azienda in particolare, ma anche per altri colleghi, è diventato un importante momento di relazioni e networking”. Insomma, qui si stringono mani e relazioni, si rinnovano quelle datate. E dopo, soltanto dopo, i progettisi concretizzano. Capita che “i grandi spender arrivino per il Salone anche una settimana prima, approfittando di MiArt, o restino anche una settimana dopo, quando cala l’attenzione sulla città che torna ai suoi ritmi naturali”. Se dobbiamo evidenziare un punto critico, infatti, “l’eccesso di movimento e afflusso di persone, pur positivo per la città e l’intero sistema, a volte rende tutto un po’ difficoltoso”. E l’alternativa digitale? Necessaria ma non può bastare a se stessa: “in un mondo totalmente virtuale io scommetto sulle relazioni umane, sulla centralità essere umano. Tutto il resto, compreso il servizio, dò per scontato che sia di altissimo livello”.
RIPARTIRE DALLO SPIRITO DI EDRA E PALLUCCO DEL 1988
Ma allora come deve essere il Salone del futuro? “Di rottura per certi versi, va in parte ripensato. A Shanghai è destinato ai soli addetti ai lavori. Mi sembra un giusto approccio. Si potrebbero trovare soluzioni che prevedano l’ingresso in fiera per i soli operatori alcuni giorni e destinarne altri a stampa e pubblico. Anche il Fuorisalone dovrebbe riscoprire la purezza delle origini, tornare a essere di vera avanguardia, come fece Paolo Pallucco all’ex Mattatoio, la prima volta nel 1988. E nello stesso anno Edra, con la straordinaria presentazione dei divani di Zaha Hadid nel club più famoso dell’epoca a Milano, il Rolling Stones. I primi appuntamenti erano incredibili, innovativi, di scoperta. Oggi molti mi ricordano l’opera di Michelangelo Pistoletto del 1989 ‘Tutti designer’. Poi, se vai a ben guardare, solo quattro o cinque prodotto sono davvero innovativi. Dobbiamo scongiurare il rischio dell’appiattimento delle proposte. Non farebbe bene a nessuno”.
QUESTIONE DI NETWORK, SONO I CONTATTI A FARE LA DIFFERENZA
Anche per Claudio Spotti, dell’omonimo negozio milanese, il Salone del futuro “resta importante ma andrebbe in ogni caso ripensato. Noi, in particolare, non riusciamo ad andare a visitarlo molto in quel periodo. E’ il momento per pianificare incontri, relazioni. E’ principalmente destinato alla creazione del network. Soni i contatti che si creano in quel frangente a fare poi la differenza” confida. Per altro, fa notare “per noi italiani il Salone ha un peso diverso rispetto a quello che ha per le gallerie internazionali. D’altra parte i contatti con i fornitori italiani possiamo facilmente coltivarli. Possiamo a gennaio andare a Colonia dove ritrovi la maggior parte delle collezioni presentate a Milani, poi Stoccolma o Copenaghen”. Insomma, per acquisire informazioni o cercare il contatto con i produttori “non è così determinante”. Certo che se non c’è “viene a mancare il fattore essenziale delle relazioni” e “le ripercussioni chiaramente le possiamo misurare sia noi rivenditori sia la produzione”. Viene a mancare “tutto l’indotto del mercato internazionale e per la città di Milano sicuramente è molto penalizzante. Nel nostro caso vengono a mancare architetti e visitatori internazionali”. Un gap che si può in qualche modo compensare con l’online? “No, almeno se parliamo in primo luogo di vendite. Chiaramente dipende anche dal tipo di piattaforma. Noi l’abbiamo appena lanciata e siamo in progress su questo. Non possiamo ancora misurarne l’efficacia reale”. Ma a questo punto quale potrà essere il ruolo della manifestazione? “C’è spazio per tutti” chiosa Spotti. “Credo che ognuno debba essere in grado di capire dove andare rispetto a quelle che sono le strategie e la direzione del mercato. Sicuramente è vietato stare fermi. Il nostro è un settore dove ci devi mettere molto risorse, impegno e passione e gli investimenti a volte non sono proporzionati a quello che effettivamente è il ritorno”. Ma è il prezzo da pagare, in fondo, per essere i migliori.
SI CRESCE PER ORA ANCHE SENZA SALONE, MA DOMANI?
Anche per chi poi il design italiano lo vende in Cina, come Domus Tiandi, “il salone è un momento importante: vediamo le nuove collezioni, le tocchiamo con mano. Non è come vederle da remoto”, spiega il senior architects Guido Raffaelli. Non poterlo frequentare per il secondo anno di fila, almeno ad oggi, però, non ha avuto conseguenze sul business: se guardiamo ai risultati, il 2020 è andato “benissimo” per il nostro settore e in questo primo trimestre del 2021 stiamo davvero mettendo a segno risultati molto molto buoni e importanti. Possiamo dire che siamo cresciuti rispetto all’anno prima. Hanno visto incrementi non solo le società del mobile che rappresentiamo, ma anche quelle della illuminazione”. E ora? “andremo avanti come nel 2020, con gli strumenti che abbiamo a disposizione. Aspettiamo il 2022 di ritrovarci, vederci e reimmergerci nelle atmosfere e nelle novità di prodotto e in quelle che la settimana sa offrire”. Se, dunque, l’assenza del salone ha impattato l’aspetto più esperienziale, una ricaduta sui numeri non è quantomeno attesa. “Chiaramente non possiamo affermare che questo trend durerà per sempre. Oggi siamo in pandemia e ci si compera il divano o la lampada invece che andare alle Maldive. Quando si tornerà a viaggiare, allora tornerà anche il Salone tornerà necessario. Questa è una situazione temporanea e paradossalmente i nostri numeri – buoni – sono conseguenza della pandemia, perché ci si dedica alla casa. Anche i cinesi non possono uscire dalla Cina, perché rientrare diventa un’impresa. Viaggiano meno e comperano di più. Quando tutto tornerà come prima si ristabiliranno alcuni equilibri”. Insomma, se dal punto di vista dei numeri, salone o non salone, sembra che il settore “non sia stato colpito dalla crisi”, la manifestazione meneghina resta “un E’ dunque questo, in definitiva, ciò che essenzialmente manca. “In fiera si colgono moltissimi spunti interessanti, ma ci sono anche realtà che si scoprono fuori. Anche estreme, provocatorie, ma spesso sono quelle che maggiormente segnano i trend che si vedono negli anni successivi. Anche questo aspetto ci manca. Anche per noi che non è che vogliamo allargarci a molti altri brand, aver cognizione di tutto questo mondo nel suo insieme è fondamentale”. Perciò il Salone digitale “non potrà da solo essere sufficiente: la realtà è molto più bella di tutto il remoto che ci possa essere. Ed è giusto che ci sia, perché ci può aiutare in un momento di difficoltà a rimanere connessi”, ma non basta. Infatti siamo “oltre il concetto di prodotto, è tutta la creatività che la città sa restituire in quel preciso momento”. Ma intanto il tema, per chi viene da fuori, non sarebbe stato comunque raggiungere Milano “ma tornare in Cina”, in questo caso: quindici giorni di quarantena da trascorrere in hotel, diversi tamponi e una trafila assai severa “che francamente scoraggia i viaggi”. E in attesa del prossimo appuntamento, cosa si può chiedere oggi alla Fiera? “in sé offre già molto”, ma è inevitabile che si vada verso una integrazione tra il fisico e il digitale: “abbiamo già visto in qualche stand la realtà aumentata, si inizia anche nel reale a interagire con il virtuale, anche per rendere lo stand raggiungibile da chi non è presente. La pandemia che ha reso tutti più smart, può dare un contributo alla fiera per digitalizzarla sempre di più. Ma in tutti i casi resta un’ottima vetrina per l’Italia”.
di Maria Elena Molteni