L’emergenza sanitaria da coronavirus obbliga a una riflessione in architettura su ambienti di lavoro e di socialità. Che devono essere flessibili, riconvertibili, resilienti. Dovranno essere riviste soprattutto le aree destinate a punto d’incontro.
Uno spazio-tempo più liquido, soluzioni più verdi, un approccio al lavoro e allo svago secondo canoni nuovi, meno legati alla scansione temporale alla quale eravamo abituati. Muove da queste considerazioni l’architettura che sarà, quella alla quale l’emergenza sanitaria ha dato, volente o nolente, nuovo impulso. Non ci sarà una rivoluzione negli spazi, ma un altro modo di viverli, secondo criteri del tutto nuovi.
I LAYOUT NON CAMBIANO
“All’interno dei luoghi di lavoro – spiega Cesare Chichi, di 967 Arch – saranno gli spazi in condivisione a cambiare maggiormente, non quelli destinati alla occupazione continuativa. Penso dunque alla sala riunioni, all’area break, ai ristoranti aziendali”. Da un punto di vista progettuale, il rinnovamento sarà innanzitutto nell’impiantistica. “Verranno coinvolti, in un’ottica di ripensamento del progetto, gli ingegneri per ricambi d’aria, gli impianti di condizionamento, gli impianti di sanificazione”. Di fatto, secondo Chichi, gli spazi di lavoro e gli uffici non subiranno grandi cambiamenti: ci saranno meno persone, che però occuperanno tutti gli spazi a disposizione. Insomma, l’effetto grattacielo mezzo vuoto “non si verificherà”. E comunque l’home working potrà essere, a suo avviso, un fatto temporaneo, per uno o due giorni a settimana. “Il rapporto umano tra colleghi e il senso di appartenenza non verranno meno. Se così fosse, si verrebbero certamente a creare vantaggi dal punto di vista del trasporto, perché ovviamente si risparmia il tempo per andare in ufficio e si inquina meno, ma si perderebbe tutta quella componente di socializzazione che è uno dei valori fondanti di un’azienda ed essenziale per la sua stessa crescita”. Di conseguenza, afferma l’architetto, “ci saranno spazi che saranno occupati costantemente dalle stesse persone e altri in rotazione. Nell’ambito del coworking cambieranno il layout e la tipologia di arredi degli spazi comuni, con partizioni che porteranno a delle limitazioni della condivisione”. Insomma, a cambiare sarà l’intensità dell’occupazione. In generale, però, non ci saranno interventi significativi sui layout distributivi complessivi degli uffici. “Dei progetti che avevamo in essere, nessuno verrà modificato da questo punto di vista” spiega Chichi, sottolineando che “non ci sono state richieste in questo senso da parte dei clienti. Piuttosto, a cambiare saranno gli ingressi, con una riprogettazione profonda della sola reception, con percorsi in ingresso e uscita, accesso al banco, gestione dei flussi”. Ci sarà però una maggiore attenzione agli spazi esterni e verdi, piccoli polmoni per le abitazioni private e per le grandi strutture. “I cortili che servivano per le auto, possono diventare spazi di sfogo, ma anche luoghi per riunioni all’esterno. I terrazzi verranno progettati più ampi, quando prima erano considerati semplicemente come costi. Non più terrazzini, ove possibile, ma spazi vivibili, che vengono utilizzati in continuità degli spazi interni”.
Intanto lo studio lavora ai progetti che aveva in cantiere: per Amplifon “è stato valutato di utilizzare diversamente gli spazi operativi, fermo restando che resteranno i medesimi. Stiamo sviluppando tutte le aree esterne. Per Accenture, lavoriamo a una struttura di dimensioni considerevoli ad Assago, che ospiterà circa 3200 persone. Un edificio complesso ed articolato, la cui struttura non verrà modificata. Infine, stiamo intervenendo, insieme allo studio Bdg di Londra, sull’ex area Richard Ginori sui Navigli per la realizzazione del Wpp Village, destinato ad accogliere tutti i 2.300 professionisti della multinazionale leader nei servizi per il marketing e la comunicazione: anche in questo caso non sono arrivate indicazioni modificare il progetto”.
EDIFICI RESILIENTI
Giancarlo Floridi, partner di Onsitestudio insieme ad Angelo Lunati, insiste sul valore della resilienza dell’edificio al cambiamento: un ritorno al passato, a un modo di progettare che non tiene conto di una funzionalità specifica, ma considera la struttura in sé, che sia capace di adattarsi a funzioni diverse. “Stiamo lavorando a nuovi progetti con prospettive di lunga durata e non a corto termine”. Non si tratta più di inseguire le novità, le tendenze del momento, ma di progettare qualcosa che abbia la capacità di durare nel tempo. “Per gli immobiliaristi diventa cruciale – sottolinea – il fatto che gli spazi abbiano una propria resistenza al cambiamento, capacità di adattarsi a più funzioni che possono essere velocemente riconfigurabili. I programmi immobiliari valuteranno il fatto che un medesimo edificio adibito a luogo di lavoro possa essere riconvertito a spazi abitativi. Come se fosse una resistenza della forma ai cambiamenti che li accompagna piuttosto che l’inseguimento della funzionalità legata a contingenze diverse”. E se le case private dovranno essere oggi in grado di assorbire spazi di lavoro, di contro gli spazi di lavoro dovranno avere la capacità di includere situazioni più intime e domestiche: “Negli ultimi progetti abbiamo insistito su spazi collettivi all’aperto, elementi di continuazione con l’interno, fatti di terrazze, cortili, giardini e piazze”. Ed è un modo per riconcepire anche l’urbanistica delle città. “Le richieste degli immobiliaristi oggi hanno a che fare con il recupero della piazza alberata, del brolo, del giardino interno. Ad esempio, abbiamo modificato il dimensionamento dell’end of trip, con spazi generosi per il deposito biciclette, la ricarica bici elettriche, spogliatoi per chi arriva al lavoro in bicicletta e vuole fare una doccia e cambiarsi prima di entrare nel building”. La pandemia ha anche insegnato l’importanza di evitare l’aria meccanizzata, puntando invece sull’areazione naturale. Per evitare concentrazioni di persone nell’edificio, si lavora anche a “una redistribuzione di spazi collettivi e amenities su tutto l’edificio. Luoghi di ristoro, di pausa che devono essere quanto più numerosi, distribuiti e vicini alle varie postazioni”.
RAPIDA RICONVERSIONE
Massimo Roj, che guida lo studio Progetto Cmr, parla di ‘normalità diversa’ e porta come esempio l’ambito sportivo, quello degli eventi di massa. “Assisteremo alla necessità di mantenere le distanze. In uno stadio ipoteticamente si potrebbero occupare un posto ogni tre a file alterne. In realtà i temi cogenti sono gli ingressi e le uscite, rispetto ai quali è necessario il controllo. Si potrebbero ipotizzare ingressi a chiamata, consentire l’accesso a orari distinti per diminuire l’affollamento”. Una fase, questa, la cui durata è strettamente legata alla creazione di un vaccino. Successivamente “si tornerà a una normalità diversa. I punti di ingresso saranno più attrezzati, tecnologici, potranno esserci lettori di dati biometrici, ovviamente con grande attenzione alla privacy”. Oltre agli ingressi, ed è questa la possibile svolta, “dovremo pensare a stadi multifunzionali per offrire attività ulteriori rispetto alla partita. Gruppi in trasferta, ad esempio, potrebbero arrivare anche due ore prima, approfittare degli spazi di ristoro. Per lo stadio di Cagliari, abbiamo immaginato uffici, un albergo, ma anche un centro diagnostico che in settimana offre un servizio normale, e che potrebbe lavorare anche nel week end offrendo agli abbonati sconti particolari”. Ancora di più: “Diventare elemento di accoglienza in caso di eventi catastrofici. Le dimensioni medie di uno spazio del genere sono di mille metri quadri e dunque sarebbe facile realizzarlo all’interno di uno stadio”.
Quel che ha davvero insegnato l’emergenza sanitaria è che non si potrà più prescindere, nella futura progettazione, dalla possibilità di una rapida riconversione delle strutture a fini sanitari. “Gli edifici dovranno essere sempre più flessibili e ci sarà sempre più questa necessità. Ne avremo bisogno”, afferma Roj. Una flessibilità che richiede però anche “strumenti urbanistici che consentano di cambiare più rapidamente la funzione di un determinato immobile”. Quella che stiamo affrontando apre nuove e ulteriori sfide, che avranno un impatto sull’assetto urbano: “Vedremo recuperati più spazi verdi” sostiene Roj, che indica anche “una spinta a riconsiderare i luoghi dell’incontro e della socializzazione”. Per quanto riguarda i luoghi di lavoro, l’intervento primo è sui flussi, sulle turnazioni. Con una dilatazione dei tempi che possono prevedere sette giornate lavorative su orari dilatati e distribuite in modo verticale. Tutto ciò sarà possibile con l’ausilio dello smart working. Oltre ai flussi, la gestione degli spazi diventa essenziale. Non sarà, secondo l’architetto, la fine degli open space, che “possono essere utilizzati alternando le persone”.
di Maria Elena Molteni