Negli ultimi anni si sono moltiplicate le acquisizioni nel campo del lighting, perché è un settore di grande riconoscibilità e importante redditività. Ma dietro c’è anche la sfida a colpi di tecnologia. Ecco perché gli addetti ai lavori si aspettano altre operazioni nel 2019
Aggregazioni, fusioni, ingressi nel capitale di fondi di private equity. Le operazioni di M&A che, fino a poco tempo fa, erano relegate quasi ad un’eccezione nel mondo dell’arredamento, per decenni quasi impermeabile alle logiche della finanza, stanno iniziando a rivoluzionare anche questo settore manifatturiero. Secondo lo studio condotto da PwC Consumer Market, M&A Trends 2018, nell’ultimo anno i deal sono più che raddoppiati rispetto al 2017: erano 18, sono diventati 29. I protagonisti sono gli investitori finanziari: le operazioni che hanno visto scendere in campo la finanza sono state 22, ovvero il 75% del totale dei deal. C’è un settore che si sta sdoganando più velocemente dagli altri dall’immagine di compagine di aziende a gestione familiare, diventando oggetto di interesse di importanti operazioni di acquisizione e aggregazione, ed è l’illuminazione. Basta guardare la case history delle ultime operazioni. Nel 2015 Investindustrial, il fondo di private equity di Andrea Bonomi, ha acquisito Flos, oltre a B&B Italia, dando vita alla newco Design Holding. Nel 2018 alla compagine si è aggiunta la danese Louis Poulsen. Nel 2016 è la volta di FontanaArte, confluita in Italian Creation Group, la holding industriale fondata da Giovanni Perissinotto e Stefano Core, a cui fanno capo anche Driade, Valcucine e Toscoquattro. Nel 2018 il polo del design italiano Idb, Italian Design Brands, ha acquisito Davide Groppi. E alla fine del 2017 risale l’operazione che ha sancito il passaggio di Targetti Sankey, storica società italiana operante nel lighting per l’architettura, da IDeA CCR I, gestito da Dea Capital Alternative Funds sgr, al gruppo italiano 3F. A fine dicembre è stato annunciato, invece, il contratto di cessione delle azioni di iGuzzini al gruppo svedese Fagerhult da parte di Fimag (Finanziaria Mariano Guzzini) e Tip-Pre Ipo, società partecipata da Tip. Secondo Roberto Bonacina (partner EY TAS Lead Advisory M&A – Fashion & Luxury), “non vi è un unico modello di sviluppo. Da un lato vi sono investitori finanziari guidati dall’obiettivo di creare poli del design aggregando marchi primari a livello italiano e internazionale al fine di offrire ai clienti, in particolare nel mondo contract e nel canale retail, un sistema di offerta completo che includa uno o più categorie di prodotto: living, cucina, illuminazione, sistemi bagno, porte ecc.”. In questo caso, spiega l’analista, l’obiettivo è quello di creare piattaforme che, integrate con adeguate competenze manageriali, siano in grado di supportare la crescita internazionale delle aziende. “Dall’altro – aggiunge – abbiamo assistito a operazioni verticali di consolidamento industriale nel segmento luce o, in altri casi, forniture. È chiaro che il segmento luce è comunque interessante perché, al di là di un’elevata riconoscibilità da parte del cliente e dell’elevata componente di design, offre maggiore redditività e generazione di cassa, rispetto al più tradizionale settore arredamento”.
CRESCERE CON TECNOLOGIA
Per Omar Cadamuro (director di PwC Consulting Retail & Consumer) ed Emanuela Pettenò (partner di PwC Deals Retail & Consumer), il problema attuale dei brand italiani di design è quello di superare il limite storico che li contraddistingue, cioè quello di essere rappresentati da migliaia di piccole imprese non globali, forti nella creatività ma deboli nella ricerca e innovazione. Che è, invece, l’elemento fondamentale che i nuovi consumatori ricercano nei prodotti. “Il consumatore, in Oriente ancor più che in Europa, dall’essere attratto dai brand ‘status symbol’ passa a scegliere i propri acquisti guidato da una cultura dell’innovazione tecnologica e della qualità di prodotto”. “In questo scenario -spiegano i due analisti – il settore lighting appare particolarmente adatto a questa sfida, tant’è vero che negli ultimi anni ha affrontato una grande rivoluzione, in cui la tecnologia Led ha costituito solo il primo di una serie di passi in avanti”. In questo contesto, molti player italiani attivi in fasce medio-alte del mercato hanno investito risorse nella ricerca di soluzioni tecnologiche sempre più avanzate, sia per crescere che per essere meno attaccabili da parte di competitor low cost. Si spiega così perché le aziende italiane del lighting leader in entrambe le dimensioni siano diventate molto attrattive per due grandi tipologie di buyer. “I grandi player internazionali del settore hanno condotto operazioni con l’obiettivo di consolidare la propria presenza nel mercato mentre i fondi di private equity, creatori dei famosi poli del design, hanno integrato l’offerta di grandi marchi dell’arredo con l’illuminazione, in ottica di cross-selling e customizzazione delle soluzioni per il committente”. CERCASI MARCHI LEADER Tanto interesse da parte di gruppi e private equity è legato anche ad altri fattori contingenti che si aggiungono alla possibilità di poter capitalizzare partendo da deal fattibili. Per Alessandra Gritti, vice presidente e AD di Tamburi Investment Partners, investment merchant bank indipendente che ha recentemente concluso l’operazione di iGuzzini ed è da tempo attiva nel design (nel suo portafoglio è presente il marchio internazionale del design Roche Bobois quotata da luglio 2018 a Parigi), “rispetto ad altri ambiti dell’arredamento, per fare un esempio il distretto manifatturiero brianzolo, l’illuminazione è partita prima perché ha dalla sua parte la possibilità di esprimere leadership, forse più di altri ambiti del design. È un concetto di importanza cruciale perché la finanza si muove alla ricerca di gruppi leader, fortemente riconoscibili nel settore. Poi le piccole aziende si muovono in scia. E l’ambito della luce ha questa caratteristica implicita, può contare sulla valenza internazionale delle aziende di illuminazione specializzate e ciò sia nell’illuminazione per esterni che per interni”. Lo conferma il caso di iGuzzini. “È la prova – aggiunge Gritti – del concetto di leadership internazionale. Noi siamo entrati tre anni fa con l’obiettivo di portare la società in Borsa. Poi si è presentata quest’occasione: è arrivato un interlocutore svedese che ricopre un ambito complementare e che con l’acquisizione dà vita al primo gruppo europeo del lighting di design e specializzato nell’architetturale”. L’operazione, il cui closing è di poche settimane fa, rientra nell’ottica della creazione di una joint venture industriale in cui la famiglia Guzzini farà la sua parte rimanendo all’interno dell’azienda. “Noi e la famiglia restiamo il secondo azionista di riferimento e restiamo agganciati per un anno in base alla clausola di lock up. Anche l’Ad (Andrea Sasso, ndr.) resta nel gruppo”. Oltre alla leadership, il fattore che chiaramente che consente o meno di avviare operazioni del genere è la presenza o meno di opportunità sul mercato. “Il caso di Flos ha aperto la strada come esempio virtuoso di collaborazione tra private equity e azienda spesso famigliare che ha deciso di darsi una struttura manageriale”, spiega Eugenio Morpurgo, AD di Fineurop Soditic, boutique finanziaria indipendente, attiva in operazioni di finanza straordinaria e specializzata in operazioni di fusione e acquisizione, acquisition financing e debt advisory. “Certo – aggiunge – il lighting è un segmento di eccellenza sul fronte redditività ma, in Italia, è anche uno dei settori più rappresentativi sul mercato, per quanto non sia possibile parlare di economie di scala dato che non abbiamo in casa nostra colossi come accade all’estero. Sono però nomi storici, importanti e che si sono trovati, più che in altri ambiti nel design, nella situazione ideale per gestire il passaggio da impresa familiare a una struttura più complessa”.
CHI SARÀ IL PROSSIMO?
Nel risiko delle prossime operazioni, pochi si sbilanciano a tratteggiare un quadro preciso di come potrebbe essere il panorama delle aziende della luce nel medio termine. Per Morpurgo, “il lighting resta un segmento interessante dove potrebbe susseguirsi una operazione significativa ogni due o tre anni ”. Ma, escludendo Artemide, l’ultima big del settore illuminazione rimasta per ora indipendente e considerata una preda più che appetibile, il grosso delle aziende italiane di lighting è composto da piccole e medie imprese. “Operazioni di M&A potranno realizzarsi su quelle aziende partecipate dai fondi di private equity, per gli asset ‘non core’ di gruppi internazionali e nelle situazioni di passaggio generazionale”, sottolinea Bonacina. “Ci sono almeno una decina di aziende famigliari italiane, con fatturati da 5 a 150 milioni di euro ed ebida tra il 10% e il 20%, e un brand noto che potrebbero rappresentare sia add-on per gli operatori già presenti sul mercato oppure essere target di investimenti individuali”, sottolineano Cadamuro e Pettenò. “In particolare”, concludono, “vi sono alcuni subsettori che appaiono particolarmente interessanti. L’outdoor/luce per esterni e il cosiddetto ‘tecnico-architetturale’, che si rivolge a negozi, uffici, fiere etc. I marchi che operano in questi ambiti si muovono a una velocità diversa dal tech-lighting e possono essere sinergici con brand già acquisiti”. Il 2019 potrebbe quindi portare in dote ulteriori operazioni.