Londra 2007-Milano 2017: dieci anni di creatività condivisa sono la migliore occasione per trovarsi tutti insieme nella showroom Moroso di via Pontaccio a Milano e ripercorrere le tappe di un percorso comune, fatto di scoperte, intuito e affinità. I protagonisti dell’incontro sono Patrizia Moroso, art director dell’omonima azienda di famiglia che dal 1952 produce imbottiti e sedute per l’arredo di alta gamma, Gianluigi Ricuperati, direttore creativo della Domus Academy di Milano e moderatore dell’evento, e – ovviamente – la coppia d’assi del design contemporaneo: il duo indo-britannico Nipa Doshi & Jonathan Levien.
Partner nel lavoro e nella vita, Doshi e Levien lavorano tra Londra e Mumbai, dove Nipa nasce nel 1971, quando la città si chiamava ancora Bombay. Con Jonathan, il futuro marito d’origine scozzese, si conoscono al Royal College of Art di Londra; nel 2000 aprono il loro studio e nel 2007 incontrano Patrizia Moroso, che subito li coinvolge nella sua factory. Nello stesso anno firmano Charpoy, un bench già iconico che segna il loro ingresso ufficiale nella grande produzione industriale made in Italy. Quest’oggetto dal Dna antico, con struttura in legno laccato nero, disponibile con rivestimenti in tussor di seta o in calico di cotone ricamati negli atelier indiani dell’alta moda, è la dimostrazione che il design di qualità può essere davvero un plus per restituire valore al savoir faire artigianale, da sempre uno dei punti di forza delle culture di tutte le latitudini.
Via via che ci s’inoltra nei vari ambienti dell’allestimento, gli spazi dello showroom si trasformano in un teatro in movimento grazie a un sistema di tende a trazione realizzate da Silent Gliss per la parte tecnica e Kvadrat per quella tessile, che creano altrettante stanze per ospitare altri prodotti (“My beautiful Backside”, “Paper Planes”, “Impossibile wood”, “Chandigarh”, “Armada” e “Modernista”) che celebrano, in un gioco sensuale di forme e materiali, il piacere della bellezza. “Oggi abbiamo bisogno di prodotti veri e di negozi emozionali, che non assomiglino a degli aeroporti”, ha detto Nipa Doshi, che progetta con la stessa grazia con cui ricamerebbe un tessuto di seta. “E in questi luoghi speciali e autentici si potrebbero anche aprire scuole e atelier”, ha aggiunto Jonathan, più votato alla funzionalità dell’industrial design. Solo così il progetto può diventare veicolo di scambio e di crescita, ibrido culturale che rispecchia l’unione fra tecnologia, artigianato e poesia. E disegna il futuro riattualizzando (anche) il patrimonio del passato.