Andrea Gentilini, ceo di Visionnaire, ha rivisto la propria idea: “niente semplificazioni, anzi”. Cina primo mercato retail per un brand che, senza licenze fashion, ha chiuso il 2017 a 47 milioni di euro.
Inevitabile parlare di Cina, con Andrea Gentilini, e non solo perché l’incontro avviene nello stand dell’ultimo Salone del Mobile di Shanghai. Per Visionnaire, società di cui l’ex manager di Bialetti e Technogym è CEO da circa un anno, Pechino è già diventata la prima destinazione in chiave retail, avendo superato i tradizionali mercati forti della società bolognese di arredamento di lusso quali ad esempio Middle East e area Russia. “In Cina – racconta Gentilini – siamo presenti con 14 monobrand tra città di prima e seconda fascia e nel 2018 completeremo la pipeline di aperture. Siamo contenti non solo per il ritorno economico, ma anche perché la crescita avviene in modo chiaro e omogeneo. Il consumatore cinese, spesso sottovalutato dal punto di vista dello stile, ha acquisito un palato fine ed è molto attento alla qualità e alla contemporaneità del made in Italy. La nostra flessibilità in termini di bespoke si sta rivelando un ulteriore elemento vincente”. Qual è la scelta distributiva di Visionnaire per la Cina? Per noi è principalmente cresciuta in chiave monomarca. La capacità cinese di gestire con efficacia i monobrand all’interno dei mall ha portato Visionnaire a privilegiare fin dall’inizio questa soluzione ed è stata una scelta giusta, da parte di chi mi ha preceduto. Poi naturalmente è necessario bilanciare i pesi tra i vari canali, compreso quello degli architetti.
E a livello globale?
Dal retail dipende il 75% del fatturato e dalla progettazione il restante 25 percento. I monomarca ci offrono la possibilità di presentarci nei mercati determinanti con un’immagine vincente. Siamo il primo marchio di cluster alto per riconoscibilità in Cina, Russia e Medio Oriente.
Quali sono i vostri progetti core?
Le residenze private. Visionnaire, per livello di prezzo e posizionamento, non è un brand adatto ai grandi progetti seriali. L’apertura del negozio di Los Angeles, ad esempio, è stata operata per intercettare la domanda legata alle ville in costruzione nelle zone di Bel Air, Beverly Hills e Malibù: parliamo della più alta concentrazione mondiale di abitazioni di lusso, con sessanta cantieri già aperti per progetti il cui valore oscilla tra 50 e 250 milioni di dollari… Ci interfacciamo con gli architetti, a cui offriamo una capacità unica in termini di sviluppo prodotto e di bespoke.
Dopo un anno da CEO, cos’ha cambiato in Visionnaire?
L’azienda è in forte crescita e ci stiamo organizzando in maniera sempre più sofisticata e moderna, per essere in grado di rispondere all’incremento della domanda e a tutte le esigenze di complessità presentate dal mercato di fascia alta. Oltre alla spinta sul piano di aperture negozi, abbiamo rivisto alcuni aspetti organizzativi e rafforzato la parte legata ai progetti, migliorando la nostra capacità e professionalità nella gestione degli stessi.
Ci racconta un aspetto che pensava fosse da cambiare e che invece non è stato cambiato?
Parto da una frase pronunciata da Patrick Albaladejo, membro dell’advisory team di Ergon (il fondo di investimenti che controlla Visionnaire, ndr) ed ex numero due di Hermès. Gli avevo illustrato la mia intenzione di avviare un processo di semplificazione interno all’azienda, quando lui, forte della sua esperienza importantissima in questo mondo, mi avvertì: attenzione, il lusso è complessità, impara a gestirla più che a ridurla. Aveva perfettamente ragione.
Come definirebbe Visionnaire oggi?
È un’azienda incredibile! Dopo un anno me la sento tutta addosso, pur essendo in minimissima parte l’artefice del suo successo. Ha un posizionamento altissimo nel mondo del design ed è l’unica realtà che sia riuscita a ottenerlo senza utilizzare come leva un brand della moda. Visionnaire ha saputo affrontare delle notevoli complessità nell’ambito del bespoke e del progetto, arrivando laddove nessun altro è riuscito o ha avuto il coraggio di avventurarsi. È un’ azienda unica perché ha la capacità di creare un mood unico e distinguibile.
Il fatto di non essere un produttore puro può rappresentare un limite?
Attualmente è un punto di forza, avendo a catalogo qualcosa come 3.500 articoli e lanciando ogni anno una nuova collezione… operare in maniera più flessibile ci permette da un lato di poter ricorrere a tutte le tecnologie disponibili e dall’altro di avvalerci delle migliori professionalità presenti nel mercato manifatturiero. I distretti del made in Italy sono una delle leve che ci permettono di gestire questa complessità. Va poi detto che la nostra filiera è composta da realtà produttive che spesso dipendono al 90% da Visionnaire e ne deriva che l’azienda sia pienamente coinvolta nell’aspetto manifatturiero e nella pianificazione della produzione.
Parlando di lusso, la lista di chi ha acquistato i propri fornitori per ragioni strategiche, perlopiù legate alla sopravvivenza del supplier, è ampia… Lo farete anche voi?
Lo si valuta volta per volta e non entrando necessariamente all’interno del pacchetto azionario. Siamo tutt’uno con i nostri fornitori e se c’è un problema, lo risolviamo assieme. I partner principali di prodotto sono integrati nell’azienda e sono vissuti come parte del gruppo del lavoro.
Tre cose che farete nel 2018?
Apriremo dei nuovi punti diretti, porteremo avanti una parte della pipeline di apertura dei negozi monobrand, completeremo un processo organizzativo che ci vedrà elevare i nostri livelli di qualità e servizio attraverso un approccio molto più integrato con la filiera, l’inserimento di alcune specifiche professionalità e l’implementazione di sistemi a supporto. Continueremo ad assumere persone e a irrobustire l’azienda dal punto di vista manageriale.
Quanti siete oggi in Visionnaire?
Una sessantina di persone, ma arriveremo oltre quota cento nel giro di pochi anni come naturale conseguenza della strategia fondata sulla crescita.
Come chiuderete il 2017 e quali obiettivi avete posto per il 2018?
Al 31 dicembre dovremmo crescere nuovamente double digit per arrivare a 47 milioni di euro, raggiungendo l’obiettivo sfidante che ci eravamo posti a inizio anno. Altrettanto challenge è il budget fissato per il 2018, coerentemente con il progetto di raddoppio dei volumi entro il 2022 e che ci porta a dover progredire a doppia cifra in tutti gli esercizi.
di Andrea Guolo