Il metodo della moda applicato con la giusta misura al mondo dell’arredo. Suona più o meno così la ragione che ha spinto ItalianCreationGroup a scegliere Giuseppe Di Nuccio, già amministratore di Borbonese e con un passato in grandi realtà del fashion (Gruppo Armani, Jil Sander, Burberry), per il ruolo di CEO della holding che opera nel mercato del lusso con i brand Driade, Valcucine, FontanaArte e Toscoquattro. “Ora mi sto dedicando totalmente all’arredo e al design con l’intenzione di accelerare il cambiamento per lo sviluppo del gruppo”.
Perché proprio il design?
Perché è il settore che più di tutti gli altri, anche più della moda, si avvicina all’arte. E perché mi ricorda la moda degli anni Ottanta e Novanta, per limiti e potenzialità. Qui c’è tutto un percorso da fare, mentre nel fashion questo percorso è già giunto a maturazione.
Da dove intende partire?
Servono numeri più importanti, fatturati più consistenti. L’arredo è composto da tante piccole medie imprese che, per loro stessa natura, sono frenate nei processi organizzativi. Occorre un cambio di passo. Ad esempio, non è possibile che si vada al Salone del Mobile presentando novità che non sono state ancora industrializzate, mostrare il prodotto al cliente e non dargli la possibilità di averlo in vetrina in tempi ragionevoli. Così perdiamo importanti occasioni. Non voglio arrivare al see now buy now, ma un’accelerazione dei tempi è indispensabile.
Come giudica il momento del Salone del Mobile?
Finalmente, grazie al Salone del Mobile, Milano è diventata sempre più internazionale, la capitale mondiale del design. La grande scommessa è trasformare quello che oggi è un momento di fortissimo stress per le aziende in un’occasione di incontro, quasi rilassante. Per farlo è necessario organizzare diversamente il lavoro durante l’anno. Ho l’impressione che tutti arrivino al Salone con grandi aspettative e poi, conclusa la fiera, cadere in uno stato di quiescenza che si prolunga per troppo tempo.
Come vuole gestire i marchi di ItalianCreationGroup?
Driade, Valcucine, FontanaArte e Toscoquattro presentano diverse affinità a livello di heritage ma ognuno parla un linguaggio ben definito. È giusto valorizzare la storia e il DNA ma abbiamo il dovere morale di investire in un futuro sempre più importante. Parte della squadra che sto creando proviene dal mondo della moda perché c’è bisogno di nuova energia e dinamicità. Dovremo essere in grado di fare un salto culturale, organizzativo e gestionale, partendo da operazioni di partnership interne alla filiera. Quanto ai singoli marchi, abbiamo un patrimonio a disposizione. Basti pensare alle potenzialità di Valcucine, brand che opera nell’extra-lusso per la sua innata capacità di realizzare oggetti esclusivi. O a Driade, il cui 50° anniversario diventa da un lato la celebrazione di un percorso ‘da laboratorio estetico’ che ha caratterizzato il marchio, dall’altro un momento di riflessione per cercare di soddisfare l’aspettativa che da anni inevitabilmente esiste attorno a Driade. Non dobbiamo più aver paura di essere Driade-dipendenti e ogni pezzo che faremo dovrà essere immediatamente riconoscibile come una creazione di Driade. All’interno delle aziende valorizzeremo le risorse esistenti e ne inseriremo alcune di nuove, proprio per attuare il cambio di passo.
A quali figure pensa?
Ad esempio al business controller, una figura professionale presa dalla moda per superare il tradizionale addetto al controllo di gestione e per associare un’anima ai numeri e al prodotto, ragionando così in termini di valore percepito.
Obiettivi economici?
Sto elaborando il piano quinquennale partendo dai dati di chiusura 2017 che sono in via di definizione.
Il suo passaggio al design sarà temporaneo o definitivo?
Ne sono talmente innamorato che non credo possa essere una parentesi. Lo vedo come un percorso naturale, credo infatti che architettura e design siano fondamentali nella vita quotidiana proprio perché è cambiata l’attitudine del consumatore, e io prima di essere un manager sono un consumatore.