Con 30mila imprese che nel 2020 hanno generato un valore aggiunto pari a 2,5 miliardi di euro, offrendo occupazione a 61mila lavoratori, l’Italia è il primo Paese in Europa per numero di aziende nel settore design. Distribuite su tutto il territorio nazionale, si concentrano nelle aree di specializzazione del made in Italy. Il 60% delle imprese si trova infatti in Lombardia, Emilia-Romagna, Piemonte e Veneto, mentre tra le province primeggia Milano, sede del Salone del Mobile, una delle più grandi manifestazioni al mondo dedicate al design che quest’anno celebra la sua sessantesima edizione. Il capoluogo lombardo attrae il 15% delle aziende nazionali e il 18% del valore aggiunto complessivo, seguito da Roma (6,7% e 5,3%) e Torino (5% e 7,8%). Le imprese operano per il 44% all’estero (8,9% extra Ue), per il 45% su scala nazionale e per il 10,8% su scala locale.
È quanto emerge dal report ‘Design Economy 2022’, realizzato da Fondazione Symbola, Deloitte Private e Poli.design, con il supporto di Adi, Cuid, Comieco, Logotel, AlmaLaurea e il patrocinio del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale.
“Nel pieno di una transizione verde e digitale – ha dichiarato Ermete Realacci, presidente della Fondazione Symbola – accelerata dalla pandemia e dall’invasione dell’Ucraina, il design è chiamato nuovamente a dare forma, senso e bellezza al futuro. Molti aspetti della nostra vita, così come molti settori, cambieranno, dalla metamorfosi della mobilità verso modelli condivisi, interconnessi ed elettrici, ai processi di decarbonizzazione e dell’economia circolare che stanno cambiando l’industria e le relazioni di filiera, arrivando ai prodotti che, in un contesto di risorse sempre più scarse, dovranno necessariamente essere riprogettati per diventare più durevoli, riparabili, riutilizzabili”.
Si inscrive in questa direzione il capitolo del rapporto dedicato alla relazione tra il settore italiano e la sostenibilità, relazione alla base del nuovo Bauhaus europeo lanciato dalla presidente Ursula von der Leyen nel 2020 per contribuire alla realizzazione del Green Deal europeo.
Come sostenuto anche da Logotel, per affrontare oggi la sostenibilità risulta necessario un approccio culturale, che aiuti il tessuto imprenditoriale italiano a entrare in contatto con una nuova generazione di problemi e bisogni. Essere davvero sostenibili implicherà sempre più uscire da una dimensione focalizzata solo sulla progettazione e sull’ottimizzazione di prodotti (o parti di essi). È un cambiamento nel quale il design può giocare un ruolo cruciale. Se la maggioranza dei progettisti e delle imprese del design si sente complessivamente preparato sul tema, dichiarando competenze di alto (33,9%) e medio livello (55,1%), l’offerta per la sostenibilità attualmente si concentra sulla durabilità (57,6%) e in seconda battuta sulla riduzione dell’impiego di materie prime ed energia (43,4%), come testimoniano i risultati della survey condotta per l’edizione 2022 del report.
Tra i settori che trainano la domanda di servizi di design sostenibile svetta l’arredo (70%), seguito dall’automotive (56%), dall’immobiliare, ossia ceramiche, pavimenti ed elementi strutturali (38%), dall’abbigliamento (30%) e dall’agroalimentare (13,3%).
Il profondo ripensamento del design, tuttavia, non può non cominciare dalle competenze manageriali e quindi necessariamente dal sistema formativo, che conta 81 istituti accreditati dal Ministero dell’Istruzione e oltre 9.300 diplomati nel 2020. Ne fanno parte punte di eccellenza come il Politecnico di Milano, prima università tra i Paesi europei e quinta al mondo secondo la classifica Qs World University Rankings by Subject nel settore del design, ma anche l’Istituto Europeo di Design (Ied) e la Nuova Accademia di Belle Arti (Naba).
“A fronte di potenti fenomeni di cambiamento in atto, dalla crisi climatica alla trasformazione digitale, al difficile contesto geopolitico, il design sembra essere più attrezzato di altre discipline e professioni nel governare la complessità. Il successo della formazione e del placement dei designer sottolinea questo aspetto”, ha affermato Francesco Zurlo, presidente Poli.design e preside Scuola del Design, facendo riferimento alla stima sul tasso di occupazione dei laureati magistrali in design a cinque anni che restituisce un valore del 90%, superiore alla media del complesso dei laureati magistrali biennali in Italia. “Il modello mentale che acquisisce un laureato in design – ha aggiunto – lo pone costantemente di fronte a situazioni inattese e scelte conseguenti: è un allenamento all’incertezza e alla complessità che richiede contaminazione tra saperi”.