Accentrare le operazioni in Italia, come fa Cristina Rubinetterie, o su più continenti come Duravit. Puntando in ogni caso sulla produzione interna, limitando o escludendo il ricorso a terzisti. Una scelta premiante nei momenti di crisi.
Nei momenti di crisi, chi sceglie di operare a ciclo completo raccoglie quei benefici che in periodi “normali” possono venir meno. Perché il modello integrato permette alle aziende di essere autonome e di non dover dipendere da lavorazioni esterne che, per diverse ragioni, finiscono per essere frenate nelle loro operations. Una scelta, quella della gestione interna del processo produttivo, che tra gli operatori del mondo bagno è stata fatta da due realtà profondamente diverse ma con questo aspetto in comune: Duravit e Cristina Rubinetterie.
DIFFERENZIARE LE OPERAZIONI
Duravit è una multinazionale della ceramica sanitaria, suo business prevalente, e dell’arredo bagno. Ha sede in Germania, a Hornberg, e stabilimenti in sette Paesi del mondo, ai quali si aggiungono le 21 filiali commerciali estere tra cui quella italiana di Ravenna, con Pierluigi Sgarabotto nel ruolo di managing director. Il modello organizzativo, afferma Sgarabotto, prevede “un forte allineamento con la direzione strategica centrale, anche se abbiamo un minimo di libertà per la strategia distributiva e per l’approvvigionamento. Ma la visione della casa madre è assolutamente rigida, anche perché nel nostro comparto si è verificata una notevole concentrazione a valle della filiera”. In termini produttivi, Duravit opera attraverso un controllo totale delle operazioni, producendo internamente quel che in genere viene affidato a contoterzisti o fornitori esterni. “Si tratta di un modello più costoso, ma nei momenti difficili ti permette di essere resiliente e flessibile. In questi mesi si è rivelato un’arma importante”. Anche perché Duravit può disporre di stabilimenti in diversi continenti, dall’Asia all’Europa fino al nord Africa. Di conseguenza, quanto è entrata in lockdown la Cina, alcune operazioni sono state spostate nelle aree che continuavano a operare; e quando queste si sono dovute fermare, era ripartita la Cina. Inoltre, nel core business della ceramica, gli stock accumulati hanno permesso all’azienda di assorbire abbastanza facilmente le limitazioni nelle spedizioni internazionali. “Non ci siamo mai fermati”, precisa il numero uno di Duravit Italia. Così il gruppo, a livello globale, ha vissuto il periodo più critico della pandemia come prova per il superamento di un test sull’efficacia del proprio modello basato sulla diversificazione della base produttiva, che peraltro non si basava sulla “normale” delocalizzazione mirata a un risparmio di costi, bensì in chiave “market seeking” ovvero per ampliare le potenzialità distributive dei suoi prodotti. “E in ogni caso – precisa Sgarabotto – la riflessione che dovrebbe essere stata fatta da chiunque opera con più stabilimenti worldwide, viste anche le problematiche di shortage emerse con il lockdown cinese, è che non ha senso andare a produrre in Asia per servire l’Europa o gli Stati Uniti”. In prospettiva, Duravit vede un recupero in tempi abbastanza rapidi, probabilmente già dall’estate, e non teme difficoltà per i suoi partner strategici a monte della filiera, dove hanno un ruolo rilevante i fornitori italiani di tecnologia sia per le ceramiche sanitarie sia per l’arredo bagno. Si potrebbe invece verificare qualche opportunità in termini di m&a perché alcune aziende piccole e non sufficientemente capitalizzate rischiano di entrare in crisi e potrebbero essere disposte a vendere. “Il fattore dimensionale, soprattutto nel mondo ceramico, è fondamentale – conclude – e la crisi post covid ha fatto da acceleratore di processi già avviati. A livello finanziario c’è tanta liquidità disponibile per le aziende solide, che avranno accesso a fonti di finanziamento convenienti. Nei prossimi mesi ne vedremo delle belle…”.
LA FILIERA CORTA
Ciclo quasi completo e interno, produzione made in Italy. Il modello scelto da Cristina Rubinetterie è simile a quello di Duravit, con la differenza che le operazioni sono concentrate nel territorio novarese. “La produzione della rubinetteria parte da una barra di ottone e da lì in poi viene gestita ‘in house’, compresa la pulitura, la cromatura e le minuterie. Ci avvaliamo esclusivamente della professionalità di alcuni partner esterni per la verniciatura”, racconta il CEO Daniele Mazzon. Il quale aggiunge: “Non abbiamo avuto particolari problemi con la ripartenza. Penso che il nostro sistema offra più garanzie rispetto a chi ricorre perlopiù all’outsourcing, che potrebbe avere qualche problema soprattutto da qui in avanti”. Cristina ha onorato gli impegni verso i fornitori e sta cercando di sostenere quei partner che hanno scarsa liquidità e una struttura finanziaria inadeguata per sostenere il carico della crisi: “Alcuni, in particolare quelli che non lavorano esclusivamente per noi, hanno chiesto un anticipo dei pagamenti, richiesta abbastanza inusuale, o la possibilità di caricare ordini per semilavorati di cui avevano già in casa i materiali, così da poter disporre di una maggiore liquidità in ingresso. Al tempo stesso, stiamo cercando di supportare i nostri clienti, mantenendo un legame diretto e informandoli sulle novità di prodotto in arrivo. È stata una precisa richiesta da parte degli showroom, che abbiamo naturalmente assecondato”. Il sistema di filiera corta ha anche permesso a Cristina di gestire la fase precedente al lockdown senza difficoltà nell’approvvigionamento dei materiali. “La maggior parte delle forniture arriva dall’Italia, con l’eccezione di alcune componenti reperibili soltanto in Oriente ma delle quali avevamo ampie scorte in magazzino”, precisa Mazzon. Secondo l’azienda, è prevedibile che le difficoltà sorte nella prima fase del contagio, con il lockdown in Cina, spingano diversi imprenditori a rivedere il sistema di filiera, avvalendosi di fornitori più vicini alle sedi delle operations o internalizzando le fasi più critiche. “Noi stessi stiamo riflettendo su eventuali investimenti per gestire internamente determinate operazioni – precisa – e occorre vedere quale sia il payback di simili scelte, perché c’è un vincolo legato ai volumi. Ma qualche considerazione va fatta”.
A fine anno, l’azienda prevede una diminuzione dei ricavi tra il 10 e il 20% rispetto al 2019, per effetto di un calo dell’attività concentrato nei primi otto mesi dell’anno, poiché nel periodo settembre-dicembre il business dovrebbe tornare ai livelli del 2019. Le risposte della distribuzione confortano queste previsioni. “Il periodo, anche a valle, viene vissuto come uno ‘stop and go’ e al di là di una richiesta di sostegno in termini di liquidità, non vedo particolari segnali di cambiamento”, conclude Mazzon.
di Andrea Guolo