Architetto navale, appassionato velista e regatante, Tommaso Spadolini è custode di una tradizione di famiglia e al tempo stesso innovatore. Dai tender a motore ai cruiser a vela, fino alle grandi navi da diporto, i suoi progetti spaziano tra le diverse scale e sono riconosciuti a livello internazionale
Le origini dell’architetto e designer Tommaso Spadolini si ritrovano all’interno di una famiglia fiorentina di architetti; il padre Pierluigi Spadolini è stato autore di celebri imbarcazioni a partire dagli anni ’60, tra cui la serie Akhir dei Cantieri di Pisa, divenuta nel tempo un punto di riferimento per il progetto di yacht di lusso. Lo stile di Spadolini viene definito Timeless Classic: linee pulite, senza tempo, volte a creare un design al servizio della funzionalità. Tra gli altri, ha progettato il Fortuna per la famiglia reale spagnola (primo yacht a superare i 70 nodi di crociera), Nina J, 42 metri vincitore del World Yachts Trophies nel 2006 a Cannes, e Numptia, il 70 metri di Rossinavi che nel 2012 ha vinto i World Superyacht Awards. Durante la sua carriera, ha lavorato con i più grandi cantieri navali che fanno parte della storia dell’industria nautica: Cantieri di Pisa, Barberis, Alalunga, Baglietto, Codecasa, Rossinavi. E’ stato il primo progettista a intuire che l’aumento dei volumi interni avrebbe rivoluzionato l’intera industria dei superyacht. Vanta molti riconoscimenti internazionali, tra cui il The World Superyacht Awards 2017 e lo Showboat Design Awards 2017 per il 35m Otam Gipsy.
Lei è considerato il padre dello Yacht Design in Italia. Si riconosce in questo ruolo?
In realtà devo molto a quello che i miei genitori mi hanno trasmesso, in termini di cultura del design e passione per il mare; ho inoltre avuto la fortuna e il privilegio di operare in un momento storico estremamente positivo per la nautica, che ha permesso a me e ad alcuni miei colleghi di contribuire alla nascita dello Yacht design italiano e a farlo conoscere nel mondo.
40 anni di studio appena ‘compiuti’: come è cambiato in questo tempo e cosa invece è rimasto uguale ai primi anni?
É rimasta sicuramente uguale la passione nell’affrontare le sfide quotidiane; gli strumenti a disposizione per la ricerca e le tecniche di esecuzione e presentazione sono ovviamente completamente cambiati, grazie all’evoluzione tecnologica che ha interessato anche il nostro settore.
Come definirebbe il suo modo di progettare yacht?
Istintivo e basato sul dialogo e sulla comprensione delle esigenze; la mia progettazione peraltro riflette sempre la mia esperienza pluridecennale di velista e armatore. Gli anni di regate e di navigazione hanno contribuito a formare il mio approccio al progetto. Il mio design è fatto di essenzialità, pulizia e rigore, necessariamente aggiornato per rispondere alle necessità tecniche di un’imbarcazione e interpretare il gusto attuale.
In che modo ci si approccia a un cliente?
Instaurando un dialogo continuo e approfondito, che permetta di comprendere le sue reali aspettative. Dopo aver stabilito una rapporto con l’armatore o il cantiere, la fase progettuale può iniziare ed è composta da due momenti importanti: la prima stesura avviene completamente a mano, poiché disegno personalmente il primo concept e lavoro alle modifiche sino a che non sono soddisfatto del risultato; il concept viene poi elaborato in fattibilità 2D e 3D, sino alle versioni definitive.
Come è cresciuto il suo studio negli anni?
Lo studio ha attraversato, fin dalla fondazione, le diverse fasi economiche del nostro Paese. Tangentopoli è stato il primo spartiacque tra un periodo di boom e prosperità e una crisi molto significativa, soprattutto nella nautica di alto livello, e siamo stati tra i primi ad operare con grandi cantieri di produzione seriale, come Canados e Aprea, in anni di boom economico. Per Canados, in 7 anni, abbiamo realizzato 108 unità, per Aprea 150 yacht da 12 metri e ben 180 da 10 metri.Quando poi è esplosa la crisi della nautica, dopo il 2008, abbiamo risposto esplorando i mercati internazionali, fino a Cina e Taiwan. Dall’inizio dell’attività contiamo circa 400 progetti, con una media di 6/7 barche all’anno se parliamo di yacht tra i 25 e gli 80 metri.
E com’è cambiato il modo di lavorare, con l’apertura ai mercati più lontani?
Lo studio ha scelto consapevolmente un modello di business particolarmente accurato, interamente tailor made, dedicandosi ad un numero limitato di clienti che seguiamo con estrema attenzione. Negli ultimi anni il trend economico dello studio ha segnato una crescita costante, con incrementi a due cifre negli ultimi due esercizi. Nella composizione del nostro budget di spesa, ha un peso importante l’aggiornamento tecnologico.
Da dove vengono principalmente i vostri clienti? C’è ancora spazio per lavorare e fare businness in Italia?
Il portafoglio ha carattere internazionale. In Italia lavoriamo bene, assolutamente sì, e le opportunità ci sono ancora. Siamo appassionati sostenitori del made in Italy e della possibilità di realizzare bellissime imbarcazioni nel nostro Paese.
Oltre al lato economico, cos’è che la soddisfa di più nel suo lavoro?
Il rapporto consolidato di amicizia e stima con alcuni armatori, per i quali ho progettato sino a 6 barche, seguendoli nel loro percorso.