Nelle ‘città lente’, la fruizione delle zone outdoor è cresciuta in maniera esponenziale dopo l’emergenza sanitaria. E sarà uno dei temi ispiratori dei progetti, pubblici e privati, anche per il futuro.
Il cambiamento era nell’aria da tempo, ma è stato necessario lo choc della pandemia per riportare sotto i riflettori l’importanza vitale degli spazi outdoor. Quando, dopo l’isolamento forzato dei primi mesi del 2020, la ricerca scientifica ha dimostrato che la trasmissione del virus diminuiva all’aperto, luoghi come parchi pubblici, piazze, cortili, viali e prati di periferia sono stati riconvertiti in aule, uffici, punti di ritrovo e palestre open air: tutti ambiti ritenuti più sicuri per lavorare, socializzare e svolgere attività fisica secondo un modello di riuso alternativo della città che ora, dopo la fine dell’emergenza sanitaria, sta diventando la norma.
Nel nome del nuovo lifestyle ispirato a un rapporto più immersivo con l’ambiente, si è tornati a investire nello sviluppo di quartieri storicamente lasciati al margine con piani di costruzione virtuosa ex novo o di rigenerazione dell’esistente in cui, nel pubblico come nel privato, vengono predisposti sempre più spazi esterni fruibili per le persone. E non a caso, proprio sul tema dell’ideazione e della gestione dei vari aspetti collegati alla complessità delle aree outdoor del Terzo Millennio, POLI.design, Politecnico di Milano, promuove un master di specializzazione in Design for Public Space, giunto quest’anno alla terza edizione: un articolato programma interdisciplinare che ha l’obiettivo di formare professionisti capaci di coordinare progetti e processi connessi a questi luoghi simbolici, in cui la collettività da sempre si riconosce.
NELLE CITTÀ DI DOMANI, MENO AUTO MA PIÙ AREE PER PEDONI E COMUNITÀ
Oggi i progetti outdoor prevedono disegni complessi di sistemi di edifici per abitazioni e per servizi, reti di connessione e infrastrutture, e prestano particolare attenzione allo spazio tra il costruito: le zone verdi, le piste ciclabili, i parchi attrezzati e tutte le aree più destrutturate ma accoglienti, che generano valore e una maggiore qualità percepita dell’abitare”, spiega Agnese Rebaglio, professore associato al dipartimento di Design del Politecnico di Milano e direttore del master in Design for Public Space di POLI.design. “Pensiamo a tale proposito ai cantieri aperti a Milano grazie al bando Reinventing Cities e che riguardano aree importanti per la città, come piazzale Loreto, il nodo di Bovisa, lo scalo ferroviario di Lambrate, le aree in via Monti Sabini e a Crescenzago, l’area dell’ex Macello e le Palazzine Liberty di viale Molise. Ma consideriamo anche le aree urbane di grande pregio immobiliare e di valore turistico-attrattivo quali per esempio la zona di Porta Garibaldi o City-Life, per le quali la qualità dello spazio aperto concorre all’efficacia dell’azione di riqualificazione complessiva”.
“La necessità di seguire le regole del distanziamento ha favorito l’estroflessione verso l’esterno di attività prima svolte in ambiti chiusi come quelle commerciali, che si sono attrezzate con dehor, pedane con tavolini e pergole, spesso sottraendo spazio carrabile dedicato alla sosta delle automobili e, in un certo senso, restituendolo all’uso delle persone”, aggiunge Barbara Di Prete, professore associato al dipartimento di Design del Politecnico di Milano e coordinatore del master in Design for Public Space di POLI.design. Inoltre “si è ribadita l’imprescindibilità di un diverso sviluppo delle città attraverso l’adozione, a livello internazionale, di modelli definiti come ‘città dei 15 minuti’, ‘città multicentriche e prossime’ o ‘città lente’, che favoriscono stili di vita più sostenibili e promuovono la riappropriazione dello spazio pubblico da parte dei pedoni e delle comunità che abitano i quartieri. In questa nuova topografia urbana, un ruolo essenziale è per esempio quello svolto dai parchi, dalle aree-giardino o da quegli angoli verdi che a New York chiameremmo ‘parklette’, e che rispondono a un sempre crescente bisogno di luoghi di benessere e di attività all’aperto. Allo stesso modo musei, teatri e gallerie hanno iniziato a colonizzare lo spazio pubblico adiacente con installazioni ed eventi, fisici o multimediali, mentre nelle aree urbane si guarda con attenzione anche ai ‘ritagli’ tra gli edifici e agli spazi in-between, inclusi parcheggi e strade, con il moltiplicarsi delle iniziative per il loro recupero spesso attivate dal basso e partecipate da amministrazioni e comunità”.
LUOGHI FLESSIBILI, VERSATILI E TRASFORMISTI: L’URBANISMO TATTICO
“Per immaginare città più inclusive, dobbiamo essere in grado di rispondere ai molteplici bisogni di attività all’aperto da parte di giovani e adulti, prevedendo luoghi ludici per i bambini, accoglienti per gli anziani, sicuri per le donne e sostenibili per tutti”, dice Rebaglio. “Se la cura del sé è diventata un fattore di rilevanza pubblica, sono quindi apprezzati gli ambienti outdoor per il fitness come pure gli spazi naturali dove isolarsi per fare yoga o meditare. Anche gli eventi sono tornati a popolare le aree open air della città, che si conferma essere la scenografia privilegiata per i grandi riti collettivi. In tale contesto, la sfida è dare forma a location in linea con le nuove esigenze di vivibilità e di mobilità sostenibile che si vanno affermando, con uno sguardo rivolto a una pluralità di target, multiculturali e multi generazionali. Ciò che viene richiesto è, in primis, che questi luoghi offrano molteplici opportunità d’uso e che si possano adeguare a un numero sempre più ampio di attività, rispondendo a esigenze in divenire”.
Di questo variegato movimento di riappropriazione dell’outdoor, uno dei maggiori volani è riconducibile al cosiddetto ‘urbanismo tattico’, e cioè l’insieme di interventi non invasivi e a basso costo attuati sulle piccole porzioni di città, negli slarghi, nelle piazzette, persino sui marciapiedi. “Milano ha iniziato nel 2014, quando è stato promosso un progetto temporaneo che ha poi portato alla permanente pedonalizzazione di Piazza Castello. Questo approccio è diventato programmatico solo dopo la pandemia, quando, raccogliendo una serie di istanze promosse anche dalla cittadinanza e grazie alla collaborazione con enti internazionali quali Bloomberg Foundation, l’amministrazione milanese ha sviluppato programmi come ‘Strade Aperte e Piazze Aperte.’ L’urbanismo tattico si è così trasformato in un tool strategico per la prototipazione co-progettata e partecipata con i cittadini di cambiamenti temporanei dello spazio outdoor prossimo, di quartiere, con l’obiettivo di testare soluzioni permanenti condivise e sostenibili. Piazze dipinte, disegnate, attrezzate con giochi collettivi, con tavoli e panchine, sono così diventate nuovi centri di aggregazione e di riconnessione delle relazioni di vicinato, tipiche di una città lenta e inclusiva, a misura di tutti”. Nel contempo “è in crescita anche l’adozione di aree interstiziali o abbandonate ad opera di gruppi di volontari e associazioni del terzo settore che le riconvertono in orti urbani, giardini comunitari, cortili per intrattenimenti interculturali, e sempre più spesso l’outdoor si trasforma in scenografia per lo svolgimento di eventi capaci di attrarre un vasto pubblico anche internazionale, come le varie week tematiche, le sfilate, le mostre, le performance e le manifestazioni eno-gastronomiche diffuse nei grandi come nei piccoli centri”.
NEL PUBLIC SPACE LABORATORIO CREATIVO, L’ARREDO URBANO ‘PARLA’ AGLI UTENTI
Quanto al tema della sostenibilità in ambito outdoor, “i materiali privilegiati sono quelli legati a processi di re-use, re-cycling o up-cycling, in un’ottica di economia circolare che rappresenta un paradigma ineludibile del contemporaneo”, illustra Di Prete. “Per garantire una sostenibilità economica, gli spazi urbani devono essere reversibili e flessibili, pronti per anticipare o per rispondere con immediatezza alle urgenze più diverse. Ormai, infatti, bisogna progettare prevedendo il cambiamento e adottando soluzioni strategiche, economiche, transitorie e adattabili, con un occhio di riguardo anche per la sostenibilità energetica che si traduce da un lato in scelte progettuali che si avvalgono di fonti alternative come il solare e dall’altro nell’attenzione verso interventi che sollecitino gli utenti a prendere consapevolezza del valore dei comportamenti individuali e collettivi per alimentare la transizione energetica delle città. In questa direzione va anche la ricerca DE-sign, coordinata da Enea in collaborazione con le università – oltre a PoliMi, UniMi e Iuav – nell’ambito della Campagna Nazionale di informazione e formazione ‘Italia in Classe A’ promossa dal ministero della Transizione Energetica: il nostro gruppo di ricerca del Dipartimento di Design PoliMi è coinvolto proprio nella definizione di indirizzi per il progetto outdoor sempre più sostenibile anche dal punto di vista energetico”.
Nello scenario contemporaneo, parlare di arredo urbano inteso come “oggetto da catalogo privo di riferimenti con il territorio di destinazione” appare ormai riduttivo. Al contrario, ora prevalgono progetti site specific attrezzati con dispositivi che dialogano reciprocamente con il territorio di appartenenza, ne promuovono i valori e ne rappresentano l’identità. Tali sistemi contemplano, oltre alla componente materica e formale, anche la dimensione digitale, comunicativa e narrativa: valga per tutti l’esempio dei QR code collegati a contenuti informativi e posizionati su tabelloni e panchine. In ogni caso, “si tratta di soluzioni che personalizzano i contenuti da veicolare ed esplorano diverse modalità di interazione spazio-arredo-utente”, concludono Di Prete e Rebaglio. “In tal senso appaiono significativi, nel campo dell’arte, i progetti come Psi e Yap, promossi dal MoMa di New York all’interno di una scuola dismessa nel Queens, o dal Maxxi di Roma, e i cui esiti consentono di tratteggiare nuovi scenari di evoluzione per lo spazio pubblico”.
L’articolo è disponibile sul numero di febbraio/marzo di Pambianco Magazine Design.