Il mercato parallelo è un fenomeno diffuso e difficile da contenere, specie in un mercato grande e dinamico come quello cinese. I brand si sono attrezzati per contrastarlo, ma la diffusione dell’online diventa un prezioso alleato per chi lo pratica.
Sfugge di mano, crea problemi di posizionamento e rappresenta una minaccia per il valore stesso del brand. È il cosiddetto mercato parallelo, un fenomeno purtroppo diffuso e che colpisce in maniera trasversale le aziende del made in Italy nell’alto di gamma. La moda è tra le maggiori vittime, ma anche il design osserva da tempo queste modalità di distribuzione che portano pezzi pregiati in ambiti nei quali l’azienda non vorrebbe essere presente. Oggi la percentuale più consistente di casi riguarda il mercato asiatico e in particolare la Cina che, d’altra parte, è il teatro commerciale più grande per dimensioni e il più interessante per crescita potenziale del ceto medio. Si tratta di “pirateria pura”, secondo la definizione che ne dà l’amministratore delegato di Poltrona Frau, Nicola Coropulis, e va combattuta, pena la perdita di autorevolezza del brand che avrebbe riflessi immediati anche in Europa, in Italia e, in definitiva, su tutto il business del marchio.
IL DRAMMA DEGLI SCONTI
È articolato il sistema che favorisce l’importazione parallela in Cina. Organizzato in centrali di acquisto in loco, che hanno spesso un contraltare in Europa. Proprio la veste europea apre le porte con maggiore facilità dei rivenditori i quali, spesso inconsapevolmente, si prestano al gioco. Credono di vendere a un architetto che sta realizzando in Cina un progetto e invece finiscono nelle maglie di parallelisti. “L’interesse del parallelo nei confronti di Poltrona Frau – spiega Coropulis – è direttamente proporzionale all’importanza che il marchio sta acquisendo sul mercato. Tuttavia, questo rischia di diventare un elemento di blocco per lo sviluppo futuro”. L’arma principale nelle mani dei parallelisti è rappresentata dal prezzo: “Passa l’idea che un brand del lusso può essere venduto con uno sconto molto alto rispetto al prezzo di listino”. La conseguenza è che “il primo a subirne il contraccolpo è il valore del marchio. Ciò che viene offerto sistematicamente con uno sconto del 30-50% perde il suo valore e non viene più percepito come un brand del lusso. Questo – chiosa – è il vero rischio”.
Ma non è tutto. L’importatore parallelo spesso unisce agli originali anche i prodotti contraffatti. Casi che sono stati “verificati” da Poltrona Frau, con la diretta conseguenza che “il cliente finale non ha nemmeno la certezza dell’originalità del prodotto. Questi fenomeni oggi, a mio avviso, rappresentano in prospettiva il più grosso pericolo che i marchi dell’arredo design di alto livello e lusso devono affrontare in questi mercati”, afferma Coropulis. Peraltro, ed è un dato che va tenuto bene a mente, “in questi mercati chiusi, quale è quello cinese, se perdi la fiducia e la capacità di essere convincente hai chiuso definitivamente. Il caso Dolce & Gabbana qualcosa ci ha insegnato: il rischio in Cina è perdere tutto quanto in tempi rapidissimi. Come è stata rapida la crescita, può esserlo anche il crollo”. Senza possibilità di appello. L’importazione parallela, ribadisce il CEO di Poltrona Frau, “è pirateria pura a discapito dei rivenditori autorizzati”. Questo non significa che il rivenditore italiano non sia autorizzato a lavorare in Cina. “Serve la certezza che il progetto sia stato originato da un rivenditore europeo e da un architetto locale. E dobbiamo essere consapevoli che se c’è l’interesse verso un determinato marchio, è perché l’azienda ha compiuto investimenti importanti per farlo conoscere”.
FENOMENO INEVITABILE?
Anche Giovanni del Vecchio, managing director di Giorgetti, distingue tra mercato parallelo e operatori internazionali che sono capaci di fornire servizi di altissima qualità anche all’estero, compresa la Cina. “Oggi lavoriamo con clienti che hanno nazionalità molto diverse. Siamo a tutti gli effetti un esempio di business transnazionale: a volte lavoriamo con un cliente cinese, che si affida a un architetto inglese per una villa in Costa Azzurra”, estremizza, ma non troppo, Del Vecchio. Il punto è che “la nazionalità di un progetto è diventato un concetto molto fluido”. Per togliere di mezzo ogni equivoco, secondo l’imprenditore non va inteso come mercato parallelo “il business di operatori internazionali con committenza internazionale. Esistono in Europa – evidenzia – operatori estremamente capaci che hanno costruito una realtà organizzativa molto efficiente, che sono in grado di fornire servizi di progettazione, vendita e installazione in giro per il mondo”. E questo, chiosa, non è mercato parallelo, che va inteso piuttosto come “la concorrenza fatta su progetti sviluppati da altri e venduti semplicemente facendo leva sullo sconto e dunque approfittando di situazioni di dumping del prezzo”. Queste, avverte, “sono cose che assolutamente non tolleriamo, che contrastiamo nella maniera più totale”. In questo senso, come anche Poltrona Frau, Giorgetti da ottobre 2016 ha implementato la politica del prezzo unico in tutto il mondo, “proprio per ridurre il rischio che eventuali differenze di prezzo favorissero spazi per l’importazione parallela. A questo si aggiunge il fatto che “concordiamo, con i dealer, politiche di prezzo su singoli mercati omogenee, garantiamo attraverso la registrazione dei progetti la protezione per coloro che iniziano a lavorarci impedendo una competizione secondo la logica dello sconto”. Grazie alla distributiva “molto selettiva” di Giorgetti (non più di 300 punti vendita nel mondo), “riusciamo a mettere in condizione i nostri partner di lavorare sotto la massima protezione nel limite di quelle che sono le nostre linee di azione”.
Anche a fronte di interventi importanti, tuttavia, è bene avere presente, secondo Del Vecchio, che si tratta di un “fenomeno inevitabile laddove c’è un mercato di prodotti di lusso. Lo si sperimenta nel mondo della moda, dei gioielli, della orologeria. Esiste ed esisterà sempre. Il nostro obiettivo è contrastarlo il più possibile per portarlo ad essere l’eccezione. Non la regola”.
SCATOLE CINESI
Certo è che, in epoca pre Covid, il fenomeno stava crescendo in maniera importante, secondo le testimonianze di operatori locali. Guido Raffaelli, senior architecht di Domus Tiandi, operatore asiatico con negozi a Pechino (dove rivende sostanzialmente tutti i principali brand italiani), Shanghai (monomarca in partnership con Minotti) e Shenzhen (due monomarca: Baxter e uno di Minotti) lo evidenzia, sottolineando la forte preoccupazione in tal senso. Una competizione, quella tra autorizzato e parallelo, che si gioca sul prezzo, laddove il secondo “non ha costi fissi, ad esempio showroom e personale”, ma soprattutto riesce a sfruttare moltissimi canali “dai vari rivenditori italiani, alle realtà online che riescono a spacchettare l’ordine su varie realtà europee”. Un gioco di scatole cinesi, insomma, come quelle tristemente note alle cronache giudiziarie, che compromettono le buone regole del mercato. A volte sono gli stessi agenti, avverte Raffaelli, che grazie alle loro conoscenze riescono a vendere anche i brand che non sono in portafoglio. L’emergenza coronavirus ha rallentato le vendite online, soprattutto a causa dell’impossibilità di consegnare per un lungo periodo. Tuttavia, potrebbe accadere che “in un momento di crisi generalizzata e diffusa, il cliente potrebbe preferire spendere meno a scapito delle garanzie e dell’assistenza che un dealer ufficiale può dare in loco”. Un nuovo elemento di attenzione che lascia in eredità la crisi sanitaria.
di Maria Elena Molteni