Attorno a questo paese, compreso tra Padova, Treviso e Venezia, si è sviluppato un terzismo diffuso dell’illuminazione composto da 400 aziende iper specializzate e in grado di assicurare qualità e flessibilità ai grandi marchi italiani del settore
Loriano Scattolin è uno di quei terzisti “privilegiati” che possono permettersi di dire “no” a ordini consistenti di marchi importanti. E la ragione del suo privilegio, Scattolin la spiega senza troppi giri di parole. “Nel mio paese, quasi tutto hanno dovuto chiudere. E mi dispiace tanto per loro, ma un tempo non potevo fare selezione e oggi invece sì”. Il paese di Scattolin è Scandolara, in provincia di Treviso, e appartiene a quell’area di mezzo tra le province di Padova, Venezia e appunto Treviso dove si concentra la produzione di filiera per l’illuminazione. La sua azienda si chiama Arte Light e realizza strutture metalliche per lampadari, a esclusione del vetro che viene fornito dalla vetreria. Ha dieci dipendenti che partono dal disegno per consegnare il prodotto in scatola. L’80% della lavorazione viene eseguita per marchi italiani, i più forti del settore, e il restante 20% per alcuni brand esteri verso i quali Scattolin è particolarmente aperto perché, ci spiega, “sono i più puntuali nei pagamenti e inoltre ti concedono qualcosa in più degli italiani, per i quali dobbiamo spesso lottare sui centesimi. E ci dispiace, perché sono loro a dire pubblicamente che l’Italia ha le migliori competenze, ma poi davanti a un euro di aumento sono pronti a delocalizzare gli ordini”.
TERZISTI PER FORZA
Il distretto della luce si trova nel cuore del nordest, in una zona ad altissima industrializzazione diffusa. “Guardi la cartina e fai un cerchio attorno al comune di Piombino Dese, che è l’epicentro. L’80% dei produttori regionali si trova qui. Erano dipendenti di poche grandi aziende, poi sono usciti e si sono messi in proprio, per poi moltiplicarsi. È sempre la solita logica di cluster”, afferma Andrea Voltolina, imprenditore del settore, fondatore della rete di imprese Luce in Veneto, nata nel 2016 proprio per riunire alcune di queste aziende guidandole nell’evoluzione del comparto illuminotecnico veneto verso il concetto di smart lighting. Oggi Voltolina è ancora coinvolto nel mondo luce ma si sta anche occupando di vetro, con una linea di calici realizzati a proprio nome. E racconta: “La scelta di diventare terzisti è stata inevitabile per la maggior parte di questi produttori. Il Veneto è la terra dei marchi di Murano, che hanno una grande tradizione ma sono rimasti ancorati a una visione antica e poco attraente per le nuove generazioni. Così, chi ha le capacità ma non è in grado di sostenere le spese necessarie per affermare il proprio brand, si è messo a fare il terzista. Luce in Veneto è nata anche per sostenere chi aveva una produzione brandizzata ma i marchi che contano sono davvero pochi. E nel frattempo, sulla scena internazionale, si stava imponendo la Cina”. Antonella Venza è il cluster manager di Luce in Veneto, rete di imprese costituita nel 2016 e ufficialmente riconosciuta dalla regione quale soggetto giuridico della rete innovativa Venetian Smart Lighting. Oggi vi aderiscono 44 piccole e medie imprese del settore smart lighting, localizzate per quasi il 75% nell’area Pa-Tre-Ve. Lo sviluppo dello smart lighting ha comportato l’adesione alla rete non solo di aziende produttrici di articoli di illuminazione, ma anche aziende dell’industria elettronica e più specificatamente domotica per l’ideazione di nuovi sistemi hardware e software e di interfacce studiate per facilitare l’utilizzo dei sistemi a tutti i cittadini, con particolare riguardo ad anziani e disabili. Si tratta di una rappresentanza rilevante delle aziende presenti sul territorio di riferimento, che comprende poco più di 40 comuni con una presenza di duecento aziende. Secondo stime non ufficiali, prima della grande crisi scoppiata nel 2008 erano circa il doppio. Ciononostante, la crisi non ha messo in discussione i capisaldi della rete a cominciare da quella che è la sua principale caratteristica: la completezza delle fasi di lavorazione, tutte ancora presenti in zona. Però oggi la situazione è molto più difficile perché, afferma la cluster manager Venza: “I costi inferiori praticati da aziende di altri Paesi europei hanno compresso i margini di chi faceva lavorazioni e componentistica. La sofferenza del comparto è piuttosto palese. Così si è ridotta soprattutto la presenza di componentisti, perché alle firme del settore conviene importare componenti dall’estero, che non sono necessariamente di scarso valore. Il led, per citare l’esempio più efficace vista la diffusione ormai capillare, arriva tutto dall’oriente. Perciò le aziende venete si sono specializzate nelle mansioni dove potevano continuare a operare, fornendo un alto valore aggiunto: parliamo di lavorazioni meccaniche, vetrerie, cablaggi, domotica, internet of things, elettronica. L’illuminazione ‘classica’ è ancora molto richiesta all’estero, specie nei Paesi emergenti, ma c’è al tempo stesso una rapida evoluzione di cui tutti, compresi i componentisti, devono tenere conto”.
TROPPO POCHI PEZZI
Le dimensioni medie di questi fornitori restano abbastanza contenute, sotto i 15 dipendenti. Tra loro c’è Danilo Pirollo, che opera proprio nell’epicentro del distretto, a Piombino Dese, come artigiano che realizza componenti per l’illuminazione led ed è uno degli ultimi specialisti rimasti in quest’ambito, anche se ci tiene a dire che la sua azienda ha diversificato e ora fornisce anche la clientela delle macchine per utensili perché lui non produce led, bensì componenti di meccanica. “Siamo a tutti gli effetti un’officina metalmeccanica – precisa Pirollo – e il lavoro non ci manca. Ma su una novantina di clienti in tutto, quelli dell’illuminazione sono una dozzina e mi garantiscono il 15% del fatturato. E se devo dirla tutta, sono anche quelli che più mi preoccupano”. Perché? “Non vedo da parte loro una copertura efficace delle spese di progettazione. È vero che l’illuminazione tradizionale sta scomparendo e che tutti passano al led, e questo dovrebbe darmi un sacco di lavoro… ma è altrettanto vero che le aziende di illuminazione hanno spese enormi per il lancio di nuovi prodotti che, dal mio osservatorio, raramente vanno oltre i 200 pezzi, massimo 500 nel caso di faretti piccoli. Così quei costi non vengono ammortizzati e temo che, avanti di questo passo, i nodi verranno al pettine”.
NESSUN RISCHIO DI USCITA
I principali marchi veneti dell’illuminazione sono due: si tratta di Linea Light e di Foscarini, che presentano due storie differenti. Il primo nasce dalla componentistica ed è cresciuto principalmente grazie al led, nell’ambito professionale e di design. Il secondo è il leader nel decorativo e affida la realizzazione dei suoi prodotti all’esterno, facendo proprio affidamento sulla risorsa rappresentata dai terzisti locali. “I grossi brand scelgono il terzista più adatto in base al prodotto che intendono sviluppare, seguendo le esigenze espresse dal mercato. Per loro natura, non fidelizzano e chiedono tanta flessibilità al fornitore. Ma il loro valore aggiunto, e ne sono ben consapevoli, dipende in buona parte da questo know how”, afferma Alberto Sozza, divenuto il secondo presidente della rete di Luce in Veneto dopo l’uscita del suo predecessore Voltolina. “Ed è per questo – sottolinea Sozza, titolare della società di progettazione Kazan – che non vedo rischi di uscita da parte di brand come Flos, Artemide, come tutti quei brand che hanno scelto di produrre per la maggior parte in Veneto perché qui trovano qualità, capacità di ingegnerizzazione del prodotto e di realizzazione del loro design. È ovvio che non siamo più competitivi per le grosse catene legate al mass market e al consumer, ma quando si parla di fascia alta non vedo particolari alternative”. E se la crisi ha certamente spinto fuori dal mercato diverse realtà che operavano nel classico, Sozza evidenzia come altre, specializzate nell’ambito del led e del faretto architetturale, si siano contemporaneamente imposte e sviluppate, permettendo alla rete di conservare una posizione di forza. “In Veneto siamo molto forti sulla componentistica, dai vetri ai cristalli fino alle minuterie metalliche, e sugli apparecchi di illuminazione, mentre a differenza dei francesi siamo più deboli nella distribuzione, non avendo a disposizione colossi locali come Sonepar o Rexel che sono poi in grado di fare, nel nostro ambito, quel che Auchan o Carrefour hanno potuto fare a livello di prodotti alimentari. Però ci sono aziende che esportano l’80% della produzione, e questo ha permesso loro di superare il limite distributivo nazionale”. La committenza estera, per quanto forte, non sarà però mai strategica come lo è quella italiana che, ricorda Sozza, “da sola rappresenta il 10% dell’intero mercato Ue, con tanto di leadership nel design, e quindi il mercato interno offre volumi già più che interessanti”.
FORZA E DEBOLEZZA
I punti di forza del distretto veneto possono dunque essere riassunti così: filiera completa, alta tecnologia, know how consolidato, filo diretto con i più prestigiosi brand italiani del design illuminotecnico. E ci aggiungiamo anche la vicinanza del Veneto all’Europa, con un occhio di riguardo per la Germania che non è poi così distante né in termini commerciali, né quando ha bisogno di un fornitore particolarmente attendo. I punti di debolezza sono i costi, la pressione della concorrenza non solo cinese (basta varcare il confine sloveno per trovare prezzi inferiori), l’assenza di marchi di proprietà e la dinamica rallentata del mercato domestico. “Se il pil mondiale aumenta, riusciremo a conquistare quote di mercato che erano state perse o che addirittura non esistevano, perché potremo finalmente conquistare i mercati asiatici”, afferma Andrea Voltolina. Nell’attesa, occorre rilanciare la filiera partendo, sottolinea Venza, dalla capacità di comprendere che le dimensioni medie dei terzisti veneti richiedono un grado di servizio sempre più elevato e la capacità di fornire prodotti customizzati. “Tenendo conto – precisa – che oggi il punto luce non è più soltanto una lampada ma assume le sembianze di un device, di una parete luminosa e di molte altre forme innovative. Occorre in particolare specializzarsi in quelle fasi che permettono di difendere il margine e di massimizzare il valore aggiunto”. Intanto Loriano Scattolin, che oggi può permettersi il lusso di selezionare i clienti, ha allargato il capannone di 500 metri quadri, comprato macchinari innovativi e con testardaggine ha guardato avanti quando dopo il 2009, ricorda: “Tutti si piangevano addosso e io invece ho messo mano al portafoglio, perché non era possibile che dovesse andare sempre male. I terzisti sopravvissuti sono quelli che hanno avuto più fiducia. E mi creda, non è ipotizzabile che i brand rinuncino a fornitori capaci o addirittura che si mettano a produrre direttamente. Dove li trovano operai disposti a lavorare in questo settore? Io per anni ho cercato disperatamente personale e oggi un paio di ragazzi li ho trovati, ma avrei bisogno almeno di altri tre, perché se continuo a dire di no a clienti assolutamente appetibili è anche perché non saprei come fare ad aumentare la produzione”.