L’arredo nazionale resta legato a strategie di distribuzione improntate al risparmio – i negozi diretti restano un’eccezione – e si fa concreto il rischio di rimanere spiazzati in un mercato sempre più esigente e che richiede l’azione diretta dei produttori
Nella moda, esistono i monomarca. Nel design, stanno arrivando, anche se sotto forma di partnership. È questa, forse, una delle caratteristiche che più distanziano l’arredamento italiano da altri segmenti del made in Italy. La tendenza è quella a preferire partnership con rivenditori multimarca locali piuttosto che optare per una distribuzione diretta. E anche dietro a una insegna all’apparenza monomarca, nella grande maggioranza dei casi si cela un commerciante che non è parte dell’azienda, ma ne è di fatto cliente o partner. Non è una novità: sin dalla loro nascita, le piccole-medie imprese del settore sono sempre state connotate da una certa lunghezza del canale distributivo, anche e soprattutto a causa dell’alto costo degli spazi destinati all’arredamento, che devono essere sufficientemente ampi e collocati strategicamente. Ma mai come oggi la mancanza di investimenti nel settore appare un boomerang: se finora ha consentito un contenimento dei costi, oggi è un fattore di debolezza nei confronti di un mercato sempre più concorrenziale (si stima che in Italia i negozi di arredamento, circa 16.000, superino le farmacie) e della clientela informata ed esigente. Anche perché, all’estero (dove, peraltro, gli store multibrand di arredamento non abbondano), è richiesta un’azione diretta da parte dei produttori.
L’IMPORTANZA DEL DISTRIBUTORE
Il canale di distribuzione indiretto, rappresentato da punti vendita del dettaglio indipendente, è il preferito delle aziende di design per una serie di motivi di natura prevalentemente economica. Coltivare una rete diretta di vendita, infatti, comporta investimenti costosi e rischiosi che poche aziende del settore si vogliono o possono permettere.
A causa degli alti costi fissi, delle spese di affitto e di assistenza post-vendita, dell’ingombro dei prodotti e delle necessarie competenze tecniche e manageriali cui affidarsi, soltanto una piccola parte di aziende affronta il rischio connesso a ipotetiche perdite iniziali.
Da un punto di vista strategico, inoltre, a fare paura è la concorrenza della grande distribuzione organizzata e di colossi come Ikea – che possono contare sulle proprie capacità di concentrare in un unico spazio una gamma di prodotti inarrivabile per un singolo monobrand -, oltre che del commercio despecializzato di grande superficie, che sempre più include nella propria offerta beni di arredamento.
Per contro, l’affidarsi a una rete di distribuzione indiretta si traduce in un minor controllo sull’efficacia delle vendite, e in una maggiore esposizione verso i concorrenti.
MENO PARTNER, MA MIGLIORI
Per migliorare l’incisività commerciale e non rischiare di perdere a valle una parte del potenziale competitivo creato a monte, le aziende italiane del design si trovano davanti due opportunità: da un lato, l’impegno in prima persona tramite l’apertura di punti vendita diretti, dall’altro l’attenta selezione dei rivenditori e una maggiore cura nei rapporti con essi.
La tendenza degli ultimi tempi fa pensare che la scelta sia già stata fatta verso l’ultima delle due alternative. Non ha dubbi in merito Renzo Minotti, direttore commerciale per l’Italia di B&B Italia, uno dei gruppi di arredamento più solidi del made in Italy che pur ha all’attivo un solo flagship store: “In prospettiva, più che pensare ai monobrand, il design andrà alla ricerca di un numero più ristretto, ma più profilato, di clienti: assisteremo a una sorta di selezione naturale”. Rincara la dose Marillina Fortuna, proprietaria insieme ai fratelli dell’azienda di cucine di alta gamma Arclinea, che conta su cinque monomarca e nessuno di proprietà: “Per vendere le cucine in forma diretta bisogna essere degli imprenditori, non dei produttori: non ci si può improvvisare venditori, al limite si può fare formazione sul prodotto e sul design”. E prosegue: “Certamente il monomarca rende di più in termini di immagine, oltre a essere in grado di generare un giro d’affari più elevato rispetto a un corner in un multibrand, ma gli investimenti e gli sforzi per metterlo in piedi sono comunque troppo alti per pensare a una rete più organizzata di flagship”. Dello stesso parere è Vittorio Renzi, direttore generale di Scavolini, il marchio di arredamento con un network di 90 monomarca a gestione diretta o in partnership a fronte di una rete di 1.000 rivenditori clienti in Italia: “La tendenza da seguire è la specializzazione: serve concentrarsi sui flagship store e su un numero anche ridotto di rivenditori esclusivisti che però siano in grado di esaltare il nostro marchio”.
LE REGOLE DEL RETAIL
Nuovamente, emerge il ruolo critico del distributore come soggetto fortemente in grado di influenzare le scelte finali (e decisive in termini di business) del consumatore. Veneta Cucine negli anni ha puntato sulla riconoscibilità del marchio all’interno dei corner nei multibrand di arredamento. A raccontarlo è Francesco Dell’Agnello, responsabile ricerca&sviluppo del marchio: “È fondamentale riuscire a creare una distinzione tra il nostro brand e gli altri. Lavorare sulla riconoscibilità e sulla comunicazione nel punto vendita, personalizzare gli spazi in maniera evidente: credo che sia questa la strategia giusta”. Un altro escamotage è ampliare l’offerta: di prodotto, certo, come testimoniamo le strategie di brand extension adottate negli ultimi anni da svariate aziende del settore, ma anche di prezzo. “L’importante – continua Dell’Agnello – è presentarsi sul punto vendita con una griglia di prodotti sufficientemente differenziata. Questo significa riuscire a offri
IL CLIENTE NEL MIRINO
Ma le modalità attraverso le quali le aziende scelgono i propri partner e ‘controllano’ la qualità del loro servizio non si riducono a quelle appena elencate.
Un occhio attento è rivolto all’allestimento del prodotto e al merchandising da parte dei rivenditori: trasferire alla rete di vendita le nozioni giuste e fare sì che il personale in negozio riesca a coinvolgere il consumatore è una parte essenziale del lavoro. L’acquisto dei mobili e, in particolare, dei sistemi di arredamento è un evento complesso, non solo per il valore monetario medio degli acquisti, ma anche per il significato affettivo e simbolico che sempre più spesso accompagna le famiglie italiane in questo tipo di acquisti. Il coinvolgimento emozionale del cliente sul punto vendita diventa quindi centrale e, perché questo accada, il rivenditore deve avere un livello di preparazione e di informazione sul prodotto tale da riuscire a convincere il potenziale acquirente.
Per formare il personale di vendita, per esempio, B&B Italia organizza periodicamente degli incontri con i rivenditori per migliorare le loro performance di vendita: “Da cinque anni invitiamo in azienda i nostri clienti per delle sessioni di training: dalla visita in fabbrica fino alle lezioni sulla manutenzione di alcuni prodotti, cerchiamo di aiutare le figure professionali commerciali a soddisfare le aspettative di una clientela attenta”, spiega Minotti.
Nell’aumento della qualità dei rapporti con il distributore, naturalmente, vengono in aiuto anche le nuove tecnologie: un numero sempre maggiore di aziende si sta attrezzando per sviluppare reti virtuali (extranet, cataloghi virtuali, pacchetti grafici con immagini 3D scaricabili via web) in aiuto dei distributori.
Inutile negare che gran parte dei successi (o degli insuccessi) delle aziende di arredamento in futuro si giocherà sulla capacità di rivestire un ruolo davvero incisivo sulle vendite: che si tratti di investire marcatamente sul retail diretto o di migliorare i rapporti con i rivenditori, i gruppi del settore non potranno sottrarsi alla sfida di coinvolgere, anche in forma indiretta, i potenziali clienti.
di Caterina Zanzi