Made in Italy, produzione in house e collaborazione con le grandi firme del design sono i pilastri di una realtà controcorrente, specialista dell’outdoor, convinta che questo sia il giusto modus operandi per la crescita. E i dati economici lo confermano
Nell’era della deindustrializzazione, è sempre più difficile trovare in Italia aziende con oltre duecento addetti, perlopiù impegnati in produzione, con tutto quello che una scelta di questo tipo comporta in termini di costo. Eppure in Emu, specialista del mobile da giardino, la delocalizzazione non è mai stata presa in considerazione. Dal 1951, l’azienda situata a Marsciano, tra i verdi colli dell’Umbria, sviluppa internamente l’intero ciclo produttivo, dalla materia prima al prodotto finito. “Per fare davvero tutto ci mancherebbe solo la fonderia”, afferma Stefano Zajotti, direttore della comunicazione da trent’anni e socio della cordata che nel 2017 ha rilevato interamente l’azienda dal fondo Opera, mettendo a segno un’operazione in piena controtendenza: in un mondo nel quale i fondi comprano dai fondatori, in questo caso sono stati i secondi, rappresentati dalla famiglia Biscarini, a riacquistare la proprietà precedentemente ceduta. E allora è evidente che siamo di fronte a un’azienda che ama muoversi contro corrente, con piena soddisfazione in termini economici. Perché Emu ha chiuso il 2018, primo anno completo sotto la nuova proprietà, con un balzo a doppia cifra (+10%) in termini di ricavi, pari a 30 milioni di euro, e ora punta a confermare il tasso di crescita stringendo ulteriormente i rapporti con il suo canale distributivo di riferimento ovvero con il wholesale. E l’obiettivo del 2019 è aumentare il fatturato di un altro 10 percento.
COSTI E BENEFICI
Sintetizzando i punti salienti delle strategie di Emu, possiamo identificarli in: a) 100% made in Italy; b) scelta “talebana” di produrre tutto al proprio interno, compresa la fase strategica (per l’industria del mobile da esterno) dei trattamenti di finitura per proteggere i manufatti dagli agenti atmosferici; c) collaborazioni con designer di fama internazionale con nomi come Patricia Urquiola, Jean Marie Massaud, Rodolfo Dordoni e molti altri ancora. “Le prime realizzazioni di questo tipo – ricorda Zajotti – risalgono ai primi anni del Duemila, e non fu per niente banale perché all’epoca non c’erano precedenti. Questo ci ha permesso di offrire al mercato non solo un prodotto tecnicamente perfetto, ma anche stilisticamente evoluto”. Quanto alla tecnica, in Emu rivendicano la bontà della scelta ‘in-house’ perché, continua Zajotti: “Spesso i concorrenti si limitano a importare un prodotto finito, perdendo il controllo delle fasi produttive sulle quali, pertanto, è difficile offrire precise garanzie. Noi invece arriviamo a mettere a punto, internamente, gli stessi macchinari con cui lavoriamo il metallo. I trattamenti di cataforesi e verniciatura, che sono le parti cruciali del ciclo, sono tutti gestiti da noi. Abbiamo alcuni terzisti, ma si tratta di officine alle quali affidiamo parti di lavorazione su attrezzature realizzate da noi e comunque sottoposte a controllo finale interno”. Tutto questo ha naturalmente un prezzo, perché la produzione in Italia costa di più. Per contenere il differenziale, Emu investe costantemente in macchinari ad alta tecnologia e in automazione, e il contributo del piano nazionale di Industria 4.0 è stato importante per accompagnare gli ultimi sviluppi sulla robotizzazione delle linee di ingente produzione. “Noi – racconta Zajotti – vogliamo essere quel che siamo, un’azienda industriale e non commerciale. La mission sociale di Emu è offrire sviluppo al territorio dove opera e con la nostra attività abbiamo anche contribuito alla creazione di una cultura della lavorazione del ferro nella media valle del Tevere. Nel nostro stabilimento conviene muoversi in bicicletta, perché sono 55 mila metri di superficie coperta”. Subito dopo l’acquisizione, i soci hanno messo sul piatto tre milioni di euro per rinnovare ed ottimizzare le linee ad alta produzione oltre che per realizzare un designer simulation center da mille metri. Si tratta di un polo ideato per lo sviluppo dei nuovi prodotti con tanto di simulazione d’uso prima dell’industrializzazione degli stessi. “È stato un segnale di fiducia per il futuro. I risultati sono in linea con le aspettative”.
DURATA NEL TEMPO
In quasi 70 anni di attività, Emu ha visto nascere diversi concorrenti e nell’ultima fase ha assistito anche all’ingresso dei brand indoor nell’ambito outdoor, ma quest’ultimo fatto non sembra preoccupare il suo management. “Si tratta – spiega Zajotti – di una normale conseguenza della voglia di vivere all’aria aperta e delle maggiori possibilità di spesa, che hanno fatto aumentare la domanda di mobili da esterno. Gli specialisti dell’indoor propongono collezioni sicuramente attraenti, ma c’è una differenza sostanziale tra noi e loro, perché noi siamo nati in questo mondo e loro no. Ciò determina una modalità di approccio totalmente diversa, come quella di chi è abituato ad andare in montagna d’inverno e pertanto si veste in maniera adeguata. Ecco, noi siamo quelli della montagna, forti del know how necessario per realizzare prodotti che saranno esposti alle intemperie e che il cliente si aspetta debbano durare a lungo termine. Il tempo dirà la sua verità”. E nel breve che conseguenze potrebbero esserci? “La concorrenza è positiva – sottolinea – perché contribuisce alla diffusione di una cultura del prodotto outdoor e nel confronto tra i brand, siamo piuttosto sicuri che il nostro prodotto sia in grado di distinguersi agli occhi del cliente e dei consumatori”. Ciò vale anche per il canale contract, da cui ormai dipende quasi il 70% del fatturato e che vede ora Emu impegnata in una commessa destinata a Costa Crociere particolarmente importante per numero di pezzi: sono ben 7mila, per un corrispettivo di 40 bilici da consegnare ai cantieri navali in Finlandia che si stanno occupando della realizzazione di due mega navi. La produzione è iniziata a gennaio e si protrarrà per buona parte del 2019.
OBIETTIVO RADDOPPIO
La fiducia di Emu per il futuro è legata anche alla consapevolezza che un’azienda di mobili da outdoor di alto livello e con produzione made in Italy non si crea dalla sera alla mattina. E questo, soprattutto in un mercato che richiede tempi brevi di consegna e alto livello di servizio, determina una sorta di barriera all’ingresso, rafforzata dal carattere stagionale del business e dalla necessità di dover spingere la produzione nei mesi cruciali, quelli primaverili. Il tutto accade un contesto nel quale nessun cliente intende accumulare stock, esposti al rischio di invenduto, e pertanto è il fornitore a dover fare magazzino di materie prime e semilavorati pronti per essere assemblati contraendo il ciclo produttivo da 60 a 20 giorni, assicurando ampia scelta (350 articoli a catalogo) e potendo garantire consegne di pochi pezzi. Pur in presenza di una domanda crescente, sostiene Zajotti, è ben difficile che possa entrare nel mercato ex novo un’azienda produttrice made in Italy, perché la decisione richiederebbe investimenti troppo elevati e ad alto rischio. Ai gruppi del mobile ancora non inseriti nel business dell’outdoor, e che vogliono entrare, conviene affidarsi ai terzisti o, in alternativa, acquisire una realtà già avviata. “Crediamo nello sviluppo e faremo crescere l’azienda, fino ad arrivare al raddoppio e anche oltre. Ci crediamo perché siamo convinti di fare cose uniche, che durano nel tempo”, conclude.